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Conte “sospende” task force, tregua armata con Renzi

Conte “sospende” task force, tregua armata con Renzi

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La task force ci sara’ ma, rispetto a quella prevista due settimane fa, sara’ a dir poco rivoluzionata. E’ su questo assioma che si basa la tregua di Natale stipulata tra il premier Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Una tregua armata, sancita al tavolo di Palazzo Chigi tra il capo del governo e la delegazione di Iv – senza il suo leader – che puo’ cosi’ uscire dalla sede del governo scandendo che la “task force non c’e’ piu'”. In realta’, una struttura di missione ci sara’, come spiega il ministro Enzo Amendola. Piu’ che altro, ci deve essere, perche’ sono le linee guida dell’Ue a chiederla. Ma sara’ un nodo che il governo affrontera’ solo dopo l’ok del Cdm di fine anno al Recovery Plan. Un nodo da affrontare non prima di gennaio, forse anche dopo ai tanti altri dossier che assediano la maggioranza: dall’agenda di governo al rimpasto. Nel frattempo lo stallo sul Recovery Plan sembra essersi sbloccato. Lunedi’ o martedi’ un nuovo confronto tra Conte e le forze di maggioranza analizzera’ le proposte che queste ultime avanzeranno sullo scheletro dei 52 progetti consegnati in queste ore dal governo. Poi, il Consiglio dei ministri per l’ok al testo, “auspicabilmente” entro fine anno. Sempre negli ultimi giorni dicembre inizieranno gli incontri, piu’ tecnici, al Mef. E nei giorni in cui la bozza approdera’ in Parlamento il governo dara’ vita ad un nuovo giro di confronti con enti locali, parti sociali, terzo settore. Collegialita’, insomma. E’ sotto questa bandiera che Conte torna sui suoi passi rispetto alla bozza discussa nel Cdm dello scorso 7 dicembre quando, ricorda maliziosamente Teresa Bellanova, “il premier ha parlato per un’ora e 27 minuti della task force”. Quella composta dai 6 top manager, 300 funzionari e con in cima alla piramide il triumvirato Palazzo Chigi-Mise-Mef. “La task force dalla bozza e’ sparita, e’ un passo avanti”, sorride la capodelegazione renziana mentre poco prima l’ex premier usava toni meno amichevoli nella sua e-news: “la palla e’ nelle mani di Conte, dipende solo da lui”. Anche alla delegazione Leu Conte garantisce massima apertura sulla governance. Di sicuro una struttura di missione ci sara’, ma sara’ in una norma a parte rispetto al testo del Recovery, forse in un decreto ad hoc. “La governance e’ prevista a pagina 33 delle linee guida Ue, poi ogni Paese sceglie come costruirla. Non sostituira’ i ministeri, delineeremo queste norme lavorando come in questi due giorni, con pragmatismo e coesione”, spiega Amendola ai cronisti a Palazzo Chigi riassumendo, di fatto, il pensiero di Conte. Non si tratta di una pax, sia chiaro. L’incontro tra Conte e Iv e’ cordiale ma, spiega chi era presente, segnato dal distacco. E, a un certo punto, viene sfiorato anche il tema del Mes sanitario. Da Iv non arriva alcuna richiesta diretta ma il fondo viene citato. E sul punto Conte non proferisce parola. Del resto, l’arma puntata sugli alleati e sul premier, per Iv, resta proprio il Mes. “Se continuano ad esserci 9 miliardi sulla sanita’ nel Recovery riflettiamoci”, spiega Bellanova. Richiesta che Leu, con Loredana De Petris, giudica “strumentale”. Ma anche la delegazione guidata da Roberto Speranza pone al premier il tema dei fondi sulla sanita’: “vanno riequilibrati, rafforzando i progetti trasversali”, per esempio quelli che uniscono salute e Green. Ai vertici sul Recovery, come era prevedibile, il rimpasto ha la consistenza di un fantasma. Ma l’ipotesi, via via che la crisi si allontana, prende corpo. L’idea di due vicepremier, uno del M5S e uno del Pd, sebbene non caldeggiata da nessuno nel governo potrebbe permettere al premier un rimpasto con il coinvolgimento di pochi ministeri, uno dei quali – e di peso – certamente andrebbe a Iv. A cio’ potrebbe aggiungersi un mini-turnover, ma interno ai partiti. Il tema, spiega una fonte di maggioranza, potrebbe essere oggetto di incontri ben piu’ riservati di quelli sul Recovery, tra Conte e i 4 leader della maggioranza. Ed e’ un tema che nasconde un ulteriore nodo sul quale il premier non vorrebbe fare passi indietro: quello della delega ai servizi.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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