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Politica

Conte sotto pressione sulle deroghe, Grillo non arretra

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Alta tensione nel Movimento 5 stelle sulle deroghe ai mandati. Per Beppe Grillo il limite è un muro da non abbattere, e’ “la luce in fondo alle tenebre”, come ha detto nei giorni scorsi, facendo intendere chiaramente di non condividere neanche la manciata di eccezioni al vaglio di Giuseppe Conte, come quelle per il presidente della Camera Roberto Fico, la vicepresidente del M5s Paola Taverna e l’ex capo politico Vito Crimi (meno chance avrebbe l’ex ministro Alfonso Bonafede). La delicatezza del momento si intuisce anche dalle smentite alle voci secondo cui il garante avrebbe detto al leader, nel corso di un colloquio telefonico, di essere pronto a lasciare il Movimento se fossero concesse anche solo poche deroghe. “Tra me e Beppe Grillo – ha chiarito Conte in una nota – non c’e’ stata nessuna telefonata ieri sera e quindi nessun aut aut. Smentisco categoricamente tutte le indiscrezioni in merito”. “Fake news” quelle sull’aut aut e’ la versione arrivata anche da fonti vicine al comico genovese. Mentre imposta la campagna elettorale di un partito che punta a essere “il terzo polo, il campo giusto”, Conte deve quindi risolvere vari rebus interni. Solo poche ore prima aveva spiegato che il limite dei due mandati “non e’ un diktat”, assicurando di “condividere” il principio e aggiungendo pero’ che “e’ una situazione complicata, una fase in cui alcune esperienze gioverebbero molto al Movimento”. La riserva, ha detto ancora l’ex premier, sara’ sciolta “a breve”. E’ il dossier piu’ delicato che lo attende domani al rientro a Roma, dopo qualche giorno in Puglia “per ricaricare le batterie”. Chi conosce bene Grillo sostiene che stia lavorando a una soluzione, pur ricordando che il garante e’ comunque legalmente proprietario del simbolo nonche’ dei domini internet del Movimento. Un elemento non secondario. La dinamica, e’ una delle interpretazioni avanzate da parlamentari vicini al garante, potrebbe essere quella del “poliziotto buono e poliziotto cattivo”: Conte, in sostanza, sotto pressione da un buon numero di veterani che premono per non restare fuori dalle liste, alla fine si gioverebbe della sponda di Grillo davanti a un partito in fibrillazione ormai da tempo. Comunque vada la vicenda dei mandati, ci sara’ una sacca di scontento in un partito che, secondo stime che circolano all’interno, rischia di doversi accontentare di una trentina di seggi, un quinto scarso dei 162 attuali. Ad ogni modo, ha sottolineato Lorenzo Borre’, l’avvocato dei ricorsi contro il M5s, poiche’ il limite dei due mandati “e’ una regola etica accettata al momento dell’iscrizione al partito”, per il via libera alle deroghe “sara’ ineludibile la preventiva modifica del codice etico, che e’ parte integrante dello Statuto”. Un altro fronte aperto e’ quello delle parlamentarie. I tempi sono stretti, servirebbe una consultazione online rapida. Si starebbe lavorando a una soluzione di mediazione, sulla falsa riga delle elezioni europee del 2019, quando si uso’ la piattaforma Rousseau per selezionare i candidati, dando la possibilita’ all’allora capo politico Di Maio di scegliere i capilista. Pochi si sorprenderebbero, a questo punto, se fosse anche l’occasione per il ritorno in campo di un ex di peso come Alessandro Di Battista, che nel 2013 fu eletto deputato nel Lazio per il Movimento, da cui e’ uscito l’anno scorso in dissenso con il sostegno al governo Draghi. Si stanno intensificando i suoi interventi sui social, dove abbondano i commenti dei nostalgici che lo esortano con messaggi del tipo: “Torna a combattere con noi”. Conte, ospite di Filorosso, ha spiegato che si confrontera’ con lui, “perche’ e’ un po’ che non ci sentiamo”. E ha avvertito che, con il nuovo corso, il Movimento non e’ quello che Di Battista conosceva da vicino: “Se lui vuole tornare deve inserirsi in questa struttura. Non c’e’ piu’ la decisione di alcuni singoli sull’indirizzo politico, tutto passa da un percorso piu’ strutturato e razionale”.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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