Collegati con noi

Economia

Cinque esperti Cnel, ‘sperimentare il salario minimo’

Pubblicato

del

Un salario minimo per legge, “se ben implementato all’interno dei meccanismi della contrattazione collettiva, non indebolisce ma rafforza la stessa”. Alla vigilia dell’assemblea del Cnel, chiamata a discutere e votare il testo finale sul lavoro povero e il salario minimo, cinque consiglieri del Cnel, esperti nominati dalla presidenza della Repubblica, presentano una proposta per “la sperimentazione della tariffa retributiva minima” a partire dai settori più critici.

Un elemento di grande novità rispetto alla linea finora emersa dal lavoro della commissione dell’Informazione, che ha approvato due documenti, uno tecnico e uno con le proposte (quest’ultimo con il no di Cgil e Uil) in cui si valorizza “la via tradizionale” della contrattazione e sostanzialmente si allontana il salario minimo legale, sostenendo che la sua “mera introduzione non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero né la pratica del dumping contrattuale né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva”. Una proposta per inserire una sessione integrativa rispetto a quelle già presenti nel testo approvato nei giorni scorsi. Nel documento dei cinque esperti la premessa è che il salario minimo non va inteso come sostituto della contrattazione collettiva ma può ricoprire un ruolo complementare e che “tutti i Paesi del G7 (tranne l’Italia) e quasi tutti i Paesi europei hanno una legislazione” sul tema.

A loro avviso “sembra ragionevole pensare” che il salario minimo possa essere sperimentato “non solo per l’impatto oggettivo verso le categorie marginali (più esposte alle criticità) ma anche soggettivo su tutti i lavoratori, in particolare sulle fasce marginali – per lo più giovani, donne e immigrati”. Di qui la proposta: l’introduzione temporanea di una tariffa retributiva minima che in via sperimentale verrebbe applicata solo ad alcuni settori, in particolare quelli con situazione più problematica e più fragilità.

La tariffa retributiva minima potrebbe essere fissata prendendo come riferimento i minimi retributivi dei contratti “qualitativamente più protettivi” per il relativo settore produttivo. In attesa del documento finale dell’assemblea del Cnel presieduta da Renato Brunetta, che una volta approvato sarà inviato alla premier Giorgia Meloni, va intanto avanti il dibattito tra le imprese e i sindacati, che restano divisi. No al salario minimo per legge, meglio rafforzare la via della contrattazione individuando i trattamenti previsti nei contratti leader e facendoli valere per tutti, dice Confcommercio rilanciando la contrarietà rispetto ad un intervento legislativo che indichi la soglia dei 9 euro l’ora.

Soglia che il contratto del terziario già supera, anche per i livelli più bassi, sottolinea la vicepresidente Donatella Prampolini. Il rischio, a suo avviso, è di annientare la contrattazione e appiattire le retribuzioni. Per questo, Confcommercio condivide il documento del Cnel: promuovere maggiormente la contrattazione è “la scelta giusta”. Anche la Cisl con il segretario generale Luigi Sbarra rimarca il no a fissare una soglia di salario minimo per legge e rilancia la proposta di prendere a riferimento i trattamenti economici complessivi dei contratti prevalenti, estendendoli settore per settore.

Il salario minimo “serve” e va fatto coincidere con i minimi dei contratti maggiormente rappresentativi, rimarca il numero uno della Uil, Pierpaolo Bombardieri, mentre “il Cnel nel suo documento dice in modo assoluto che non serve”. Diversa la posizione della Cgil che invece dice sì ad introdurre un salario orario minimo con una soglia sotto la quale nessun lavoratore possa essere pagato ma nell’ambito di una legge sulla rappresentanza e l’erga omnes con la validità generale dei contratti. Sul fronte del terziario prosegue il confronto per il rinnovo del contratto scaduto alla fine del 2019, che riguarda oltre 2,8 milioni di addetti: “Il nostro auspicio è arrivare alla firma il prima possibile. Non vogliamo concentrarci solo sulla parte economica, vogliamo discutere e rivedere anche alcune parti normative che non sono più in linea con i tempi”, afferma Prampolini. Mentre si registra una carenza di personale. “Facciamo fatica a trovare lavoratori”: nel turismo e nel commercio ne mancano, rispetto al 2022, circa 480 mila.

Advertisement

Economia

Giorgetti da Vestager, Ita-Lufthansa ancora in salita

Pubblicato

del

Un’altra fumata grigia. Al termine del faccia a faccia tra Giancarlo Giorgetti e Margrethe Vestager, la Commissione europea non usa nemmeno le formule di facciata che di solito descrivono i colloqui politici. Tanto basta a lasciar intravedere una strada ancora in salita per il placet alle nozze tra Ita e Lufthansa. Il governo, si è limitato a dire il titolare del Tesoro all’uscita da Palazzo Berlaymont, ha “ribadito” la sua posizione all’Ue. E adesso aspetta “il verdetto”, in arrivo entro il 4 luglio. Nel mezzo però ci sono ancora quasi due mesi: l’ultimo pacchetto di impegni su slot e rotte presentato la scorsa settimana, nel giudizio che trapela a Bruxelles, “non è ancora sufficiente”.

Tuttavia, è la sollecitazione, le parti hanno ancora tempo per apportare miglioramenti. Lasciato l’Ecofin, il ministro dell’Economia si è presentato a Palazzo Berlaymont per la seconda volta nel giro di quindici giorni. Sul tavolo, i persistenti timori dell’antitrust che da qualche giorno ha avviato il market test. Il caso è “complesso”. E il negoziato, stando alle indicazioni offerte da alcune fonti vicine al dossier, resta incagliato sui tre fronti più problematici. Davanti al rischio di posizione dominante di Ita e Lufthansa a Milano-Linate, nel giudizio della squadra di Vestager manca ancora una soluzione solida che permetta di far subentrare un vettore capace di stabilirsi come presenza “credibile”.

Le proposte di compromesso messe sul piatto dalla compagnia di Carsten Spohr e dal Mef per aprire alle rivali sulle rotte a corto raggio dall’Italia all’Europa centrale restano poi da perfezionare. E, allo stesso modo, non convince del tutto l’idea di congelare soltanto in via temporanea – per due anni – l’alleanza tra la compagnia della gru e la newco sorta dalle ceneri di Alitalia sui lunghi collegamenti da Fiumicino con destinazione Stati Uniti e Canada, dove Lufthansa detiene già un’ampia porzione di mercato con la sua joint venture formata con United Airlines e Air Canada. Per capire se sia possibile raggiungere un punto di caduta prima del 4 luglio servirà altro tempo. “E’ sempre complicato, bisogna sempre avere tanta pazienza”, ha osservato Giorgetti. A Bruxelles però l’avvertimento che circola è chiaro: c’è ancora tempo per lavorare. A patto che ci sia “la volontà delle parti”, Lufthansa in testa.

Continua a leggere

Economia

Guerra spinge la Difesa, boom in Borsa e ricavi record

Pubblicato

del

La guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente hanno fatto aumentare la domanda e la spesa per il settore della Difesa nel 2023 ha toccato il massimo storico di 2.443 miliardi di dollari (+6,8%), quanto il 2,3% del Pil mondiale. L’impatto sui bilanci dei big del comparto e sulle loro quotazioni in Borsa è la diretta conseguenza. Per il 2024 gli analisti dell’Area Studi Mediobanca, hanno previsto un ulteriore incremento dei ricavi (+6%). Nel quadriennio 2019-2023 il rendimento azionario dei big della Difesa è cresciuto del 68,7%, il doppio del +34,8% segnato dall’indice azionario mondiale ed è proseguito nel primo trimestre di quest’anno (+22,8%), un rendimento tre volte superiore al +7,1% dell’indice azionario mondiale, con i gruppi europei (+42,3%) di gran lunga davanti a quelli statunitensi (+8,6%).

Il panorama resta però dominato dai big statunitensi con una quota del 74% del totale, seguiti dai gruppi europei con il 22% e da quelli asiatici con il 4%. Gli Stati Uniti, con 15 player, si aggiudicano il primato anche a livello numerico davanti alla Francia, distanziata con tre società; due gruppi ciascuno per Germania, Gran Bretagna, India e Italia che conta per il 19% del giro d’affari europeo e per il 4,2% di quello mondiale. Lockheed Martin (55 miliardi di ricavi) è la regina del settore ma nella Top 10 entra anche Leonardo (in ottava posizione con 11,5 miliardi) e in 25esima Fincantieri (2 miliardi). L’Italia nel 2023 ha speso nel 2023 “35,5 miliardi di euro per la Difesa, pari a 97 milioni al giorno, con incremento del +5,5% atteso per il 2024”. Nella classifica globale è 12esima (con l’1,5% della spesa mondiale) mentre il 37,5% fa capo agli Stati Uniti (916 miliardi), seguiti da Cina con il 12,1% (296 miliardi), Russia (4,5%), India (3,4%) e Arabia Saudita (3,1%).

La classifica cambia se si considera l’incidenza sul Pil della spesa: di gran lunga al primo posto si colloca l’Ucraina con il 36,7%, la Russia è in settima posizione (5,9%), gli Stati Uniti in 22esima (3,4%), la Cina in 69esima (1,7%) e l’Italia in 75esima (1,6%, era 1,4% nel 2013 e 2,8% nel 1963). “Come richiesto dalla Nato nel 2014, l’Italia sta progressivamente innalzando la propria spesa nella difesa con l’obiettivo di raggiungere la soglia del 2% del Pil entro il 2028” ricorda la ricerca. La conclusione è che l’industria europea è sostanzialmente subalterna a quella americana per inferiori spese degli Stati membri, frammentazione istituzionale delle politiche di Difesa nazionali e scarsa propensione a cooperare. “Rendere più competitive le imprese comporta un consolidamento industriale e un incremento dei progetti congiunti, i cui vantaggi si misurano in termini di maggiore efficienza ed economia di scala e migliore interoperabilità – concludono gli analisti dell’Area Studi Mediobanca – Investire nella Difesa ha un ritorno non solo in termini di sicurezza, ma anche in termini di resilienza, competitività industriale e di presidio delle verticali tecnologiche.”

Continua a leggere

Economia

Usa, Boeing viola accordo per evitare accuse incidenti 737 Max

Pubblicato

del

Boeing ha violato il patteggiamento che le aveva consentito di evitare un procedimento penale dopo i due incidenti del 737 Max che hanno causato oltre 300 morti: il Dipartimento di Giustizia americano ha detto a una corte federale del Texas che l’azienda aeronautica statunitense non ha effettuato le modifiche necessarie per evitare la violazione delle leggi antifrode, uno dei requisiti del patteggiamento del 2021. Il Dipartimento di Giustizia dovrà ora decidere se presentare accuse o meno. “Il governo ha stabilito che Boeing ha infranto gli obblighi non attuando un programma di compliance per prevenire e individuare violazioni alle leggi anti frode americane”, ha detto il dicastero Usa.

 

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto