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Corea Sud, graziata l’ex presidente Park Geun-hye

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La Corea del Sud ha graziato l’ex presidente Park Geun-hye, condannata a oltre 20 anni di carcere in uno scandalo di corruzione tentacolare. La Park era in una lista di persone per un’amnistia speciale ed e’ stata graziata in “una prospettiva di unita’ nazionale”, ha spiegato il ministro della Giustizia sudcoreano Park Beom-kye. Park e’ diventata la prima donna presidente della Corea del Sud nel 2013, calandosi nel ruolo della figlia della nazione, incorruttibile e non legata a nessuno. Meno di quattro anni dopo e’ stata messa sotto accusa ed estromessa dopo che uno scandalo di corruzione ha scatenato enormi proteste di piazza. La 69enne stava scontando una pena detentiva di 20 anni per corruzione e abuso di potere, con altri due anni dopo per violazione della legge elettorale. Lo scandalo della corruzione ha messo in luce loschi legami tra le grandi imprese e la politica in Corea del Sud, con Park e la sua cara amica Choi Soon-sil accusate di aver accettato tangenti da conglomerati, tra cui Samsung Electronics, in cambio di un trattamento preferenziale. Il conseguente contraccolpo pubblico contro la Park e il suo partito conservatore ha contribuito a spingere al potere Moon Jae-in, di sinistra.

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Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

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Ha guidato due banche centrali ma non era mai stato eletto. Il primo ministro canadese Mark Carney, che ha vinto le elezioni generali di lunedi’, e’ abituato a navigare nella tempesta. Con la vittoria del suo partito alle elezioni legislative, dovra’ rapidamente mettersi alla prova contro Donald Trump. Una sfida che dice di poter vincere: “Sono piu’ utile nei momenti di crisi.

Non sono molto bravo in tempo di pace”, ha detto di recente, in tono divertito, a un piccolo pubblico in un bar dell’Ontario. In poche settimane, questo sessantenne novizio della politica e’ riuscito a convincere i canadesi che la sua competenza in materia economica e finanziaria lo rende l’uomo giusto per guidare il paese immerso in una crisi senza precedenti. In effetti, la recessione minaccia questa nazione del G7, la nona economia piu’ grande del mondo, dopo l’imposizione dei dazi doganali da parte di Trump, che continua a ripetere che il destino del Canada e’ quello di diventare uno stato americano.

Nato a Fort Smith, nell’estremo nord, ma cresciuto a Edmonton, in questo West canadese piuttosto rurale e conservatore, Mark Carney e’ padre di quattro figlie e appassionato di hockey. Ha studiato ad Harvard e Oxford, prima di fare fortuna come banchiere d’investimento presso Goldman Sachs, a New York, Londra, Tokyo e Toronto. Nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, e’ stato nominato governatore della Banca del Canada dal primo ministro conservatore Stephen Harper. Cinque anni dopo, e’ stato scelto dal primo ministro britannico David Cameron per dirigere la Banca d’Inghilterra, diventando il primo straniero a dirigere l’istituto. Poco dopo, si trovera’ di fronte alle turbolenze causate dal voto sulla Brexit. Un compito svolto con “convinzione, rigore e intelligenza”, secondo l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Sajid Javid.

Da anni circolavano voci sul suo ingresso in politica. Ma e’ stato solo all’inizio di gennaio, dopo le dimissioni di Justin Trudeau, di cui era stato consigliere economico, che ha deciso di buttarsi nell’arena. Dopo aver conquistato il Partito Liberale all’inizio di marzo, e’ diventato primo ministro e ha indetto le elezioni in seguito, dicendo che aveva bisogno di un “mandato forte” per affrontare le minacce di Trump, che ha cercato di “spezzare” il Canada.

Una vera e propria scommessa per questo ex portiere di hockey che non aveva mai fatto campagna elettorale e che ha preso le redini di un partito al suo punto piu’ basso nei sondaggi, appesantito dall’impopolarita’ di Justin Trudeau alla fine del suo mandato. E molti analisti hanno messo in dubbio la sua capacita’ di ribaltare la situazione su molti canadesi, mentre molti canadesi hanno incolpato i liberali per l’alta inflazione e la crisi immobiliare nel paese. Poco carismatico, in contrasto con l’immagine sgargiante di Justin Trudeau nei suoi primi giorni, sembra che siano proprio la sua serieta’ e il suo curriculum ad aver finalmente convinto la maggioranza dei canadesi.

“E’ un po’ un tecnocrate noioso, che soppesa ogni parola che dice”, dice Daniel Be’land della McGill University di Montreal. Ma anche “uno specialista in politiche pubbliche che padroneggia molto bene i suoi dossier”. “Questo profilo e’ rassicurante e soddisfa le aspettative dei canadesi per gestire questa crisi”, aggiunge Genevie’ve Tellier. Il suo principale avversario durante la campagna, il conservatore Pierre Poilievre, lo ha descritto come un membro dell'”e’lite che non capisce cosa sta passando la gente comune”, ha detto Lori Turnbull, professoressa alla Dalhousie University. Resta un argomento che sembra fargli perdere la flemma: la questione dei suoi beni. Secondo Bloomberg, a dicembre aveva stock option per un valore di diversi milioni di dollari. E i suoi rari scambi di tensione con i giornalisti durante la campagna elettorale riguardavano questa fortuna personale.

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Putin ordina 3 giorni di tregua. Trump, ‘sia permanente’

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Una nuova tregua di tre giorni, dall’8 al 10 maggio: è questa per ora la risposta di Vladimir Putin alle sollecitazioni di Donald Trump, che era tornato nelle ultime ore a chiedergli di “smettere di sparare, sedersi e firmare un accordo” per la fine dei combattimenti. Troppo poco, fa sapere la Casa Bianca, secondo la quale quella che il presidente americano chiede è “una tregua russo-ucraina permanente”. Stessa reazione da Kiev. “Se la Russia vuole davvero la pace, dovrebbe cessare immediatamente il fuoco”, per “30 giorni” e non solo tre, ha affermato il ministro degli Esteri, Andriy Sybiga. Il segnale è stato lanciato da Putin dopo le nuove dichiarazioni che esprimono tutta la frustrazione di Trump. Questo secondo cessate il fuoco – dopo quello di 30 ore per Pasqua – dovrebbe coprire non solo il 9 maggio, quando in Russia si festeggerà l’80/o anniversario della vittoria sul nazifascismo, ma anche l’8, quando lo stesso evento sarà celebrato in Ucraina. “La Russia ritiene che la parte ucraina seguirà questo esempio”, ha detto Putin.

Ma in caso di violazioni, le forze armate di Mosca “daranno una adeguata ed efficace risposta”. Durante la tregua pasquale le parti si erano accusate reciprocamente di numerose violazioni, ma avevano riconosciuto entrambe una significativa riduzione dei combattimenti. Nella dichiarazione di cessate il fuoco, Putin ribadisce “la sua disponibilità a negoziati di pace senza precondizioni, miranti ad eliminare le cause di fondo della crisi ucraina e all’interazione costruttiva con i partner internazionali”. Gli stessi concetti espressi dopo l’incontro in San Pietro fra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quando il presidente Usa aveva per la prima volta criticato duramente Putin accusandolo di “sparare missili in aree civili e città” e chiedendosi se non lo stesse “prendendo in giro”. “Perché aspettare fino all’8 maggio? Se la guerra potesse essere fermata ora e la tregua mantenuta per 30 giorni – ha scritto Sybiga su X – sarebbe un vero passo avanti, non solo un gesto per una parata”. Mentre la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha fatto sapere che Trump vuole un cessate il fuoco definitivo, ma esprime insoddisfazione nei confronti sia di Putin sia di Zelensky, chiedendo loro di sedersi finalmente al tavolo delle trattative.

Lo stesso tycoon, del resto, non ha risparmiato ancora qualche punzecchiatura al presidente ucraino. “Mi dice che ha bisogno di più armi, ma lo chiede da tre anni”, ha detto, con apparentemente riferimento al colloquio in Vaticano. E poi è tornato ad affermare che ormai la Crimea è persa per l’Ucraina, “perché è stata data via da Barack Obama e Biden”. E a chi gli chiedeva se il capo di Stato ucraino potrebbe accettare questa prospettiva, ha risposto: “Penso di sì”. Zelensky, insomma, adesso è “più calmo” e “vuole un accordo”, ha concluso Trump. Non è chiaro se le affermazioni dell’inquilino della Casa Bianca riflettano reali segnali promettenti o semplicemente la sua impazienza. Di possibili trattative sono tornati a parlare in un colloquio telefonico Lavrov e il segretario di Stato americano Marco Rubio. Nella conversazione è stata sottolineata “l’importanza di consolidare i presupposti che stanno emergendo per avviare negoziati”, ha detto il ministero degli Esteri di Mosca. Ma è impossibile sapere se dietro ai felpati toni diplomatici ci sia qualcosa di concreto.

Lo stesso Lavrov, del resto, in un’intervista al giornale brasiliano O Globo, ha detto che “la palla” è nel campo di Kiev, che però finora “non ha dimostrato la sua capacità di negoziare”. Per farlo, affermano all’unisono Lavrov e il Cremlino, l’Ucraina dovrebbe per prima cosa revocare il decreto presidenziale firmato nel settembre del 2022, e tuttora in vigore, che vieta negoziati con Putin. E comunque per Mosca, insiste Lavrov, rimane “imperativo” l’obiettivo di vedere riconosciuto a livello internazionale il suo possesso non solo della Crimea, ma anche delle quattro regioni russe che oggi le sue truppe controllano solo parzialmente: Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. La mediazione che per ora l’amministrazione Trump si mostra determinata a portare avanti sembra dunque ancora in salita, mentre sul terreno si continua a morire. Tre persone sono rimaste uccise in un attacco russo su un villaggio nella regione di Donetsk, secondo l’ufficio del Procuratore regionale. E intanto il Wall Street Journal lancia un nuovo allarme sui presunti piani ostili di Mosca contro Paesi della Nato, scrivendo che a circa 160 chilometri dal confine con la Finlandia, nella città di Petrozavodsk, gli ingegneri militari russi stanno espandendo le basi dove il Cremlino prevede di creare un nuovo quartier generale dell’esercito per supervisionare decine di migliaia di soldati nei prossimi anni.

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Biologo italiano Alessandro Coatti ucciso in Colombia era stato adescato in chat

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Vittima della trappola di una banda specializzata in rapine ed estorsioni dopo essere stato adescato su un sito di incontri. Questa l’ipotesi principale che seguono adesso gli inquirenti colombiani che indagano sulla morte di Alessandro Coatti, 38 anni, biologo originario del Ferrarese ucciso e fatto a pezzi nella zona di Santa Marta, nel nord del Paese. Lo riferisce il quotidiano El Tiempo citando documenti e fonti interne alla polizia giudiziaria secondo le quali sarebbero state inoltre identificate già quattro persone, tra le quali una donna trovata in possesso del cellulare della vittima. Proprio il ritrovamento del cellulare avrebbe permesso di ricostruire che prima prima della scomparsa Coatti aveva concordato un appuntamento attraverso la app Grindr, di uso comune nella comunità Lgbtq ma spesso utilizzata come esca anche da bande alla ricerca di vittime per portare avanti rapimenti, furti ed estorsioni.

Dai referti dell’autopsia emerge inoltre, secondo i media, che il biologo italiano prima di venire sequestrato e ucciso sarebbe stato anche drogato, e l’ipotesi principale degli investigatori è che la situazione sia poi “sfuggita di mano” ai rapitori e degenerata tragicamente nella morte del ricercatore, forse colpevole di aver visto il volto di uno dei suoi assalitori. Secondo quanto stabilito dagli esami forensi Coatti è deceduto infatti per una serie di colpi inferti con oggetti contundenti, e solo in un secondo momento il suo corpo è stato smembrato.

A dare un’ulteriore svolta alle indagini è stato il ritrovamento del luogo dell’omicidio. Si tratta di una casa abbandonata nel quartiere San José del Pando, nel centro della capitale del distretto di Magdalena dove le autorità hanno trovato tracce di sangue ed altri indizi che confermerebbero che si tratta del luogo dove è stato fatto a pezzi il biologo. Il fatto che i resti del corpo siano poi stati sparsi in diversi punti della città – uno degli arti inferiori non è ancora stato trovato – non rappresenterebbe quindi ‘un messaggio mafioso’ come si ipotizzava inizialmente, e si tratterebbe piuttosto di “una strategia per ostacolare le indagini”, affermano adesso gli inquirenti. Sembra definitivamente caduta quindi la pista che riconduceva inizialmente alla violenza brutale dei gruppi paramilitari che operano nella zona e le autorità di Santa Marta hanno emesso adesso un allerta agli utenti delle app di incontri invitandoli a ogni precauzione.

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