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Coppa Italia, derby senza gol, si decide tutto nel ritorno

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Il momento piu’ bello nello scialbo pareggio del derby di Coppa Italia e’ arrivato prima del fischio d’inizio. Un messaggio unanime di pace, contro la guerra in Ucraina. Gesti importanti, come l’abbraccio tra i giocatori delle due squadre davanti alla scritta Peace. Parole toccanti, come quelle di Andriy Shevchenko che in un video trasmesso sul maxi schermo di San Siro ha chiesto di fermare insieme la guerra perche’ “cio’ che ci unisce e’ piu’ forte di cio’ che ci divide e la pace non ha confini”. Le rivalita’ calcistiche nella partita piu’ sentita della stagione sono state dimenticate, anche se solo per qualche minuto, perche’ c’era qualcosa di forte da dire, uniti. Poi il calcio giocato e’ tornato ad essere protagonista. Ma e’ stata una partita al di sotto delle aspettative, senza gol, con pochissime occasioni e troppi errori. Milan e Inter non si fanno male, escono a porte inviolate. E’ il terzo pareggio consecutivo per il Milan, dopo quelli con Salernitana e Udinese. Secondo 0-0 di fila per l’Inter che non segna da oltre 400 minuti. Doveva essere la sfida della svolta per entrambe le squadre, ma tutto e’ rimandato alla semifinale di ritorno, ad aprile. In casa ci saranno i nerazzurri, i gol in trasferta varranno doppio. Magra consolazione per i rossoneri che avrebbero dovuto sfruttare il momento di difficolta’ dell’Inter. Mentre la squadra di Inzaghi fra tre giorni dovra’ di nuovo tornare a San Siro per affrontare la Salernitana in una partita in cui vincere e’ d’obbligo. L’avvio del Milan sembrava la premessa di una partita vivace, con il tentativo di Saelemaekers respinto da Handanovic e la bella incursione centrale di Theo Hernandez. Ma alla lunga il gruppo di Pioli perde un po’ di lucidita’. L’Inter reagisce ma non abbastanza. Tanti errori da entrambe le parti, Saelemaekers spesso impreciso, Calhanoglu che questa volta sembra non reagire ai fischi della Curva Sud. Giroud e Dzeko, i campioni piu’ attesi, sono rimasti a lungo nell’ombra. Lautaro Martinez rimane ancora a secco di gol, a piu’ di due mesi di distanza dall’ultima marcatura.

Una prestazione deludente dell’argentino che contro il Genoa era stato risparmiato, partendo dalla panchina. Nel derby torna titolare ma non e’ mai protagonista, se non nel duro scontro con Maignan al 10′ della ripresa: il portiere rossonero lo anticipa, l’argentino lo colpisce involontariamente sul braccio con i tacchetti e viene ammonito. Cosi’ Inzaghi e’ costretto a sostituirlo al 20′ della ripresa, giocando la carta Sanchez. Anche Pioli prova a cambiare gli equilibri, richiama Leao, Krunic e Saelemaekers per Rebic, Diaz e Messias. Piu’ estro e fantasia per cercare di sbloccare la partita, ma l’inerzia non cambia. Troppe le sbavature, troppe le imprecisioni nella fase conclusiva. Tre a due i tiri in porta, pochissimi se si pensa che in campo si sfidano due squadre in lotta per lo scudetto. Domenica il Milan affrontera’ il Napoli in uno scontro diretto forse decisivo per la stagione e quanto visto contro l’Inter nel derby potrebbe non bastare. Pioli dovra’ fare a meno di Romagnoli che ha lasciato il campo nel primo tempo per un risentimento all’adduttore. Inzaghi, invece, ritrova Correa e gli concede gli ultimi minuti di partita. Gli stessi di Gosens che fa il suo debutto in maglia nerazzurra. Armi per l’Inter nella lotta al titolo che, anche dopo questa semifinale d’andata di Coppa Italia, non sembra avere un grande favorito.

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‘Bergamini fu ucciso’, chiesti 23 anni per l’ex fidanzata

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Isabella Internò è la mandante e concorre nell’omicidio dell’ex fidanzato Donato Denis Bergamini, il calciatore del Cosenza morto il 18 novembre del 1989 lungo la statale 106 a Roseto Capo Spulico, ma essendo passati 35 anni merita le attenuanti generiche. E’ il ragionamento che ha portato la Procura della Repubblica di Castrovillari a chiedere 23 anni di carcere e non l’ergastolo per la donna – assente oggi dall’aula – imputata per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi in concorso con ignoti. Ad esplicitare in aula, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Cosenza, i motivi che hanno spinto i pm a giungere alla richiesta è stato il procuratore di Castrovillari Alessandro D’Alessio che ha affiancato il sostituto Luca Primicerio in tutta la requisitoria, iniziata ieri.

“Internò – ha affermato il magistrato – ha agito con volontà con persone in corso di identificazione. Isabella Internò ha tradito l’affetto che il ragazzo aveva per lei, ha esasperato lei il rapporto e pur di salvare l’onore non ha esitato ad agire come sappiamo. Per il tempo trascorso, però, merita le attenuanti generiche e per questo che non chiediamo l’ergastolo, ma 23 anni di reclusione”. Un delitto, quello di Bergamini, maturato in un “contesto patriarcale”, ha detto D’Alessio, motivato dalla mancata celebrazione “di un matrimonio riparatore” che la ragazza – che all’epoca della morte di Bergamini aveva 20 anni – avrebbe desiderato nel 1987 dopo essere rimasta incinta del calciatore. “Bergamini – ha poi spiegato Primicerio prendendo la parola – pur volendo tenere il bambino, non avrebbe mai voluto sposarla a causa del suo carattere ossessivo”.

La donna decise quindi di andare ad abortire a Londra. Il mancato matrimonio e la successiva fine della loro storia, secondo il pm, portò Internò a stolkerizzare, “e ha continuato a farlo fino alla fine” Denis Bergamini, “nonostante la loro relazione fosse chiusa da tempo”. A supporto della loro convinzione, i pm hanno ribadito di ritenere fondate e rilevanti le dichiarazioni di Tiziana Rota, moglie del calciatore Maurizio Lucchetti e amica intima in quegli anni di Internò. A lei, l’imputata avrebbe confidato che se Bergamini non fosse tornato sui suoi passi sarebbe stato “un uomo morto, perché mi ha disonorata, deve tornare da me perché io lo faccio ammazzare”. La richiesta dei pm è stata accolta con soddisfazione mista ad amarezza dalla sorella del calciatore, Donata Bergamini, che dal primo giorno non ha mai creduto alla tesi del suicidio raccontato dalla stessa Internò – “Denis si è buttato a pesce davanti al camion che l’ha travolto” – ma ha sempre parlato di un omicidio.

“Sono stata contenta – ha detto all’uscita dal palazzo di giustizia cosentino – perché sono emerse le verità che sia io che mio padre gridavamo sin dall’inizio. Queste verità dovevano emergere nel 1989, ma qualcuno non ha voluto farlo. Dopo così tanti anni la Internò poteva parlare e comportarsi in modo diverso”. Un concetto ripreso anche dal suo legale, l’avvocato Fabio Anselmo, che col suo lavoro ha portato la Procura di Castrovillari a riaprire per la seconda volta – la prima era stata poi archiviata – un’inchiesta per omicidio. “E’ vero che essere condannati dopo 35 anni può sembrare un atto ingiusto – ha detto – ma è altrettanto vero che attendere giustizia per 35 anni lo è sicuramente di più”. Adesso la parola passa alle parti civili e poi alla difesa. Per il primo ottobre è attesa la sentenza.

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Motta elogia Conte e il Napoli, ‘Costruito per scudetto’

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Juve-Napoli è (anche) la sfida tra Thiago Motta e Conte, ma l’allenatore bianconero sposta l’attenzione sul prato verde. “Siete troppo concentrati su me e Antonio, ma si gioca Juve-Napoli e sarà una bella partita perché si affronteranno tanti grandi giocatori – dice l’italo-brasiliano alla vigilia del big-match – e noi l’abbiamo preparata come sempre, con serietà e responsabilità e consapevoli che si giocherà davanti al nostro pubblico”. Da una parte e dall’altra, poi, c’è la curiosità di capire chi possa essere l’avversaria anti-Inter più credibile in ottica scudetto: “Loro sono stati costruiti per lottare per quell’obiettivo, tra l’altro hanno vinto il titolo da poco con un calcio che è diventato di fama mondiale – spiega Thiago Motta – e noi non dobbiamo distoglierci dal nostro percorso, che è quello di affrontare una gara per volta e di avere l’ambizione di migliorarci quotidianamente”.

La differenza sostanziale è legata alla marcia di avvicinamento alla sfida dello Stadium, con la Juve che è stata impegnata in Champions contro il Psv e il Napoli che invece è libero dalle coppe: “Non so se questo sia un vantaggio oppure no, l’unica cosa certa è che sapevamo quale sarebbe stato il calendario e adesso andiamo avanti”, liquida il discorso l’allenatore bianconero. Il filo sottile tra i due tecnici è legato ancor più indissolubilmente con la Nazionale, all’Europeo del 2016, quando Thiago faceva il calciatore e Conte era commissario tecnico di quell’Italia: “E’ stato un piacere lavorare con lui, purtroppo uscimmo contro una grande squadra (la Germania ai quarti di finale dopo i calci di rigore, ndr) ma il rapporto con lui è stato sempre fantastico” rivela il tecnico della Juve. Per Thiago Motta sarà una vigilia particolare per un altro motivo: “Viene a trovarmi la mia famiglia, finalmente starò un po’ di tempo con mia moglie e con le mie figlie che è da tanto che non vedo” rivela in conferenza. Venendo ai temi della Continassa, Thiago Motta fa il punto sull’infermeria: “Gatti è a disposizione, ha svolto bene l’allenamento e sarà in gruppo, mentre non abbiamo Conceicao e Milik” spiega sul centrale uscito acciaccato dalla gara contro il Psv ma pronto a giocare al fianco di Bremer nella difesa completata da Kalulu a destra e probabilmente da Cambiaso a sinistra.

Tutti si aspettano i gol di Vlahovic, andato a bersaglio (per due volte) soltanto nella partita contro il Verona: “Dusan può migliorare come me, come te, come tutti gli altri, possiamo crescere su tutto, non solo sul lato emotivo – dice sul serbo – ma sta bene, parliamo tutti i giorni, lo vedo sorridente e positivo: nell’ultima gara ha fatto un grande lavoro sia difensivo sia offensivo, creando situazioni per i compagni perché possano fare gol”. In ogni caso la Juve si affiderà ancora al classe 2000, poi si va verso la conferma dei trequartisti Nico Gonzalez, Koopmeiners e Yildiz. Insieme a Locatelli dovrebbe giocare Thuram, mentre Douglas Luiz sarà un’arma a gara in corso. Infine, un pensiero per l’amico e collega De Rossi, appena esonerato dalla Roma: “Mi ha sorpreso moltissimo, gli ho mandato un messaggio che ovviamente resterà tra di noi” dice Thiago Motta.

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Schillaci: l’ultimo addio fra lacrime e cori da stadio

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L’alfiere di un calcio che si è estinto, un ragazzo timido che con la sua epopea popolare, e anche nell’impegno post carriera, con la scuola calcio, ha tracciato una strada chiara, quella della Palermo onesta, senza scorciatoie, una città “dei giovani che vogliono essere liberi e che può cambiare”, come ha detto, al momento della benedizione della salma l’arcivescovo della città, Corrado Lorefice. Nel giorno del suo funerale, in cattedrale, Totò Schillaci, morto mercoledì per un tumore al colon, è stato un fortissimo polo d’attrazione per migliaia e migliaia di palermitani che hanno voluto dirgli addio, assieme ai suoi familiari e ai suoi amici.

Decine e decine di telecamere all’interno e all’esterno della cattedrale, circa mille persone dentro, molte di più fuori, sul sagrato, dove ai palermitani e ai siciliani si sono uniti molti turisti, anche stranieri. Non sono mancati cori da stadio e applausi, fortissima è stata la partecipazione. Se la morte è la verità ultima della vita, Schillaci non è stato semplicemente un calciatore leggendario e conosciuto in tutto il mondo, ma un operatore di bene, che ha seminato e tracciato un percorso virtuoso di bellezza e libertà, come ha sottolineato l’arcivescovo Lorefice: “Come Pino Puglisi, che riposa in questa cattedrale, anche Totò Schillaci ci dice che questa città la possiamo e la dobbiamo cambiare. Di Totò ricordiamo il corpo proteso alla gioia, i suoi occhi, in quel 1990.

Ma poi Schillaci ha continuato a donare il suo corpo perché gli altri avessero corpi liberi, è rimasto uno di noi, ha pensato la sua vita facendo memoria della sua origine, l’ha pensata come un dono, perché le nuove generazioni avessero uno sguardo bello, perché i giovani potessero essere liberi, contro chi invece li vuole schiavi. Voglio ringraziarlo per questa sua grande opera, voluta, consapevole, stare nella strada con i giovani, perché potessero conoscere la via del bene e della libertà. Lo affidiamo alla misericordia di Dio. Gli diciamo addio, ci vedremo in Dio, nella pienezza vera della vita”. Nell’omelia dei funerali, monsignor Filippo Sarullo, parroco della cattedrale si è rivolto a Schillaci, prossimo alla partita dell’eternità: “Il Padre ti ha convocato per la partita del cuore, che non avrà mai fine, ti ha fatto entrare nella squadra più bella del mondo, che si chiama Paradiso”.

In chiesa erano presenti gli ex compagni, anche di nazionale, Gigi De Agostini e Beppe Bergomi (“È stato l’eroe di tutti noi, ci stava regalando un sogno ai Mondiali”), Gabriele Gravina e Antonio Matarrese, presidente ed ex presidente della Figc, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, l’assessore regionale Edy Tamajo a rappresentare il governatore Schifani, e una delegazione del Palermo calcio, guidata dal presidente Dario Mirri e da Francesco Di Mariano, attaccante rosanero e nipote di Schillaci. Il lungo addio al centravanti del quartiere Cep era iniziato questa mattina, proprio nelle strade del rione natale, dove ancora oggi vivono il padre Mimmo, e alcuni tra fratelli e cugini. Il corteo funebre, passato anche dalla chiesa di San Giovanni Apostolo e dal centro sportivo di Schillaci, il Ribolla, è stato salutato da una folla commossa, dove c’erano anche gli studenti dell’istituto comprensivo “Giuliana Saladino”.

Molti hanno pianto e intonato cori da stadio e “Notti magiche”, di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, la storica colonna sonora di Italia ’90. È la stessa commozione che ha attraversato in questi giorni la città e che ha emozionato la famiglia di Totò. L’ha ricordato anche la figlia Nicole, nata da una breve relazione di Schillaci, che finora era l’unica a essere rimasta in silenzio. “Resterà sempre nel mio cuore – le sue parole – ho visto quanto dolore ha provato. Mi manca tantissimo, ma almeno ha smesso di soffrire. Per me era una persona normale, certo di cui essere fieri, ma normale, molto gentile, umile e con un grande cuore”.

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