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Corona Virus

Coronavirus: 3.296 malati e 149 morti, si valuta la proroga dello stop alle scuole

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“E’ una sfida per tutto il nostro paese, in cui dobbiamo mettere tutte le nostre conoscenze”. Le parole del presidente dell’Iss Silvio Brusaferro fotografano la situazione che sta vivendo l’Italia a quasi due settimane dall’esplosione del virus: un paese chiamato per la prima volta ad affrontare un’emergenza di cui non si conoscono ancora i confini. Come confermano gli stessi numeri, che continuano a salire: ora sono 3.296 i malati, 590 persone in piu’ in un solo giorno (c’e’ anche un secondo neonato, ricoverato a Brescia), e 149 i morti, 42 in piu’ rispetto a mercoledi’, dato che rappresenta il maggior incremento da quando e’ stato scoperto il primo caso, il 38enne di Codogno. Tra questi anche la prima vittima a Roma, una 87enne cardiopatica deceduta all’ospedale San Giovanni dove era ricoverata dal 17 gennaio. E l’incertezza della situazione – con il governo che ha stanziato altri 100 milioni per la gestione dell’emergenza – si riflette anche nelle scelte dell’esecutivo. Non e’ un caso dunque che dopo aver deciso solo 24 ore fa la chiusura delle scuole fino al 15 marzo, si stia valutando la possibilita’ di prorogare ulteriormente la sospensione.

Commissario emergenza coronavirus. Angelo Borrelli

“E’ stata fatta una scelta di sospendere fino al 15 marzo – ha spiegato il presidente del Consiglio Superiore di Sanita’ Franco Locatelli – con la possibilita’ di riconsiderare e rimodulare la scelta in base a quello che sara’ lo scenario epidemiologico che verificheremo giorno per giorno”. E quindi “potrebbe configurarsi l’eventualita’” di un allungamento dei tempi. Lo stesso Locatelli, assieme al presidente dell’Iss Brusaferro, e’ poi tornato sul parere del Comitato tecnico scientifico, che esprimeva dei dubbi in merito alla scelta. Ma non per la misura in se’, che e’ “coerente” ed e’ “un sacrifico che serve e che va fatto”, con l’obiettivo “di ridurre la probabilita’ che il virus circoli tra le persone”. Quanto per “l’incertezza” dell’efficacia del provvedimento, sia perche’ ha una durata troppo breve sia perche’ non e’ possibile dal punto di vista scientifico dire se produrra’ davvero effetti positivi in termini di contenimento del virus. Anche il premier Conte ha confermato che quella di prolungare lo stop e’ una possibilita’, anche se non e’ questo il momento di parlarne. “Vedremo con l’avvicinarsi della scadenza, in questo momento non lo so neanche io, dobbiamo ragionare sempre nel segno dell’adeguatezza e della proporzionalita’” dice.

Le priorita’ in questo momento sono altre: il decreto con le misure economiche innanzitutto ma anche quelle a favore delle famiglie che devono far fronte alla sospensione dell’attivita’ scolastica, con l’ipotesi dei voucher per le baby sitter e di un congedo straordinario per uno dei genitori. E c’e’ poi il problema dei tribunali, con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che sta valutando la sospensione delle udienze non urgenti in tutte le zone del Paese in cui si manifestano esigenze sanitarie. L’altra grande incognita e’ rappresentata dal sistema sanitario, che per ora tiene. Il dato positivo di oggi sono i 414 guariti, il 50% in piu’ rispetto a ieri. Ma c’e’ un altro numero che preoccupa: sono i 1.777 malati in Lombardia, il 54% del totale, con un incremento in un solo giorno di 280 persone in piu’. Di questi 244 sono in terapia intensiva. “I posti possono crescere di 200 in piu’ ma poi serve il personale per gestirli” ha detto l’assessore Gallera. Per il momento “non ci sono criticita’”, ne’ in Lombardia ne’ nel resto d’Italia, ha assicurato il commissario Angelo Borrelli ribadendo che in caso di necessita’ i pazienti verranno smistati nel resto degli ospedali italiani. Resta comunque una situazione complessa da gestire e allora diventa fondamentale la collaborazione di tutti i cittadini. Ecco perche’ dagli scienziati e’ partito un nuovo appello agli italiani, affinche’ si attengano alle indicazioni e siano “uniti e coesi”. “Le raccomandazioni sono degli elementi cardine” per la prevenzione, “anche se possono creare disagi. Ma credo – dice Brusaferro – che affrontare questi disagi voglia dire fare un favore al nostro paese”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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