Collegati con noi

Politica

Conte alza la voce sulle nomine e prova a uscire da isolamento Ue

Pubblicato

del

Prova a uscire dall’isolamento, Giuseppe Conte. Al bivio della procedura d’infrazione sui conti e di una trattativa sulle nomine europee in cui l’Italia parte penalizzata il presidente del Consiglio gioca su piu’ tavoli. Convoca il Consiglio dei ministri per concedere all’Ue tutto quel che serve, in totale 8 miliardi, per evitare, fino alla manovra d’autunno, una bocciatura europea. E si mette di traverso sulle nomine, attaccando apertamente l’asse franco-tedesco e schierandosi con dieci Paesi medi e piccoli, tra cui quelli di Visegrad. Sono le sette del mattino quando Conte, alla tredicesima ora di vertice, rompe il silenzio dei leader riuniti in conclave e approfitta di una pausa per farsi vedere in sala stampa. La sua presenza attira l’attenzione dei giornalisti stranieri, le sue parole segnano un cambio di rotta. Il premier italiano, dicendo no al criterio dello Spitzkandidat, si schiera apertamente contro il pacchetto concordato (“Non a Osaka ma il giorno prima”, precisa) da Angela Merkel, Emmanuel Macron, Pedro Sanchez e Mark Rutte. Di piu’. Si intesta la tenuta del fronte anti-Timmermans che nasce dalla spaccatura del Ppe e dal no dei Paesi di Visegrad a Merkel. “Ho chiamato i contrari nella notte, invitandoli a non cedere”, raccontera’ poi. “La resistenza franco tedesca ha iniziato a vacillare dopo il mio appello a Francia e Germania a non soffiare sull’antieuropeismo”.

Conte salda – rivendicano da Palazzo Chigi – il “fronte” anti “Europa a due”: “Basta con il muro franco-tedesco e con il prendere o lasciare. L’Italia e il Consiglio europeo meritano rispetto”. L’obiettivo, secondo fonti parlamentari, sarebbe quello di ottenere per l’Italia un posto nel board della Bce, dopo l’uscita di Mario Draghi. Sul piano politico, Conte si appella alla volonta’ dei cittadini europei, mentre si preoccupa di non mostrarsi schiacciato sulla linea dei Paesi di Visegrad o di Matteo Salvini. Tra i parlamentari di maggioranza e opposizione la mossa del presidente del Consiglio viene letta proprio come un cedimento al veto di Salvini su Timmermans. Il premier spiega che il suo non e’ un veto su Timmermans, il socialista che ha inserito il salario minimo europeo (caro al M5s) nel suo programma, ma un’obiezione “sul metodo”. All’alba e’ pronto a votare, sia pure con motivazioni diverse, proprio con i Visegrad per bloccare la nomina di Timmermans. Il voto dell’Italia e’ pesante in una logica di blocco: sfilarsi dal fronte anti-Timmermans, osservano sempre da Roma, sarebbe uno schiaffo a Salvini. Ma l’Italia, che spinge per nomi alternativi, si lascia lo spazio per convergere su Timmermans, se la trattativa finale lo vedra’ ancora in campo. Certo, lo schiaffo a Francia e Germania, in nome dei cittadini e di partiti di governo che sono fuori dai giochi delle grandi famiglie europee, preoccupa chi guarda ancora con qualche timore al giudizio sulla procedura di infrazione Ue.

Prima gli sherpa, poi i commissari, infine i ministri economici europei valuteranno l’aggiustamento dei conti che esce dal Consiglio dei ministri. Anche se nel governo sono convinti di averla “sfangata”, almeno fino all’autunno, l’Ue sarebbe fino all’ultimo pronta ad azionare il grilletto. Le due partite sono slegate, assicurano pero’ a Palazzo Chigi, smentendo un tentativo di alzare la posta con i partner europei o rinviare – insieme alle nomine – anche la decisione della Commissione Ue. Conte, che parla con Jean Claude Juncker a margine del Consiglio europeo, per sminare la procedura sceglie di fare “tutto quel che serve”: non solo risparmi e minori spese ma anche un decreto per destinare i risparmi di quota 100 e reddito a taglio del deficit. Ben 8 miliardi, si precisa in ambienti di governo. Sia Di Maio che Salvini non sono in Cdm al momento della decisione: non ci mettono la faccia e il governo non prende impegni formali sul 2020. Il governo si prepara alla battaglia vera, sulla manovra d’autunno e la flat tax.

Advertisement

Politica

Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

Pubblicato

del

All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

Continua a leggere

Politica

Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

Pubblicato

del

Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

Continua a leggere

Politica

‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

Pubblicato

del

“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto