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Cronache

Corona ha stufato i magistrati: troppe violazioni, torni in carcere

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Rischia di tornare in carcere Fabrizio Corona e per l’ennesima volta per violazioni delle prescrizioni, tra cui pure l’aver invitato a casa il suo personal trainer in pieno lockdown, ma soprattutto per le continue comparsate in tv e l’uso smodato dei social network, che hanno generato varie denunce per diffamazione, ma anche per minacce da parte dell’ex moglie Nina Moric. Il sostituto pg di Milano Antonio Lamanna, infatti, al termine di un’udienza a porte chiuse durata due ore, ha chiesto ai giudici della Sorveglianza di revocare il “differimento pena” concesso in via provvisoria all’ex ‘re dei paparazzi’ per la sua “patologia psichiatrica”, legata pure alla tossicodipendenza, e che nel dicembre 2019 lo aveva fatto passare da San Vittore a un istituto di cura e poi a casa in detenzione domiciliare. Tra l’altro, lo stesso giudice che sta seguendo la fase dell’esecuzione pena dell’ex agente fotografico, il magistrato Marina Corti, ha proposto alla Sorveglianza la revoca della misura alternativa al carcere, dopo aver comminato ben due “diffide” lo scorso autunno a Corona. Nel frattempo, oggi l’ex ‘fotografo dei vip’ si e’ presentato in udienza, scegliendo il profilo basso e non parlando coi cronisti, per lanciare un appello ai giudici. In mattinata sul suo profilo Instagram erano gia’ stati postati i suoi appunti per l’udienza. “Mi dispiace, se ho sbagliato, come dite voi, se ho commesso gravi violazioni, come dite voi (…) vi chiedo scusa”, ha scritto. E ancora: “Sono un essere umano, non un criminale”. “I reati li ho commessi tutti nel 2006-2007-2008 – ha aggiunto – ma da 15 anni non ho commesso piu’ un reato. Durante la notte ho i flashback come i reduci del Vietnam, non sono e non saro’ piu’ quello di prima e poi sono vecchio”. Da qui la richiesta di “pietas” e di non tornare “all’inferno”, ossia in carcere. Dal canto suo, il pg ha fatto notare che Corona nel percorso terapeutico sta facendo di tutto tranne che curarsi, utilizza gli spazi di liberta’ in modo strumentale, mentre solo col “rispetto delle prescrizioni” si puo’ dimostrare “l’adesione al programma terapeutico”. E si e’ richiamato ai principi in materia della Consulta, chiedendo la revoca del differimento pena a partire dalla diffida del 27 ottobre e dunque con altri piu’ di 4 mesi da scontare di nuovo. Nella prima diffida, che vedeva al centro denunce per diffamazione e minacce, il giudice segnalo’ che “dal punto di vista psichiatrico” Corona non presenta “criticita’” e non puo’ “minacciare e infangare il nome di altre persone”, tra l’altro dopo i moltissimi “richiami” gia’ ricevuti negli anni. Un’altra diffida gli e’ arrivata a novembre, quando ha partecipato ad un’altra trasmissione tv, malgrado il divieto di ottobre (che comprende pure i social). “Le violazioni – ha detto l’avvocato Ivano Chiesa, che lo assiste assieme ad Antonella Calcaterra – ammesso che esistano e per me non esistono, non sono tali da sopravanzare l’importanza del percorso di cura che sta seguendo”. Decidera’ il collegio della Sorveglianza, sempre presieduto dal giudice Marina Corti.

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In auto al cellulare travolse ragazza, prete arrestato

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Distratto dal cellulare che stava usando mentre guidava a una velocità non adeguata alla strada che stava percorrendo, lo scorso 2 aprile don Nicola D’Onghia avrebbe travolto e trascinato per alcuni metri con la sua auto la 32enne Fabiana Chiarappa che si trovava a terra, ancora viva, dopo aver perso il controllo della moto, sulla strada statale 172, in provincia di Bari. E’ la tesi degli inquirenti che hanno arrestato il sacerdote a distanza di giorni dalla sua iscrizione nel registro degli indagati per omicidio stradale aggravato e omissione di soccorso. A far supporre agli investigatori che la 32enne, soccorritrice del 118 e rugbista, fosse ancora viva, sono anche i suoi guanti trovati sull’asfalto. Nei 20 secondi che ha avuto a disposizione per rendersi conto di quanto accaduto, se li sarebbe sfilati tentando di rialzarsi. Ma proprio in quel momento sarebbe stata travolta dalla Fiat Bravo guidata dal prete 54enne, riportando gravi ferite alla testa. All’arrivo dei soccorsi era già morta. Anche il suo casco è stato trovava lontano dal corpo.

Ad avvalorare la tesi dell’impatto con l’auto dopo la caduta ci sono anche le telecamere della zona che hanno registrato due rumori: il primo è quello della moto che rovina al suolo, il secondo è quello dell’impatto dell’auto con la ragazza. “Ho sempre insegnato a mia figlia a prendersi le sue responsabilità, non mi sembra che in questo caso qualcuno se le sia prese. Speriamo che la giustizia faccia il suo corso. Non riesco nemmeno a concepire tutta la situazione”, ha detto Adamaria Anna Doria la madre della 32enne uccisa nell’incidente. L’interrogatorio di garanzia del parroco, assistito dagli avvocati Vita Mansueto e Federico Straziota, si terrà domani alle 15 davanti al gip Nicola Bonante. Il prete, come emerso dall’analisi dei tabulati del suo telefono, nei secondi immediatamente precedenti all’impatto con il corpo di Chiarappa stava usando lo smartphone: prima impegnato in una telefonata, poi nei tentativi (non riusciti) di chiamare un’altra persona. L’ultimo tentativo risale a undici secondi prima dell’impatto con la 32enne. L’utilizzo del cellulare, per il gip, potrebbe aver distratto il prete al punto da non consentirgli la reattività necessaria per accorgersi della presenza sull’asfalto di Chiarappa, e quindi per frenare o scansarla. Diciotto secondi dopo averla urtata, D’Onghia si è fermato in una stazione di servizio per controllare eventuali danni all’auto. E qui, dopo essersi accorto dei danni riportati al paraurti, ha chiamato sua sorella per chiederle di andare a dargli una mano. In quella stazione di servizio, come accertato dagli inquirenti, D’Onghia è rimasto circa 45 minuti nel corso dei quali, come si vede nelle immagini delle telecamere del benzinaio, il parroco spesso si affaccia sulla strada, nota le macchine incolonnate sul luogo dell’incidente e le sirene dell’ambulanza. Ma non fa nulla e anzi, dopo essere stato aiutato dalla sorella e dal cognato, riprende l’auto e torna a casa.

Per questo, secondo il gip, la sua versione sul non essersi accorto di nulla, se non del rumore proveniente dal pianale dell’auto (“pensavo a una pietra, un sasso”, ha detto il sacerdote agli inquirenti) è inverosimile. Sulla sua macchina sono state inoltre trovate tracce di sangue riconducibili alla vittima e danni compatibili con l’impatto con il casco della vittima. A certificare come sia stato l’impatto con l’auto a provocare lesioni mortali a Chiarappa è stata l’autopsia che ha individuato nei politraumi da sormontamento le cause della morte. Un ruolo, nell’intera vicenda, l’ha avuto anche la velocità: quella a cui viaggiava Chiarappa, che le avrebbe fatto perdere il controllo della moto, e quella tenuta dal prete che è stata ritenuta “non adeguata”.

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Viterbo, pitbull libero in strada decapita a morsi un cagnolino

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Il fatto, trapelato solamente oggi, è avvenuto domenica sera nel quartiere viterbese San Faustino, dove un cane di razza pitbull che si aggirava libero, ha un ucciso un cagnolino decapitandolo a morsi. Da quanto appreso, il cane si sarebbe avventato sulla bestiola con una rapidità fulminea mordendolo ripetutamente al muso e al collo, fino ad ucciderlo. Sul posto sono intervenuti i veterinari della Asl e i carabinieri che, dopo aver ricostruito la dinamica dei fatti, sono riusciti a rintracciare il proprietario del pitbull. L’animale è stato riconsegnato all’uomo, a cui è stato imposto l’obbligo di sottoporlo a tutti gli accertamenti sanitari e comportamentali previsti dalla legge.

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Morto omicida Gucci, si era sparato dopo aver ferito figlio

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E’ morto Benedetto Ceraulo, 63 anni, l’uomo che nel 1995 uccise l’imprenditore Maurizio Gucci e che il 22 aprile scorso ha sparato due colpi di pistola al volto contro il figlio Gaetano, 37 anni, al culmine di una lite nel giardino della casa dove abitava a Santa Maria a Monte (Pisa). Ceraulo è morto all’ospedale di Pisa dove era ricoverato in condizioni gravi: con una pistola di piccolo calibro si era sparato in testa poco dopo avere ferito il figlio per una lite nata, secondo una prima ricostruzione dei carabinieri, per futili motivi: a far “perdere il controllo” al 63enne sarebbe stato un graffio all’auto fatto dal figlio.

Subito dopo il ricovero in ospedale Gaetano Ceraulo, ferito al volto ma non in pericolo di vita, aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook un post nel quale si era rivolto al padre: “Ti perdono per il male che mi hai fatto ma non per il male che hai inflitto a te stesso”. Benedetto Ceraulo era stato raggiunto dal figlio, che vive a Milano, per trascorrere le festività pasquali a Santa Maria a Monte dove il 63enne si era trasferito dopo avere vissuto in precedenza ad Acciaiolo nel comune di Fauglia (Pisa). Ceraulo era stato ritenuto l’esecutore materiale dell’agguato nel 1995 ordito dall’ex moglie di Gucci, Patrizia Reggiani. Condannato in primo grado all’ergastolo nel 1998, la pena gli era stata ridotta in appello a 28 anni, 11 mesi e 20 giorni. Grazie alla buona condotta Ceraulo da un paio d’anni era uscito dal penitenziario della Gorgona dove era stato detenuto a lungo.

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