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Politica

Colle non inteferisce su riforme. Rebus legge elettorale

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Mai e poi mai il presidente della Repubblica esprimerebbe giudizi di carattere tecnico o politico su una riforma che tocca i suoi poteri. Il che vuol dire: anche se ci sono state interlocuzioni informali con il governo prima dell’arrivo del testo in Consiglio dei ministri, questo non significa che ci sia alcuna condivisione. Così dal Quirinale spiegano l’atteggiamento di Sergio Mattarella rispetto alla riforma delle riforme che l’Esecutivo è intenzionato a varare in tempi strettissimi. Tempi che saranno invece lunghissimi per la sua eventuale approvazione. Si tratta infatti di una riforma costituzionale squisitamente governativa alla quale le opposizioni hanno già annunciato che si opporranno con durezza, “sia in Aula che nelle piazze”. E che, prevedibilmente, non riuscendo ad avere i due terzi dei consensi previsti sarà oggetto di un referendum confermativo che si annuncia molto divisivo per il Paese. Tanto che sono già pronti all’azione diversi “Comitati per il no”.

Senza considerare che già si è aperto il dibattito su quale sarà la legge elettorale che dovrà accompagnare questa forma di premierato (non ci sono in Europa esempi a cui guardare). Sembra probabile che il governo voglia accompagnare – magari tra prima e seconda lettura – la riforma con una nuova legge elettorale. Il Capo dello Stato non si esprime nel merito – come non si espresse sulla riforma del bicameralismo perfetto voluta da Matteo Renzi e poi bocciata dai cittadini alle urne – ma non avrebbe ostacoli nell’autorizzare la presentazione alle Camere della riforma, non essendoci terremoti costituzionali come un ritorno alla monarchia, per fare un esempio estremo. Dopo di che, si assicura, non ci saranno interferenze, richieste di modifica o veti. Certamente il testo tocca profondamente i poteri del Presidente della Repubblica e il governo sembra esserne consapevole, come dimostrano gli affievolimenti del provvedimento proprio sui poteri del Quirinale. Tanto che, si apprende da fonti della maggioranza, da qui a venerdì potrebbe essere ritoccato uno dei punti sensibili del progetto, cioè la cosiddetta “norma anti-ribaltone”.

Che così recita: “Il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto” per attuare il programma sul quale è stata chiesta la fiducia. Di fatto viene depotenziato uno dei poteri forti del Quirinale e molti, tra le opposizioni, paventano il rischio di rilievi di costituzionalità rispetto ad una carica che passerebbe da una figura legittimata dai cittadini ad una che non lo sarebbe. Anche per questo motivo, tra le ipotesi ci sarebbe anche quella di allargare le maglie a personalità – anche esterne alla maggioranza – che però siano impegnate ad attuare il programma. Ma così – si rileva anche – si riaffaccerebbe lo spettro del governo tecnico. Ancora più complesso è il tema della legge elettorale che oggi sembra un dettaglio, ma che invece potrebbe rappresentare un rebus per il progetto. Si costituzionalizza infatti un pezzo di legge elettorale là dove l’articolo della riforma del premierato prevede “un premio assegnato su base nazionale che garantisca ai candidati e alle liste collegate al Presidente del Consiglio il 55 per cento dei seggi nelle Camere”.

Insomma, se è chiara la ratio che sta dietro questo articolo, cioè la stabilità politica, meno chiaro è capire come non incorrere in una sentenza della Consulta. Infatti, nel 2014 la Corte Costituzionale bloccò il “Porcellum” evidenziando come l’assenza di una soglia minima rispetto ad un premio di maggioranza così forte (all’epoca era fissato al 54 per cento) rendesse pericoloso il sistema. In sostanza, anche chi prendesse solo il 20 per cento dei consensi potrebbe arrivare al 55 per cento dei seggi. Ma una soglia minima, per esempio al 40 per cento, introdurrebbe la necessità di un doppio turno nel caso in cui l’obiettivo non fosse centrato al primo colpo. Una possibilità che non sembra godere di molti auspici dentro la maggioranza di governo.

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Politica

Atto di clemenza per onorare Papa Francesco: la politica torna a discutere di indulto e liberazione anticipata

Casini, Boschi, Serracchiani e altri parlamentari rilanciano l’appello di Papa Francesco: proposto l’indulto per l’ultimo anno di pena. Forza Italia apre, centrodestra diviso.

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Nel clima sospeso di queste giornate post-festive, scosse dalla solennità dei funerali di Papa Francesco, la politica italiana rispolvera un tema delicato e mai risolto: l’atto di clemenza verso i detenuti, nel nome del Pontefice scomparso. È stato Pier Ferdinando Casini, con un intervento sul Corriere della Sera, a riaprire il dibattito, rilanciando l’appello di Papa Francesco per una giustizia più umana, espresso simbolicamente all’apertura dell’Anno giubilare nel carcere di Rebibbia.

A farsi portavoce di questa istanza anche il movimento radicale Nessuno Tocchi Caino, che ha proposto la liberazione anticipata per i detenuti con un solo anno di pena residua. Una proposta già sottoscritta da parlamentari di diversi schieramenti: Maria Elena Boschi (Italia Viva), Debora Serracchiani (Pd), Luana Zanella (Avs), Maurizio Lupi (Noi Moderati), fino ad arrivare a Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia al Senato.

“Un minimo di coerenza vorrebbe che la politica, commossa ai funerali del Pontefice, dia un segnale concreto, non solo retorico”, ha dichiarato Zanettin. A fargli eco, Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera: “Serve una misura straordinaria, non un perdono indiscriminato”.

Tuttavia, non mancano i contrasti: Fratelli d’Italia e Lega restano silenziosi o critici, ricordando le frizioni già esplose nel centrodestra quando, lo scorso anno, Forza Italia sembrava aprire alla proposta di Roberto Giachetti sulla liberazione anticipata. Apertura poi rientrata dopo le tensioni con gli alleati.

Intanto, al ministero della Giustizia, guidato da Carlo Nordio, il viceministro Francesco Paolo Sisto conferma che è allo studio un provvedimento sull’uso eccessivo della custodia cautelare, ma frena su condoni e amnistie: “È giusto dire che si esce dal carcere solo perché non c’è posto? No. Lo sfratto non è incline alla funzione rieducativa della pena”.

Il confronto resta acceso, ma l’eredità spirituale e sociale di Papa Francesco torna a farsi sentire anche nelle aule parlamentari, spingendo una parte della politica a immaginare un gesto di clemenza come segno di civiltà e memoria.

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Politica

Giorgia Meloni guarda al 2027: “Realizzare tutto il programma, poi tornerò dagli elettori”

A metà legislatura Giorgia Meloni punta al 2027: “Portare a termine il programma del centrodestra”. Confronto con i sindacati l’8 maggio, riforme e lavoro in primo piano.

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A metà legislatura, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni fissa già l’orizzonte del prossimo voto: il 2027, quando intende ripresentarsi agli italiani potendo dire “ve lo avevamo promesso, lo abbiamo fatto”. In un’intervista concessa ad AdnKronos, la leader di Fratelli d’Italia chiarisce di voler portare a termine l’intero programma del centrodestra, affrontando sfide ancora aperte come la natalità, il costo dell’energia e la sicurezza sul lavoro.

GUIDO CROSETTO MINISTRO DIFESA, LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI (Foto Imagoeconomica)

Il nodo lavoro e le critiche delle opposizioni

L’intervista arriva dopo un Primo Maggio segnato dalle dure contestazioni dell’opposizione. Elly Schlein accusa Meloni di “mentire a viso aperto sui numeri del lavoro”, mentre Giuseppe Conte parla di “presa in giro ai danni dei lavoratori” e Matteo Renzi sottolinea il record negativo di emigrazione dall’Italia: “191mila persone hanno lasciato il Paese nel 2023”. Meloni rivendica però i risultati raggiunti e lancia l’obiettivo di essere ricordata come la premier che ha aumentato l’occupazione e ridotto il precariato, annunciando il confronto con le parti sociali previsto per l’8 maggio e una dotazione di 1,25 miliardi per nuove misure in materia di lavoro e sicurezza.

Riforme e legge elettorale, la partita del premierato

L’orizzonte resta la primavera 2027, ma le voci di elezioni anticipate al 2026 continuano a circolare. Nel centrodestra, intanto, si intensificano le riflessioni sulla legge elettorale, strettamente connesse alla riforma del premierato, “madre di tutte le riforme” secondo Meloni. Non è un mistero che la presidente preferirebbe una forma di governo presidenziale, ma per ora ribadisce l’impegno sul testo in discussione alla Camera da dieci mesi.

GIANCARLO GIORGETTI MINISTRO ECONOMIA, LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI

“Sessismo contro di me nel silenzio generale”

Nell’intervista, Meloni confessa di essere rimasta “colpita” da “attacchi sessisti vergognosi” subiti in questi anni, lamentando l’indifferenza di chi si riempie la bocca con i diritti delle donne. La replica di Maria Elena Boschi (Italia Viva) non si fa attendere: “FdI ha usato sessismo contro di me per anni. Giorgia, basta chiacchiere e vittimismo. Governa se sei capace”.

Rapporti internazionali: da Trump a Macron

Meloni conferma la sua “relazione speciale” con Donald Trump, riconosciuta anche dalla Casa Bianca, e racconta del consiglio dato al presidente serbo Aleksandar Vucic prima del suo incontro a Mar-a-Lago con l’ex presidente Usa. “Meglio parlare con lui lì che a Washington”, avrebbe detto lei. Il legame con gli Stati Uniti resta saldo: “Difenderemo i nostri interessi con lealtà, ma senza subalternità”, spiega Meloni.

Sul fronte europeo, rivendica un rapporto pragmatico con Ursula von der Leyen, fondato su “stima e franchezza”, e auspica una rimodulazione del Green Deal. Conta di trovare una sponda nel possibile prossimo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, e descrive i rapporti con Macron come “di collaborazione e sana competizione” tra due leader di famiglie politiche diverse, ma con interessi comuni.

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Politica

Ministro Giuli: scudetto al Napoli? Rallegra il cuore di un romano e un romanista come me

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“Napoli non è in odore di scudetto, ma è in profumo di scudetto. Io sono romano e romanista, ma innamorato di Napoli. Sappiamo bene che in passato ci sono stati terribili episodi che hanno riguardato le tifoserie della Roma e del Napoli. Oggi sentire Napoli in profumo di scudetto è una cosa che rallegra il cuore di un romano e di un romanista”. Così il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, sulla corsa scudetto, a margine della sua visita al cantiere dell’Albergo dei poveri a Napoli.

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