Dopo giorni di riflessione e silenzio insistente sulla crepa aperta dal discorso di Beppe Grillo ai parlamentari, Giuseppe Conte esce allo scoperto. In un discorso tanto schietto da risultar duro, detta le sue condizioni per iniziare un percorso insieme i Cinque Stelle e rilancia, con inusitata forza, la palla nel campo del co-fondatore del Movimento. Ora il futuro del nuovo M5s guidato dall’ex premier dipendera’ da lui e dal voto della base. “Spetta” a Grillo decidere “se essere il genitore generoso che lascia crescere la sua creatura in autonomia, o il genitore padrone che ne contrasta l’emancipazione”, l’appello-affondo di Conte, che scandisce in maniera molto netta il suo aut-aut: “Serve una leadership forte e solida, una diarchia non puo’ essere funzionale, non ci puo’ essere un leader ombra affiancato da un prestanome e in ogni caso non potrei essere io”. La replica del garante non si fara’ attendere e chi lo conosce scommette che non sara’ morbida. Intanto, il ministro Luigi Di Maio tenta l’ultima mediazione: “Stiamo remando tutti nella stessa direzione, il Movimento e’ pronto ad evolversi, coraggio. Confido nell’intesa”. Smorza i toni anche il presidente della Camera Roberto Fico, secondo cui questa “e’ una delle tante fasi che sta vivendo e ha vissuto. Un ulteriore passo e andremo avanti e saremo piu’ forti di prima. Non esistono ultimatum, ma un lavoro che si sta facendo”. L’ex presidente del Consiglio in giornata tiene una lunga conferenza stampa al Tempio di Adriano. Qui, da solo sul palco, con una platea composta esclusivamente di giornalisti (non vi sono parlamentari e manca all’appello anche Rocco Casalino, uomo della comunicazione pentastellata), racconta la sua versione dei fatti.
La sua storia, dal finale ancora in sospeso, inizia quando il comico genovese gli “chiese di diventare leader del M5s” dopo l’addio a Palazzo Chigi e finisce con gli ultimi turbolenti contatti sullo statuto. In mezzo ci sono “quattro mesi di studio del Movimento” e di elaborazione delle prospettive future. L’obiettivo dell’avvocato del popolo, come si soprannomino’ lui stesso, parte dalle “carenze e dalle ambiguita’” di oggi e punta ad apportare “innovazioni indispensabili” per il Movimento di domani. Non una mano di bianco, ma una ristrutturazione vera e propria, per iniziare la quale servira’ la voglia e “l’entusiasmo” di tutti, Grillo in primis, per cui “c’e’ e ci sara’ sempre il ruolo di garante”. In caso contrario, amici come prima e le strade si dividono, il senso del messaggio. Quindi, Conte invita il Movimento a votare in tempi rapidi lo statuto da lui definito e annuncia: “Non mi accontentero’ di una maggioranza risicata”. La risposta che otterra’ mettera’ un’ipoteca pesante sulla nuova leadership a cui spettera’ la sintesi politica ma anche il controllo della comunicazione. Una delle premesse per gestire in modo efficace un’organizzazione complessa. Un secco no allo spettro di una diarchia, dunque, ma “il garante – rassicura – potra’ anche sfiduciare il leader, sottoponendo la sua proposta al vaglio assembleare”.
Il futuro del M5S. Luigi Di Maio ha la stima di Beppe Grillo ancora garante del Movimento
E il ruolo del capo politico, in ogni caso, sara’ a tempo. Mentre continua il pressing dei big per ricomporre le due visioni del Movimento e trovare una complessa mediazione, i parlamentari pentastellati appaiono disorientati e spaccati, tra chi si schiera con Grillo e chi definisce “impensabile” rinunciare a Conte. Il quale sostiene di non avere un piano B qualora non salga al vertice della galassia pentastellata: “Chi mi conosce sa che non ho doppie agende. Se lavoro anima e corpo a un progetto lo faccio con trasparenza”. Eppure, l’ex premier parla gia’ da capo politico: nel suo intervento cita il rapporto con il Pd e il progetto di un campo largo che possa contrastare l’avanzata del centrodestra, ma anche gli italiani che stanno perdendo il lavoro, le imprese in difficolta’, le famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese. A loro, tramite il Movimento, vorrebbe dare voce, ma soprattutto risposte. E diversi parlamentari, soprattutto al Senato, sarebbero pronti a seguirlo. Il supporto al governo Draghi, risponde, non e’ in discussione: “Io fin da subito ho cercato di favorirlo. Dobbiamo lavorare su un Pnrr che e’ il piano di tutta la comunita’”. Per sapere come andra’ a finire quella che diversi eletti hanno gia’ definito una logorante partita a scacchi, con le sorti del M5s in ballo, non si puo’ che aspettare la contromossa di Grillo. Che non tardera’ ad arrivare.
Bersani e politica che si fa con l’orecchio a terra: dallo sciopero delle prostitute ai rimpianti sullo ius soli
Pier Luigi Bersani, in un’intervista al Corriere della Sera, ripercorre episodi della sua vita politica e personale: dalle liberalizzazioni allo sciopero delle prostitute, passando per il rimpianto sullo ius soli.
Pier Luigi Bersani (foto Imagoeconomica in evidenza), ex segretario del Pd, si racconta in un’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera, ripercorrendo episodi personali e politici che hanno segnato la sua vita e l’Italia contemporanea.
Nel suo nuovo libro “Chiedimi chi erano i Beatles” (Rizzoli), Bersani intreccia la politica, le battaglie sociali e i ricordi personali, come l’episodio curioso dello sciopero delle prostitute a Piacenza negli anni Settanta e la protesta dei commercianti sotto casa dei suoi genitori a Bettola, quando da ministro avviò le famose liberalizzazioni.
L’episodio delle prostitute e la lezione sulla politica
Durante la pedonalizzazione di un tratto della via Emilia, le prostitute protestarono. Il giovane Bersani, allora responsabile cultura del Pci locale, seguì l’episodio da vicino: «Un amministratore deve avere a cuore i problemi di tutti, anche quelli più difficili», ricorda.
Le liberalizzazioni e il pullman a Bettola
Nel 1996, da ministro, la sua “lenzuolata” per liberalizzare il commercio suscitò la rabbia dei commercianti. Una delegazione arrivò addirittura sotto casa dei suoi genitori. Ma l’accoglienza calorosa dei suoi — ciambelle e vino bianco — trasformò la protesta in una festa, segnando un inatteso boomerang per i contestatori.
La sfida canora con Umberto Eco
Bersani racconta anche della famosa sfida canora al convegno di Gargonza nel 1997, quando sconfisse Umberto Ecointonando canti religiosi: «Da noi era obbligatorio fare i chierichetti, non iscriversi subito alla Fgci».
Il rimpianto dello ius soli
Se fosse diventato premier nel 2013, Bersani avrebbe voluto introdurre lo ius soli con un decreto legge già alla prima seduta del Consiglio dei Ministri. Un rimpianto che ancora oggi pesa: «Se parti dagli ultimi, migliori la società per tutti».
I 101 e la caduta di Prodi
Bersani ammette di conoscere l’identità di circa «71-72» dei famosi 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodinella corsa al Quirinale. «C’erano renziani e non solo. Alcuni mi confessarono la verità piangendo».
Il rapporto con la morte
Dopo un grave problema di salute nel 2014, Bersani parla della morte con una serenità disarmante: «È più semplice di quanto pensassi. È la vita che si riassume in quell’istante». La sua fede è ora una ricerca continua: «Chi ha già trovato dovrebbe continuare a cercare».
Giorgia Meloni: Italia protagonista nel mondo, ma serve concretezza e prudenza
In un’intervista al Corriere della Sera, Giorgia Meloni racconta i suoi impegni internazionali, il rapporto con Trump e annuncia nuove misure per la sicurezza dei lavoratori.
In una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha raccontato i quindici giorni intensi che l’hanno vista protagonista sulla scena mondiale: dall’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump fino alla gestione dell’imponente cerimonia dei funerali di Papa Francesco a Roma.
Meloni ha sottolineato la perfetta riuscita organizzativa dei funerali, apprezzata da tutti i leader internazionali presenti: “È stato un grande lavoro corale, fatto di tante mani preziose”, ha detto, mantenendo però un approccio umile: “Io non sono mai soddisfatta, penso sempre che si possa e si debba fare di meglio”.
Nessun vertice politico ai funerali del Papa
Meloni ha precisato di non aver voluto trasformare il funerale del Papa in un’occasione di vertici politici: “Non avrei mai voluto distrarre l’attenzione da un evento così solenne”. Tuttavia, ha definito “bellissimo” il faccia a faccia spontaneo tra Trump e Zelensky a San Pietro, considerandolo “forse l’ultimo regalo di Papa Francesco”.
La sfida: riavvicinare Usa ed Europa
Nell’intervista, Meloni ha ribadito la necessità di rinsaldare l’alleanza atlantica e riavvicinare Stati Uniti ed Europa: “Il mondo cambia a una velocità vertiginosa, servono dialogo, studio e preparazione”, ha detto. Ha anche confermato che sono in corso contatti per un possibile incontro tra Trump e i vertici europei, anche se i tempi non sono ancora maturi: “Non importa se sarà a Roma o altrove, l’importante è ottenere un risultato concreto”.
L’amicizia con Trump e l’interesse nazionale
Meloni ha respinto le critiche di chi le rimprovera un rapporto troppo stretto con Trump: “Noi non siamo filoamericani, siamo parte dell’Occidente. Difendiamo il nostro interesse nazionale, indipendentemente da chi governa negli altri Paesi”.
Sul futuro, la premier ha affermato: “La sfida americana può essere un’opportunità anche per l’Europa, per tornare a crescere e innovare”.
L’Italia sulla pace in Ucraina
Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’Ucraina e all’ipotesi di un cessate il fuoco incondizionato: “Siamo contenti che Zelensky si sia mostrato disponibile, ora è la Russia che deve dimostrare volontà di pace”. Ha inoltre ricordato la proposta italiana di un modello di garanzia ispirato all’articolo 5 del Trattato Nato, anche al di fuori del perimetro Nato.
Nuove misure per la sicurezza sul lavoro
In vista del Primo Maggio, Meloni ha annunciato nuove iniziative concrete per migliorare la sicurezza dei lavoratori: “Stiamo lavorando a un piano importante, in dialogo con sindacati e associazioni datoriali, per combattere il dramma quotidiano delle morti sul lavoro”.
I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.
“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.
“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.
Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.