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Politica

Codice Rosso per la violenza sulle donne, ecco che cosa stabilisce il disegno di legge

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Non solo la comunicazione immediata al pm delle denunce delle donne vittime di violenza da parte della polizia giudiziaria e l’obbligo per il magistrato di ascoltarle nel giro di tre giorni.

Il Codice Rosso contiene anche altre misure come l’obbligo per le forze di polizia di seguire corsi di formazione ad hoc.

 

DENUNCE TRASMESSE SUBITO AL PM.

Sparisce, con una modifica dell’articolo 347 del codice di procedura penale, ogni discrezionalità da parte della polizia giudiziaria che, una volta ricevuta una denuncia da parte di una donna su maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate subiti e commessi in contesti familiari o di semplice convivenza, dovrà inviarla subito al magistrato senza valutare se sussistono ragioni di urgenza. La ragione di questa velocizzazione è impedire che la situazione deteriori ulteriormente e adottare il prima possibile eventuali provvedimenti “protettivi o di non avvicinamento”.

PM DEVE SENTIRE VITTIMA ENTRO TRE GIORNI

L’obbligo per il magistrato scatta dall’avvio del procedimento per tutti i casi di violenza domestica e di genere. Una deroga è possibile solo se ricorrono “imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della vittima”.

Con la modifica dell’articolo 362 del codice di procedura penale si vuole dare al pubblico ministero la possibilità di valutare subito l’eventuale sussistenza delle esigenze cautelari a carico dell’aggressore

POLIZIA GIUDIZIARIA DEVE DARE PRIORITA’ A INDAGINI

Con un’integrazione dell’art. 370 c.p.p., si obbliga la polizia giudiziaria a dare priorità allo svolgimento delle indagini delegate dal pubblico ministero (senza alcuna possibilita’ di valutare l’esistenza dell’urgenza) quando si tratti di reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, commessi in ambito familiare o di semplice convivenza. E l’esito dell’indagine va trasmesso in modo tempestivo al pubblico ministero.

CORSI DI FORMAZIONE PER FORZE POLIZIA

Il disegno di legge introduce l’obbligo di formazione (a partire dall’anno successivo all’entrata in vigore della legge) per la polizia di Stato, Arma dei carabinieri e polizia Penitenziaria, attraverso la frequenza di corsi presso specifici istituti, così da fornire al personale coinvolto in procedimenti in materia di violenza domestica e di genere, le competenze specialistiche necessarie a fronteggiare questa tipologia di reati, sia in termini di prevenzione che di repressione degli stessi, nonchè per una più adeguata interlocuzione con le vittime.

Violenza sulle donne, corsia preferenziale in caso di denuncia di donne per violenze

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Ambiente

Ponte sullo Stretto, ok della Valutazione ambientale ma il Quirinale blocca norma antimafia del decreto Infrastrutture

La Presidenza della Repubblica chiede lo stralcio della norma sui controlli centralizzati. Intanto arriva il via libera ambientale al progetto.

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Passo avanti sul fronte tecnico, ma stop sul piano normativo. Il decreto Infrastrutture, approvato lunedì scorso dal Consiglio dei ministri, è stato modificato su richiesta del Quirinale, che ha chiesto di eliminare una norma pensata per rafforzare i controlli antimafia legati alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.

La misura, fortemente voluta dal ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini e dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, prevedeva il trasferimento delle competenze di controllo alla struttura centralizzata per la prevenzione antimafia del Viminale, sulla falsariga del modello già in uso per Milano-Cortina 2026 e per le zone terremotate.

«Volevamo centralizzare i controlli come segno concreto dell’impegno sulla prevenzione delle infiltrazioni criminali», aveva spiegato Piantedosi.

Tuttavia, secondo la Presidenza della Repubblica, non sussistevano i presupposti d’urgenza che giustificassero l’inserimento della norma nel decreto, chiedendone la rimozione prima dell’uscita del testo da Palazzo Chigi. Una decisione che ha sorpreso la Lega, che non esclude di riproporre la misura tramite un emendamento nei prossimi passaggi parlamentari.

Il progetto del Ponte riceve l’ok ambientale

Nel frattempo, il progetto del Ponte sullo Stretto ha segnato un passo avanti importante con il via libera della Commissione tecnica del Ministero dell’Ambiente alla Valutazione di impatto ambientale (VIA). Dopo mesi di richieste e approfondimenti, la documentazione potrà ora essere trasmessa alla Presidenza del Consiglio, dove il progetto attende il timbro finale del Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile).

L’iter non si ferma qui: il governo dovrà trasmettere un’informativa alla Commissione Europea, tappa necessaria prima della delibera conclusiva.

Salvini: «Un passo fondamentale». Morelli: «Chiudiamo in due settimane»

Il vicepremier Salvini ha commentato con entusiasmo la notizia:

«È un altro passo fondamentale verso un’opera che unisce e sviluppa».

A fare il punto sulle prossime tappe è Alessandro Morelli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Cipess:

«Siamo in costante contatto con le amministrazioni competenti. Appena arriverà la proposta di delibera dal Mit, confidiamo di chiudere l’intero percorso entro due settimane, con il via libera definitivo del Cipess».

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Politica

Addio a Franco D’Ercole, galantuomo della Destra e protagonista della politica campana per oltre mezzo secolo

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Si è spento nella notte, dopo una lunga malattia, Franco D’Ercole, storico esponente della Destra campana e figura di riferimento per decenni nel panorama politico regionale. Aveva 78 anni. Per oltre mezzo secolo ha rappresentato con fierezza una parte politica che, soprattutto nei suoi primi anni di attività, era difficile da sostenere in una terra in cui a dominare erano la Democrazia Cristiana e la Sinistra, con comunisti e socialisti. Ma lui, Franco D’Ercole, era la Destra, e ne ha incarnato valori e ideali con fermezza, coerenza e stile.

Le origini e l’impegno per le periferie

Nato a Misurata, in Libia, nel 1946, D’Ercole apparteneva a una famiglia italiana che aveva vissuto nel Nordafrica, fino al rientro forzato in Italia. Stabilitosi ad Avellino, aveva fatto della periferia di Borgo Ferrovia il cuore della sua battaglia politica, impegnandosi sempre in Consiglio comunale per dare voce ai quartieri e alle contrade più lontane dal centro.

La carriera politica: dal Msi ad Alleanza Nazionale

Avvocato e dirigente dell’amministrazione giudiziaria, Franco D’Ercole fu consigliere comunale del Msi dal 1985 al 1995, accompagnando poi la svolta di Fiuggi e la nascita di Alleanza Nazionale. Entrò nel Consiglio regionale della Campania e fu sempre riconfermato fino al 2010.

Dal 1995 al 1999 fu assessore regionale alle Attività produttive e al Turismo nella giunta Rastrelli. Dal 2001 al 2005 ha presieduto la commissione per la revisione dello Statuto del Consiglio regionale, e tra il 2007 e il 2010 fu capogruppo dell’opposizione quando a Palazzo Santa Lucia sedeva Antonio Bassolino.

Gli incarichi nel settore pubblico

Negli anni successivi, D’Ercole ha ricoperto anche ruoli di vertice in importanti enti pubblici: dal 2010 al 2013 fu presidente del CdA di Alto Calore Servizi, poi amministratore delegato di Soresa, la centrale acquisti della sanità campana.

Un galantuomo della politica, come lo hanno definito in molti, capace di farsi rispettare anche dagli avversari, sempre con il tratto di chi metteva al primo posto il bene pubblico.

L’ultimo saluto

I funerali di Franco D’Ercole si terranno oggi pomeriggio alle ore 16 nella chiesa del Rosario di Avellino. Una folla di amici, colleghi e cittadini lo saluterà per l’ultima volta, rendendo omaggio a una figura che ha saputo vivere la politica con passione, rigore e dedizione.

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Politica

Lega in pressing sul terzo mandato, Fedriga vedrà Meloni

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La Lega – e in particolare quella dei governatori del nord – non demorde sul terzo mandato. E si prepara ad affrontare, con Massimiliano Fedriga, il ‘match’ con la premier Giorgia Meloni. il presidente del Friuli Venezia Giulia la incontrerà a Palazzo Chigi, per recuperare il confronto saltato a Venezia per la febbre della leader. Il leghista proverà a sbloccare la crisi della sua Giunta, in standby da domenica dopo il ritiro delle deleghe degli assessori della Lega e di Forza Italia. Fedriga ha annullato ogni impegno istituzionale, tra le proteste delle opposizioni che chiedono che riferisca in Consiglio. Al momento sembra più remota l’opzione di una sfiducia, più probabile un rimpasto di giunta per sanare la crepa. Ma all’orizzonte resta il nodo, più intricato, del divieto di mandati per i governatori che di certo non va giù a Luca Zaia, doge del Veneto.

Ma nemmeno a Maurizio Fugatti: in serata il presidente della Provincia autonoma di Trento, con un decreto, redistribuisce le competenze fra gli assessori e toglie le deleghe a Francesca Gerosa di Fratelli d’Italia, che era sua vice e assessora. Continua, invece, a ridimensionare Matteo Salvini. “Se il centrodestra ci darà ragione, sarò contento perché bisognerà fare in modo che siano i cittadini a scegliere”, si limita a dire a Foggia, una delle tappe dei suoi impegni da ministro delle Infrastrutture. Non a caso, incalzato dai giornalisti, aggiunge: “Le mie giornate sono piene di altro”. Parole da cui affiora l’equilibrismo nei rapporti con gli alleati. Consapevole che sia difficile strappare qualcosa, dopo che il governo ha impugnato alla Consulta la legge trentina sul terzo mandato, con il no della Lega.

E sapendo benissimo che gli alleati sono molto meno sensibili alla questione. La più definitiva appare Forza Italia: è discorso chiuso, dice tra le righe il portavoce azzurro Raffaele Nevi. “Non ci sono cambiamenti per quanto ci riguarda”, convinto che il limite dei due mandati “per tutte le regioni, anche a statuto speciale”, serva. Il forzista risponde così, indirettamente, alla sponda tentata da Fratelli d’Italia (in attesa della decisione della Corte costituzionale che si può immaginare arriverà non prima di settembre e forse anche oltre) e all’apertura più esplicita fatta dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Conferma che “è una discussione legittima che andrà composta in sede politica” e ricorda che c’è stata “l’ampia disponibilità di tutti a separare la questione tecnico- giuridica” da una riflessione più ampia e politica.

D’accordo il presidente del Senato, Ignazio La Russa: “Io non sono contrario in assoluto e anche nel caso specifico, penso che una riflessione sia solo positiva”, è il commento misurato del ‘colonnello’ di FdI. Ma che il tema vero, più del Friuli, sia il Veneto non è un mistero, soprattutto perché nella terra saldamente in mano a Zaia si voterà in autunno. Proprio lì la base leghista è più in fermento: oltre alla sorte del Doge, preoccupa il rischio (concreto) che non ci sia un altro leghista in corsa, bensì un candidato di FdI. Con l’effetto, quindi, di perdere il timone della roccaforte veneta (e i consensi al partito di Salvini), e ipotecare la guida della Lombardia e del Friuli, anche se nel più lontano 2028. Ma nonostante il largo anticipo, è proprio il governatore leghista, Attilio Fontana, ad ammettere oggi: “Un terzo mandato in Lombardia è una delle ipotesi che sicuramente prenderei in considerazione”.

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