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Cmc ovvero la Coop rossa che arranca in Italia ed è sotto inchiesta per corruzione in Kenya: indagini sul contratto firmato ai tempi di Renzi  

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C’è una nuova indagine in arrivo dall’Africa e questa volta riguarda uno dei nostri colossi delle costruzioni, la Cmc (Cooperativa Muratori & Cementisti di Ravenna) travolta dagli scandali in Kenya. L’ipotesi di reato è quella di corruzione internazionale. A indagare è la Directorate of Criminal Investigations (Dci), un corpo speciale di polizia investigativa kenyota, insieme ad altri organi inquirenti dentro e fuori il Paese africano. Sotto accusa c’è appunto la Cmc, storica coop rossa che rischia il fallimento se l’Anas non dovesse sbloccare alcuni cantieri ormai fermi in tutta Italia: con il nostro ente di gestione delle autostrade la storica coop romagnola ha infatti una serie di contenziosi aperti (dati di dicembre) per la cifra monstre di 1,2 miliardi di euro. Nelle ultime settimane ci sono stati diversi incontri che fanno ben sperare. Ma anche per questo motivo l’impresa è in concordato preventivo da dicembre, con debiti pari a 900 milioni di euro. Ma se in Italia la situazione è, più o meno, sotto controllo, grossi problemi sono in arrivo da Nairobi dove, secondo le accuse delle autorità investigative kenyote, Cmc avrebbe pagato una tangente per ottenere gli appalti per tre dighe. L’Italia, non va dimenticato, è uno dei più importanti partner commerciali del Kenya, basti pensare che nel solo 2018 gli scambi commerciali sulle esportazioni dal nostro Paese sono stati pari a 180 milioni di euro.

  • Cmc finisce sui quotidiani di Nairobi. Si indaga su quattro ministri del governo di Uhuru Kenyatta. Al centro la costruzione di tre dighe del valore di 800 milioni di euro, due in joint venture con la società Itinera (gruppo Gavio). La Directorate of criminal investigations (Dci) sta effettuando verifiche su un conto alla banca Westland in cerca di presunte tangenti. «Le procedure contrattuali di aggiudicazione e quelle di perfezionamento dei finanziamenti», spiegano gli interessati, «aderiscono agli standard internazionali. In particolare i finanziamenti sono stati coperti da polizze Sace».

Ma andiamo con ordine. Un contratto è stato siglato nel 2014, gli altri due nel 2015, durante la visita dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, quando fu immortalato con un giubbotto anti proiettili insieme con il presidente Uhuru Kenyatta. Il valore complessivo delle tre dighe è di oltre 800 milioni di euro. Le opere di Cmc – in joint venture con la società Itinera (gruppo Gavio) – rientrano in un mega piano di ridistribuzione dell’acqua in Kenya, una delle promesse elettorali proprio di Kenyatta. Ma solo nella diga di Itare, secondo i media locali, sarebbero cominciati i lavori. Nelle altre due, ad Arror e Kimwarer, invece, è ancora tutto fermo. Il caso è cominciato con un presunta tangente, di cui non è stato definito l’importo da parte degli investigatori, ma che farebbe parte dei 4,9 miliardi di scellini (corrispondente a circa 44 milioni di euro) transitati da una banca di Westland, quartiere di Nairobi dove vivono gli expat e hanno sede le principali multinazionali. Dopo i primi approfondimenti sulla banca, a metà febbraio circa, è cominciata l’inchiesta che coinvolge anche quattro ministri in Kenya: Simon Chelugui dell’Acqua, Henry Rotich del Tesoro, Najib Balala del Turismo e Mwangi Kiunjuri dell’Agricoltura.

L’ex premier Renzi col Presidente del Kenia Uhuru Kenyatta

  • Tutte le difficoltà della cooperativa che ha dato lavoro al fratello di Maria Elena Boschi. I contenziosi con Anas per 1,2 miliardi e la richiesta di concordato preventivo a dicembre 2018. La sede dei servizi segreti in piazza Dante ancora da completare…

Oltre a Cmc, la Dci di Nairobi ha convocato altre 106 aziende per quello che potrebbe essere uno delle più grosse distrazioni di fondi pubblici nella storia dello stato africano. L’azienda italiana, dal canto suo, ha smentito le ricostruzioni dei giornali del Kenya, che la danno già per fallita e prossima ad abbandonare il Paese. E ha spiegato in una nota stampa di aver ricevuto un primo pagamento per la diga di Itare da 7,8 miliardi di scellini (69 milioni di euro) per i lavori preliminari. Dal 25 settembre, viste le condizioni economiche in Italia, Cmc «si è vista costretta a interrompere i lavori in attesa del pagamento dei residui dovuti che alla data odierna non sono ancora stati emessi», ha aggiunto. L’azienda ha anche precisato di «essere pienamente impegnata a completare il progetto della diga prima o entro i tempi previsti», si legge in un’altra dichiarazione rilasciata alla stampa. Non solo. Rispetto alle accuse di corruzione internazionale, sempre il colosso delle costruzioni ravennate, spiega che rispetto alle ipotesi apparse in questi giorni sui media keniani tutte «le procedure contrattuali di aggiudicazione e quelle di perfezionamento dei finanziamenti hanno aderito a degli standard internazionali. In particolare i finanziamenti sono stati coperti da polizze Sace». Il finanziamento, secondo quanto si apprende, è stato di Intesa San Paolo.

Nel frattempo nelle scorse settimane è passato in Italia Noordin Haji, che per diciannove anni è stato avvocato generale del Kenya per poi passare nel National Intelligence Service, dove ha percorso tutto il cursus honorum fino a diventarne vice direttore della sezione dedicata al contrasto della criminalità organizzata e della criminalità economica. Nel marzo 2018 Haji è stato nominato Director of Public Prosecutions (Dpp). Si tratta di un ruolo indipendente da ogni altro potere dello Stato, ha il compito di sovrintendere a tutte le inchieste e i casi penali del Paese e rende conto solo una volta all’anno al Parlamento, attraverso un rapporto che sintetizza le sue attività considerate di interesse nazionale. La priorità attuale del Dpp è proprio la lotta alla corruzione.

  • La replica dell’azienda: «Cmc rende noto di non aver ricevuto a oggi alcuna comunicazione ufficiale relativa all’indagine riferita nell’articolo. Cmc precisa inoltre che la notizia secondo cui sarebbe al vaglio un contratto firmato ai tempi di Matteo Renzi è falsa e destituita di ogni fondamento».

Non solo. Haji sta cercando di sviluppare rapporti bilaterali con gli altri paesi, tra cui in particolare l’Italia, dal momento che i nostri connazionali sono molto impegnati dal punto di vista imprenditoriale tra Nairobi e Malindi. Non a caso in questi giorni il suo viaggio a Roma e Palermo sta facendo rumore sui giornali africani perché durante la visita avrebbe trovato riscontri sul ruolo che avrebbe avuto «nell’affare Cmc» l’attuale ministro del Tesoro Rotich che, secondo le indagini, risulterebbe in società con Rita Ricciardi, presidente dell’Associazione per il Commercio tra Italia e Kenya.

Noordin Haji in una foto recente assieme all’avvocato italiano Francescomaria Tuccillo. Mister Haji oggi è Director of Public Persecutions (DPP) della Repubblica del Kenia

La situazione è molto complessa. Da quando l’affaire Cmc è scoppiato, le stesse autorità del Paese africano hanno cominciato a smentirsi a vicenda rispetto al volume di denaro coinvolto nello scandalo, rimpallandosi responsabilità come l’effettivo valore degli appalti. Il vice presidente William Ruto ha sostenuto infatti che l’indagine riguardasse in tutto 7,1 miliardi di scellini, pagati a Cmc per le dighe di Kamwarer (4,9 miliardi) e Arror (3.2 miliardi), nonostante i lavori siano fermi. Al contrario il ministro dell’Acqua, Chelugui, sostiene invece che l’incasso di Cmc sia tre volte superiore e ha preso le distanze pubblicamente dal progetto, deciso dal Ministero della Cooperazione regionale: quest’ultimo non risulta coinvolto perché la trattativa nel 2015 era stata gestita direttamente dal Tesoro. La confusione è molta sotto il cielo. Il motivo è soprattutto politico: l’opposizione sta cercando di utilizzare il caso per screditare il presidente Kenyatta, sempre più solo e criticato.

Dalla sede dei servizi segreti al fratello della Boschi: storia di un anno difficile

La Cmc di Ravenna è una delle cooperative più antiche in Italia, da sempre vicine all’area politica del centrosinistra. Fondato a Ravenna nel 1901 da un gruppo di 35 lavoratori edili che per primi istituirono la «Società anonima cooperativa fra operai, muratori e manovali del Comune di Ravenna», è da quasi un secolo una delle più importanti ditte di costruzioni in Italia. Fermarla significa anche fermare il nostro paese, dal momento che le infrastrutture più importanti e strategiche sono di sua competenza.

Persino la nuova sede dei servizi segreti di piazza Dante a Roma è nelle mani della cooperativa romagnola, i lavoro dovevano chiudersi due anni fa mentre ora si parla della fine del 2019. Cmc vanta oggi circa 7.000 dipendenti nel mondo, di cui 400 operano solo a Ravenna.

Dal 2018, la società genera oltre il 70% del suo fatturato dalle sue attività all’estero. Ha un portafoglio ordini che è salito a 4,5 miliardi di euro ed è attualmente presente in circa 40 paesi in 4 continenti, con oltre 30 filiali nei diversi paesi in cui opera. Ma in Italia negli ultimi anni le cose sono iniziate ad andare male. Lo ha spiegato bene l’istanza di concordato preventivo con riserva depositata il 4 dicembre al tribunale di Ravenna. In quella richiesta di aiuto si riassume lo stato di sofferenza soprattutto finanziaria dell’azienda. Dal momento che nell’ultimo anno il volume della produzione è sceso da 549 a 514 milioni di euro, il margine operativo da 45 a 37 milioni, la disponibilità liquida da 181 milioni a 89 milioni. Il problema è la liquidità. Ma come fare se Anas, la nostra stazione appaltante sulle autostrade, non paga?

I contenziosi con via Monzambano sono aumentati a dismisura negli ultimi tempi. Il più imponente riguardava in particolare i lavori per il primo lotto della strada Agrigento-Caltanissetta, per quasi 600 milioni di euro. Ora pare essersi sbloccato qualcosa. Ci sono stati diversi incontri e c’è ottimismo sulla ripartenza dei lavori. La situazione resta sempre critica. E per una parte dei lavoratori è già scattata la cassa integrazione. Del resto già alla fine dello scorso anno erano previste entrate per 137 milioni mentre ne sono arrivate solo per 52 e la società non ha potuto far fronte a tutti gli obblighi. Fra cui il pagamento della famosa cedola in scadenza il 15 novembre scorso per uno dei due bond contratti (obbligazioni per un importo complessivo di 575 milioni di euro). Questa situazione di sofferenza ha portato allo scattare di decreti ingiuntivi da parte dei creditori stessi e all’avvio dei meccanismi per la dichiarazione di fallimento.

A quanto risulta al Sole24 ore, dovrebbe trattarsi di concordato misto, «sul tavolo ci sarà anche la cessione di asset, dismissioni che saranno uno dei punti del piano concordatario per il quale è stata chiesta una proroga di 60 giorni dagli advisor Mediobanca e studio Trombone». Durante il governo Renzi aveva creato non poche polemiche l’attivismo dei renziani intorno al colosso delle costruzioni. Persino il fratello più piccolo dell’ex ministro delle riforme Maria Elena Boschi, Pier Francesco, trovò posto in Cmc in quegli anni. La trattativa per salvarla era stata portata avanti anche dall’ex tesoriere Francesco Bonifazi, ma si vede che gli sforzi non sono bastati.

(il servizio è firmato oltre che da Alessandro Da Rold, giornalista de La Verità, anche da Lorenzo Bagnoli di Irpi) 

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In carcere tesoriere Messina Denaro, avvocato e massone

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Matteo Messina Denaro e la sua amante, Laura Bonafede, lo chiamavano Solimano, come Solimano il Magnifico, il sultano che ha guidato l’impero ottomano per quattro decenni. E, almeno nell’ultimo periodo, non gli risparmiavano critiche rimproverandogli di essere venuto meno ai patti. “Ci ha distrutto”, scriveva la Bonafede in un pizzino fatto avere al boss. Eppure, Antonio Messina, 79 anni, avvocato, massone in sonno con una sfilza di precedenti, per un ventennio aveva fatto affari con tutta la mafia trapanese e sovvenzionato la lussuosa latitanza del padrino di Castelvetrano coltivando le relazioni pericolose che oggi gli sono costate l’arresto per associazione mafiosa.

Già condannato per narcotraffico, concorso esterno in associazione mafiosa, subornazione di teste e per il sequestro di Luigi Corleo, suocero dell’esattore mafioso Nino Salvo, Messina sarebbe stato formalmente affiliato a Cosa nostra, come da lui stesso ammesso in un’intercettazione, su proposta del boss Leoluca Bagarella e avrebbe frequentato e fatto affari con gli esponenti mafiosi più importanti del trapanese dell’ultimo ventennio come Domenico Scimonelli, Giovanni Vassallo, Franco Luppino, Jonn Calogero Luppino. Legami tutti finalizzati ad acquisire attività economiche da utilizzare anche per garantire a Matteo Messina Denaro il denaro necessario alla sua clandestinità.

“Personaggio assolutamente versatile e poliedrico, uno dei maggiori protagonisti (in negativo) di questo processo. Da un lato svolge l’attività professionale di avvocato, patrocinando mafiosi e delinquenti comuni (tra i quali proprio quel Rosario Spatola che poi diverrà il suo principale accusatore); dall’altro risulta attivo in vari campi del crimine e coltiva rapporti con esponenti di primo piano della delinquenza organizzata”, scrisse di lui già anni fa, la corte d’assise di Trapani. Ma a un certo punto l’idillio con Messina Denaro era venuto meno. “Che Solimano tenesse tanto al denaro l’ho sempre capito, gli piace spendere e fare soldi facili ma mai avrei potuto pensare che arrivasse a tanto. Quando dici che gliela farai pagare, che non ti fermi, ti posso dire che ne sono certa, ti conosco anche sotto questo aspetto”, scriveva la Bonafede in un pizzino trovato dopo l’arresto del padrino. Ed è stata proprio la donna a svelare agli investigatori, nel corso di singolari dichiarazioni spontanee rese al suo processo, che dietro al nomignolo si celasse l’avvocato.

Dal tenore del biglietto “si comprendeva che, evidentemente, – scrivono i pm nella richiesta di arresto di Messina – entrambi avevano già in passato ricevuto denaro da Solimano, ma l’avidità, l’ingordigia del Messina e il suo mancato rispetto di precedenti accordi o prassi (da leggersi univocamente nei termini di un precedente sovvenzionamento della latitanza di Matteo Messina Denaro e della famiglia di Campobello di Mazara) si erano verificati anche in passato. Dalle indagini che hanno portato al suo arresto è emerso che Messina aveva cercato di mettere le mani anche su un bene confiscato alla mafia e che avrebbe avuto un ruolo primario nella gestione della “cassa” della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, alimentata anche dai proventi di una delle aziende gestite da Cosa nostra: l’oleificio “Fontane d’Oro s.a.s.” del boss Franco Luppino.

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Mozzarella di bufala, quanti errori nel consumo: italiani solo quarti tra i più attenti in Europa

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Si avvicina la bella stagione, e con essa anche le gite fuori porta del Primo Maggio, spesso celebrate con un picnic all’aria aperta. Ma c’è un dato sorprendente che riguarda uno dei simboli della gastronomia italiana: il 68% dei consumatori commette errori nel consumare la Mozzarella di Bufala Campana Dop. Lo rivela un’indagine realizzata da Fattorie Garofalo, primo produttore mondiale del celebre latticino, su un campione di 1.200 consumatori europei nei principali aeroporti e stazioni italiane.

Tra gli errori più comuni, tagliare la mozzarella a fette come fosse un formaggio qualsiasi, gesto che compromette l’equilibrio tra la sapidità della crosta esterna e la dolcezza del cuore. Altri sbagli diffusi? Consumare il prodotto appena tirato fuori dal frigorifero, senza lasciarlo tornare a temperatura ambiente, oppure immergerlo in acqua del rubinetto, alterandone salinità e struttura.

Anche negli abbinamenti si notano cadute di stile gastronomico: vini troppo tannici o pane troppo saporito, che sovrastano la delicatezza della mozzarella. C’è poi chi esagera con condimenti, erbe e spezie, snaturando la semplicità e purezza che rendono unica la Bufala Campana Dop.

Secondo Fattorie Garofalo, l’ideale sarebbe consumarla con le mani, e se proprio è necessario tagliarla, usare coltelli in ceramica a lama liscia per non strapparla e rispettarne la fibra naturale.

L’indagine, realizzata in vista della partecipazione alla fiera TuttoFood 2025 (in programma dal 5 all’8 maggio a Milano), ha anche stilato la classifica dei popoli europei più attenti al consumo corretto della mozzarella:

  1. Tedeschi – meticolosi e informati

  2. Spagnoli – attenti alla temperatura e sobri negli abbinamenti

  3. Francesi – abili nell’inserirla in piatti freddi e raffinati

  4. Italiani – penalizzati da superficialità e disattenzione

  5. Belgi – ancora inesperti ma in crescita

Un dato che fa riflettere: gli italiani, patria della mozzarella di bufala, non brillano nella corretta valorizzazione del proprio prodotto d’eccellenza, dando per scontato ciò che richiede invece attenzione e rispetto.

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La scelta di Becciu: io innocente ma non sarò in conclave

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Il cardinale Angelo Becciu il prossimo 7 maggio non entrerà in conclave. La sua comunicazione ufficiale, dopo le indiscrezioni della giornata di ieri, è arrivata questa mattina: “Avendo a cuore il bene della Chiesa, che ho servito e continuerò a servire con fedeltà e amore, nonché per contribuire alla comunione e alla serenità del conclave, ho deciso di obbedire come ho sempre fatto alla volontà di Papa Francesco di non entrare in conclave pur rimanendo convinto della mia innocenza”. Poche righe per ribadire la sua posizione, ovvero che è innocente, ma anche per fare quel passo indietro che non solo i suoi avversari, ma all’ultimo momento anche i cardinali a lui più vicini, gli avevano chiesto, per evitare voti e spaccature. Secondo quanto si apprende la decisione è rimasta aperta fino alla tarda serata di ieri. Poi il cardinale ha deciso di mettere lui stesso fine alla vicenda conclave.

Questo non chiude tuttavia lo strascico di polemiche e indiscrezioni che ha sempre accompagnato la vicenda giudiziaria del cardinale sardo. Il programma le Iene di Mediaset in scaletta ha un audio teso a dimostrare il “complotto”, come lo definisce il fratello Mario che rilancia sui suoi profili social l’annuncio della nuova puntata. Ed è questa solo la prima uscita, a poche ore dall’annuncio dello stesso cardinale sulla sua non partecipazione al conclave. Già il quotidiano Il Domani aveva pubblicato le chat, che erano state omissate dai magistrati vaticani, tra la lobbista Francesca Immacolata Chaouqui e la sodale di mons. Alberto Perlasca, Genoveffa Ciferri, nelle quali Chaouqui anticipava i dettagli dell’inchiesta e degli interrogatori.

Era metà aprile e Becciu commentava: “Sin dal primo momento ho parlato di una macchinazione ai miei danni: un’indagine costruita a tavolino su falsità, che cinque anni fa ha ingiustamente devastato la mia vita e mi ha esposto a una gogna di proporzioni mondiali. Ora, finalmente, spero che il tempo dell’inganno sia giunto al termine”. Questa sera a Le Iene anche audio inediti sempre nel filone, spinto dai legali del cardinale, che vuole dimostrare che il maxi-processo sulla gestione dei fondi della Santa Sede era inquinato dall’inizio. Ma il Papa nei giorni del ricovero al Gemelli comunque aveva deciso che il cardinale Becciu non doveva entrare in conclave e aveva siglato con un ‘F’ la disposizione in tal senso, mostrata in questi giorni al cardinale da Pietro Parolin. Becciu per tutto il pomeriggio di ieri sarebbe stato chiuso con i suoi avvocati che, secondo quanto si apprende, ponevano dubbi sul fatto che quell’appunto del Papa bastasse sotto il profilo del diritto canonico a tenere Becciu fuori dall’elezione del nuovo Papa. Poi è prevalsa la decisione di farsi da parte, comunicata ufficialmente appunto stamattina, anche perché gli stessi cardinali più vicini lo avrebbero consigliato in questo senso

. Il voto rischiava di spaccare il collegio prima ancora di entrare nella Sistina per il conclave. Questa mattina, all’ingresso della congregazione generale, trapelava una certa insofferenza da parte dei cardinali per il perdurare di questa situazione. “Dovete chiedere a lui”, ha risposto il cardinale argentino Angel Sixto Rossi, ai giornalisti che chiedevano lumi sul caso, considerato che in quel momento non era arrivata ancora una nota ufficiale. “Di Becciu non possiamo parlare”, diceva il cardinale di Baghdad, Raphael Sako. Mentre il cardinale austriaco Cristoph Schoenborn dribblava i cronisti con una battuta: “Avete visto che bel tempo c’è oggi?”.

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