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Cinque anni di assalti armati ai calciatori del Napoli e alle compagne, rapinarli è un gioco

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Arek Milk ha paura. È evidente che non deve essere bello trovarsi sotto casa con due bestie armate di pistola che te la puntano alla testa e ti dicono “dammi il Rolex e non fare scherzi che ti faccio saltare il cervello”. Anche perché, questo non sfuggirà a chi indagherà, alle due e mezza nessuno ti aspetta per rapinarti se non sa che arriverai più o meno a quell’ora, che abiti in quel posto e che hai qualcosa di valore che posso prenderti. 

Le due bestie, i rapinatori, sapevano tutto di Milik. Forse hanno visto anche loro la partita in Tv, magari hanno anche gioito se sono tifosi del Napoli, per la vittoria al 89esimo minuto col gol di Insigne, ma poi si sono andati ad appostare sotto casa di Milik per rapinarlo. E così è stato. A proposito di Insigne. La ultima brutta avventura di un calciatore del Napoli alle prese con i rapinatori l’ha vissuta proprio l’idolo del San Paolo, Lorenzo Insigne. Era il 13 febbraio del 2016. Freddo cane. Lorenzo era in compagnia della moglie e di alcuni amici. Sempre in auto, più o meno si procedeva a passo d’uomo nel traffico di viale Elena, nei pressi del Lungomare di Napoli. Due malviventi, sempre a bordo di uno scooter, sono entrati di forza in auto, l’hanno minacciato con una pistola, hanno rapinato la comitiva di soldi e gioielli. Con tranquillità, in mezzo al traffico, se ne sono andati. Bottino eccellente tra Rolex e collane d’oro. Insigne era stato seguito. Chi non lo conosce? A Napoli poi, pure le pietre conoscono il volto di Lorenzo Insigne. Dunque non era la rapina a strascico. Era mirato. Troppo facile.

Nel dicembre del 2008 toccò a Marek Hamsik essere rapinato. Lo slovacco fu avvicinato anche lui da due uomini in moto (volto coperto da caschi) che, minacciandolo con una pistola, si presero l’orologio. Ovviamente un Rolex Daytona. Ma portarono via anche una borsa contenente 800 euro, documenti e le chiavi di casa. Rapine simili, uguali, esattamente identiche, sempre con la stessa tecnica, le hanno subite in questi anni Behrami, Fernandez e Zuniga. E purtroppo, queste bestie di rapinatori, in alcuni casi, non hanno risparmiato le compagne o mogli dei calciatori. Capitò all’ex moglie di Cavani, Maria Soledad, fu scippato un orologio ‘Piaget’ da 18mila euro nel quartiere Fuorigrotta, a pochi passi dallo stadio. Alla moglie di Hamsik, Martina, fu rapinata l’auto, una Bmw X6, a Varcaturo, nella zona flegrea. Rapina a mano armata. Vittima dei malviventi anche Yanina Screpante, la bellissima modella argentina, fidanzata dell’ex attaccante azzurro Ezequiel Lavezzi. Alla compagna del ‘Pocho’ fu rapinato  un Rolex in via Petrarca. Era in auto quando la sequestrarono, minacciarono e rapinarono. Fu un incubo per quella ragazza.

Lavezzi e la sua compagna Janina Screpante

Sempre nel 2011 la coppia Cavani fu vittima di un furto in casa, nel litorale flegreo, a Bacoli. E questo è quello che hanno denunciato. Poi ci sono alcuni tentativi di furti e rapine andati male per la pronto reazione dei calciatori che hanno messo in fuga i rapinatori. Certo è che qualcuno da tempo usa i calciatori del Napoli come se fossero dei bancomat. Rapinarli è di una facilità impressionante. Vi abbiamo descritto alcune della rapine. Così come le vittime le hanno raccontate alla polizia. Sono storie simili, uguali, identiche. E forse la matrice e gli autori sono sempre gli stessi o dello stesso ambiente. Basterebbe lavorarci un po’ con maggior lena per capire. Perché le rapine ai calciatori le fanno ovunque. A Milano come a Torino a Roma come a Parigi, spesso sono anche campioni conosciutissimi. Il problema è che a Napoli, da tempo, con la stessa tecnica criminale, si bersagliano i calciatori azzurri. Vuoi vedere che c’è qualcosa di più di semplici e volgari rapinatori dietro queste vile aggressioni criminali? 

 

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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