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Caso Uss, Nordio si difende e attacca i magistrati

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Un’ora di difesa serrata del proprio operato e di attacco ai magistrati. Davanti alla Camera, il ministro della Giustizia Carlo Nordio esclude qualunque sua responsabilità nel caso di Artem Uss, l’uomo d’affari russo evaso il 22 marzo dalla sua lussuosa cascina di Basiglio, dove era detenuto ai domiciliari con braccialetto elettronico, all’indomani del primo via libera alla sua estradizione negli Usa. E rivendica invece la scelta di esercitare l’azione disciplinare contro i giudici della Corte d’appello di Milano che lo hanno fatto uscire dal carcere, respingendo le accuse di interferenza e di lesione dell’autonomia che gli sono venute non solo dall’Anm, ma anche dall’avvocatura e da autorevoli giuristi. L’opposizione resta critica: troppe cose non tornano rispetto a una vicenda che ha esposto il Paese “a una figuraccia internazionale”, dicono Pd e +Europa non convinte nemmeno dalla rassicurazione del ministro degli Esteri Antonio Tajani che il rapporto con gli Usa resta “solido e leale”. E dalla toghe arrivano nuove critiche: anche da Magistratura Indipendente, la corrente più vicina al Guardasigilli. Nordio, che ieri ha incontrato la premier, si sente nella bufera e non lo nasconde. Parla di una “sequenza di critiche e insinuazioni” che lo hanno investito. E risponde ai rilievi che gli sono arrivati dai magistrati e non solo. A partire dalla considerazione che lui stesso avrebbe potuto chiedere ai magistrati il ritorno in carcere di Uss. “Il Ministero della Giustizia non ha alcuna competenza nè oneri di controllo sull’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale adottato da una Corte.

L’ipotesi contraria -scandisce – confliggerebbe non solo con il principio costituzionale della divisione dei poteri ma con la ripetuta e sacrosanta affermazione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”. “Ed è singolare”, nota, che proprio mentre lui viene accusato di ledere questi principi con la sua iniziativa disciplinare, gli si dice che “sarebbe dovuto intervenire per condizionare la libertà di decisione della Corte di Milano”. Sostenere che lui poteva impugnare , insiste il ministro, è “un’eresia”, un “errore da matita blu”. Tant’è che non è “mai accaduto”. La norma del codice citata nella relazione inviata ai suoi ispettori dalla Corte d’appello di Milano, secondo cui il ministro avrebbe potuto chiedere in qualsiasi momento il carcere per Uss, non riguarda, spiega, un caso come questo in cui non era stata ancora formalizzata la richiesta di estradizione. Il suo unico potere era sollecitare entro 10 giorni dall’arresto il mantenimento in carcere ed è quello che ha fatto, rispettando “pienamente” la legge. Chi ha sbagliato, è dunque la posizione del ministro, sono i giudici. L’imprenditore russo figlio di un oligarca vicinissimo a Putin “è stato messo ai domiciliari con un provvedimento di 5 righe”, fa notare Nordio, a fronte del provvedimento di 4 pagine “documentatissimo” e “ampiamente motivato” con il quale la procura generale aveva espresso il proprio “no” facendo presente che Uss aveva “conti bancari in tutto il mondo” e “appoggi internazionali” che lo mettevano ad alto rischio di fuga. Una decisione che non a caso ha lasciato “esterrefatti” gli americani. Nel suo discorso alla Camera, il ministro annuncia che sono in corso verifiche sulla possibilità di congelare i beni di Uss e accertamenti da parte del ministero degli Interni sul braccialetto che si è azionato con ritardo. Quanto all’azione disciplinare, è tutt’altro che “un’interferenza invasiva”: è un dovere “procedere con gli stessi criteri con cui i pm inviano l’informazione di garanzia ai cittadini nei cui confronti svolgono le indagini”, perchè diversamente non sarebbe rispettato il principio di uguaglianza.

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L’Anac, corruzione rafforza mafie e inquina la democrazia

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“La corruzione mortifica legittime aspettative, deteriora la qualità dei servizi pubblici, rafforza le mafie, inquina la democrazia. Ha un costo, quindi, sociale, civile e umano, oltre che economico”. Nel decennale della sua nascita, l’Autorità Nazionale Anticorruzione consegna al Parlamento la tradizionale relazione evidenziando problemi e criticità di un Paese che – per usare le parole del presidente Giuseppe Busia – ha “il valore più alto in termini di danni finanziari al bilancio dell’Unione Europea, stimati a seguito di frodi e malversazioni, anche riconducibili alla criminalità organizzata”. La corruzione, dunque, continua a essere uno dei mali di cui soffre l’Italia e ha inevitabili ripercussioni in ogni ambito, dal lavoro alla salute, dagli appalti all’occupazione. In Parlamento, Busia ha provato a sintetizzare un anno in cui l’anticorruzione ha gestito 1.294 istruttorie, oltre ad aver avviato 395 procedimenti e gestito 441 istanze di precontenzioso.

“Anche quando non uccide – spiega il presidente dell’Anac -, la corruzione arreca danni inestimabili, affinando le sue armi con mezzi sempre più subdoli. Opere non ultimate, o completate con smodati ritardi e sperpero di risorse pubbliche. Imprese sane che falliscono a causa di un mercato poco aperto e trasparente. Giovani eccellenze costrette a cercare all’estero chances di realizzazione professionale, sottratte in patria da concorsi poco trasparenti”. Nella relazione, inevitabile è il passaggio sui fondi del Pnrr che – spiega Busia – ha dato impulso alla contrattualistica pubblica “con un valore complessivo degli appalti avviati di importo pari o superiore a 40.000 euro che si attesta attorno ai 283,4 miliardi di euro”. Si tratta di un aumento, scrive il presidente, “del 36,4% a confronto con il 2021, e addirittura del 65,9% rispetto al 2019”. Questi numeri, avverte però Busia, “non dicono tutto”.

“Avviare un procedimento non significa che si sarà in grado di chiuderlo in tempo, come aprire un cantiere non basta ad assicurare il completamento dei lavori in tempo utile e in modo adeguato”. Ecco perché “la strada è ancora lunga”. E con l’avvicinarsi della scadenza del 2026, “la salita diverrà sempre più ripida e per percorrerla – è il monito e l’invito – servirà lo sforzo congiunto di tutte le istituzioni, ai diversi livelli territoriali”. La relazione contiene anche numerosi appelli al legislatore, compreso quello per una disciplina organica sulle lobby.

“Una normativa che, rifuggendo da tentazioni criminalizzatrici – è il ragionamento dell’Anticorruzione – si ponga l’obiettivo di garantire piena trasparenza sull’attività dei portatori di interesse, anche mediante la creazione di canali digitali, accessibili a tutti, attraverso i quali tanto le lobby più organizzate e strutturate, quanto quelle dotate di mezzi minori, possano far pervenire le proprie proposte ed osservazioni”. Nel suo intervento, Busia, ha tenuto anche a ricordare le vittime della corruzione, “persone alle quali la corruzione ruba opportunità, prospettive, benessere, talvolta persino la vita”.

“Sono vittime della corruzione, intesa in senso amministrativo e non solo penalistico – scrive -, le donne e gli uomini sepolti vivi sotto le macerie di infrastrutture ed edifici costruiti con la sabbia al posto del cemento; i lavoratori schiacciati o soffocati nei cantieri perché chi avrebbe dovuto vigilare sulla loro sicurezza è stato indirizzato verso altri obiettivi; i pazienti che scontano la scarsa qualità di attrezzature sanitarie acquistate attraverso procedure opache; i bambini malnutriti, nei Paesi più fragili, a causa di aiuti umanitari che si perdono nelle pieghe di torbidi intrecci tra burocrazia e malaffare”.

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Cybersicurezza: odg Costa, l’uso del Trojan va regolamentato

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“Si impegna il Governo a prevedere l’introduzione, nel primo provvedimento utile, di una disciplina organica del captatore informatico che rifletta il miglior bilanciamento tra le esigenze investigative e i principi di cui agli articoli 14 e 15 della Costituzione” cioè la tutela del domicilio e il principio della riservatezza. E’ quanto prevede l’ordine del giorno che il deputato di Azione Enrico Costa ha appena presentato al ddl sulla cybersicurezza. Un odg in cui si chiede di fatto una precisa e più severa regolamentazione dell’uso del Trojan, il captatore informatico usato in molte inchieste giudiziarie come quella ligure.

Nell’ordine del giorno di Enrico Costa, firmato anche dalla deputata di Italia Viva, Maria Elena Boschi e dal capogruppo di FI in Commissione Giustizia PIetro Pittalis, si dice anche che “risulta necessario prevedere una disciplina organica che, da un lato, indichi le gravi forme di criminalità per le quali ammettere l’utilizzo del captatore informatico e, dall’altro, dettagli le condizioni applicative e le modalità operative di utilizzo, con l’obiettivo di bilanciare l’accertamento delle ipotesi delittuose ed i principi costituzionali previsti dagli articoli 14 e 15 della Costituzione”.

Dopo aver definito il Trojan “un sistema dissimulato, inoculato da remoto, che invade il terreno della riservatezza penetrando anche nelle sfere più intime e private”, Costa sottolinea come il captatore informatico sia anche “uno strumento itinerante, che si sposta di “ambiente” in “ambiente”, potenzialmente in grado di accendere la webcam, di attivare il microfono e di captare conversazioni, di leggere qualsiasi dato venga archiviato all’interno del cellulare (dagli indirizzi in rubrica, agli sms, ai messaggi whatsapp, agli appunti salvati nelle note), di visualizzare le fotografie, di registrare la “tracciabilità” del possessore del cellulare funzionando da GPS, di catturare segretamente tutto ciò che viene digitato nel dispositivo, potendo quindi risalire anche ad eventuali password o numeri di carte di credito”.

Costa pertanto racconta anche la storia di questo strumento di indagine, a cominciare dalle sentenze della Cassazione che ne parlano e dagli interventi che ci sono stati da parte del legislatore negli anni, chiedendo con il suo ordine del giorno che il legislatore intervenga per “disciplinare” la materia visto che a suo avviso il Trojan è molto “più invasivo” delle normali intercettazioni. L’ordine del giorno, secondo quanto si apprende, potrebbe ricevere il parere favorevole del governo e pertanto venire approvato.

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De Luca: straordinaria vittoria sui fondi per la Campania

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“Il Consiglio di Stato ha confermato pienamente le tesi della Campania, ha censurato i ritardi, e stabilisce l’inaccettabilità delle procedure messe in campo dal Governo. E’ il risultato della battaglia di civiltà e di dignità nella quale si sono impegnati in questi mesi centinaia di sindaci, amministratori, semplici cittadini. E’ un motivo di grande speranza e di grande soddisfazione per quanti hanno creduto nella giustizia amministrativa del nostro Paese”. Così il governatore Vincenzo De Luca sulla decisione del Consiglio di Stato in relazione ai fondi per la Campania, giudicata una “straordinaria vittoria” dopo mesi di polemiche.

Il Consiglio di Stato, ricorda ancora De Luca, “ha considerato pretestuosa la sopravvenienza dell’articolo 10 del Decreto coesione: smantellata la norma che surrettiziamente introduceva la vicenda Bagnoli nel Fondo di sviluppo e coesione”. “Ci si augura che a questo punto sia terminata la lunga e vergognosa catena di pretesti, di dilazioni, di ritardi strumentali, che ha penalizzato e penalizza le imprese, le famiglie, i Comuni della Campania. Ci si augura di poter cominciare a lavorare nell’interesse delle nostre comunità”, conclude il presidente della Regione.

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