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Cronache

Capi ultrà Inter, si scava sulla dinamica dell’omicidio

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La pretesa di suddividere gli utili del negozio “Milano siamo noi” che vende magliette e gadget dell’Inter è il motivo, per ora venuto a galla, alla base dell’omicidio di Antonio Bellocco, esponente della curva nord e anche della potente ‘ndrina di Rosarno, accoltellato ieri mattina, a Cernusco sul Naviglio, nel milanese, da Andrea Beretta, uno dei leader incontrastati della tifoseria interista rimasto ferito da un colpo di pistola. Tali dissapori sarebbero però la punta dell’iceberg di una situazione più complessa su cui la magistratura sta scavando. Mentre i pm Paolo Storari e Sara Ombra, titolari dell’inchiesta che sta scuotendo il mondo ultrà, domani dovrebbero inoltrare al gip la richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare in carcere per Beretta, i carabinieri del nucleo investigativo hanno proseguito con i rilievi e con gli accertamenti tecnici ea incrociare le testimonianze raccolte con le immagini della telecamera piazzata nei pressi della palestra ‘Testudo’.

Immagini che riprendono l’auto di Bellocco, dentro la quale è stato assassinato dall’amico-nemico con cui la sera prima aveva giocato a calcetto, “un derby” tra tifosi di Inter e Milan e che fanno ipotizzare una dinamica diversa da quella ricostruita 24 ore fa da Beretta. Ricoverato al San Raffaele, dopo il risveglio dall’intervento per estrarre la pallottola dall’anca sinistra, non ha risposto alle domande dei pm ma ha reso dichiarazioni spontanee. Alla presenza del suo difensore, Mirko Perlino, il 49enne, oggi trasferito in cella a Opera, ha spiegato che da qualche giorno girava armato perché sapeva “che qualcuno voleva fargli la pelle” – timori ritenuti dagli inquirenti fondati – e che quando Bellocco, astro nascente della curva, ha esagerato con le minacce, ha mostrato, come per intimidirlo, la pistola con la matricola abrasa. Inoltre ha raccontato che nella colluttazione, l’altro lo ha disarmato e ha iniziato a sparare. A quel punto ha estratto il suo coltello a serramanico e ha iniziato a colpire, una due, sette, dieci volte.

Una versione, questa, su cui ci sono dubbi: gli elementi in mano a inquirenti e investigatori, che hanno tra l’altro adombrato una messinscena con la ferita all’anca autoinferta, fanno ritenere che Beretta, salito in macchina armata, prima avrebbe cercato di sparare e poi, per via del caricatore scivolato via, ha accoltellato Bellocco. Inoltre, sempre le immagini delle telecamere mostrano come il leader della curva nord, che risponde di omicidio e detenzione illegale di arma da fuoco, in piedi fuori dall’auto ferma davanti alla palestra con dentro “il Bellocchio esanime”, sia rientrato “almeno una volta, all’interno dell’abitacolo – si legge nel decreto di fermo – probabilmente infierendo ancora con il coltello” sul 36enne calabrese.

Tant’è, come testimonia il video manadato in onda su La7, che due uomini, poi convocati come testi, probabilmente dipendenti o frequentatori della palestra, lo tirano fuori fino a fermarlo. Per i pubblici ministeri la sua azione non è stata “di difesa”, riporta l’atto. Inoltre, uno dei testimoni, ha detto di aver sentito due spari, mentre in auto è stato trovato solo un bossolo. Il nodo potrebbe essere sciolto dall’autopsia, prevista per la prossima settimana, che potrà chiarire se una vittoria, il secondo se mai è stato esploso, ha colpito Bellocco a cui Marco Ferdico, altro leader della tifoseria nerazzurro, oggi ha dedicato un post sui social in nome della loro amicizia e in ricordo “dell’uomo meraviglioso che eri”.

L’omicidio, che sta destando non poche preoccupazioni, si colloca nel quadro dei complicati e fragili equilibri negli ambienti delle curve dove il business viene spesso portato avanti fianco”. a fianco con la criminalità organizzata e dove ci sono infiltrazioni eversive e sovversive Un fenomeno allarmante su cui hanno acceso i riflettori la Dna e una serie di procure italiane, fatto di ritorsioni, estorsioni, traffici di droga. e pure affari a tinte fosche tramite la gestione dei biglietti, dei gadget fino ai chioschi che servono panini.

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Cronache

Caso dei turisti israeliani cacciati da un ristorante: indaga la Procura, bufera su Napoli

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Finisce in Procura il caso dei due turisti israeliani che sarebbero stati allontanati per motivi razziali dal ristorante “Taverna Santa Chiara”, nel cuore del centro storico. Un video, registrato con uno smartphone e diventato virale sui social, mostra l’alterco tra la titolare del locale, Nives Monda, e la coppia di clienti, Geula e Raul Moses, cacciati perché “sionisti”, come dichiarato dalla stessa ristoratrice. Ora sul caso indaga la Digos della Questura e il comando provinciale dei Carabinieri, con due informative in arrivo sulla scrivania del procuratore Nicola Gratteri.

Il video e la denuncia

Il filmato, che dura meno di due minuti, documenta la parte finale di uno scontro acceso. Una verità parziale? In questo pezzo di video la sognora Monda invita i due clienti ad uscire dal ristorante, dichiarando di non voler servire cittadini israeliani e definendo Israele uno “Stato genocida e di apartheid”. Che cosa si siano detti prima non è dato sapere. La coppia di israeliani ha denunciato l’episodio ai Carabinieri della caserma Pastrengo, ipotizzando il reato di incitamento all’odio razziale. Si tratta di una ipotesi loro che dev’essere però suffragata da prove. «Ci ha cacciati – dicono – solo perché venivamo da Israele – ha raccontato Geula – e ha urlato che avevamo ucciso 55mila bambini. Abbiamo registrato solo la parte finale per paura che degenerasse».

La replica della titolare

Nives Monda respinge le accuse e sostiene di essere stata vittima di un “episodio intimidatorio”, aggiungendo di aver ricevuto una valanga di minacce e insulti sui social. «È in corso contro di me una campagna d’odio», ha dichiarato.

L’intervento delle istituzioni

Il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, ha espresso «solidarietà ai due turisti a nome dell’intera amministrazione comunale», ribadendo che episodi del genere sono inaccettabili in una città da sempre accogliente e aperta. Sulla stessa linea il prefetto Michele di Bari e l’assessore al Turismo, Teresa Armato, che ha incontrato personalmente la coppia: «La guerra non deve generare odio tra i popoli. Napoli deve restare città di pace, dialogo e ospitalità». Ovviamente si tratta di attestazioni di solidarietà che prescindono dal fatto che c’è una inchiesta e che potrebbe n0n essere del tutto vero quel che i turisti sostengono.

Le reazioni politiche

Durissima la posizione di Severino Nappi, capogruppo della Lega in Consiglio regionale: «Chiediamo al sindaco Manfredi di intervenire e chiudere quel locale. È un esercizio di razzismo che getta discredito sulla città e offende i valori della democrazia. Non si può confondere la politica di un governo con la vita privata di due turisti».

Un caso che divide

L’episodio ha generato un’ondata di reazioni, dividendo l’opinione pubblica e infiammando il dibattito tra chi denuncia l’antisemitismo e chi parla di libertà di espressione. Intanto, la giustizia farà il suo corso, mentre Napoli è chiamata a ribadire i valori che ne fanno una capitale dell’accoglienza.

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Torre Annunziata, il sindaco Cuccurullo replica alle inchieste: «Chiariremo tutto, ma nessuna pressione o complicità»

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Corrado Cuccurullo, sindaco di Torre Annunziata e docente universitario alla Federico II, ha scelto i social per rispondere alle notizie emerse sull’inchiesta che coinvolge la sua amministrazione, evitando al momento il confronto diretto con i giornalisti. Le indagini delle forze dell’ordine – Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia Municipale – coordinate dalla Procura di Torre Annunziata, hanno sollevato il dubbio sull’opportunità di inviare una nuova commissione d’accesso per valutare possibili legami tra amministrazione e ambienti criminali.

Nel suo lungo post, Cuccurullo respinge ogni accusa e parla di «chiacchiericcio» rilanciato dalla stampa. «È mio impegno affrontare ogni problematica con trasparenza e determinazione», scrive il primo cittadino, ricordando le difficoltà storiche della città e l’impegno a voltare pagina.

Il caso della processione e la scelta sul percorso

Uno dei punti più discussi riguarda il corteo della Madonna della Neve, in particolare la decisione sull’itinerario del 22 ottobre 2024. Secondo gli inquirenti, la processione avrebbe potuto attraversare aree “sconsigliate” per la presenza di soggetti legati alla criminalità organizzata. Cuccurullo chiarisce: «L’idea era quella di un segnale di unità cittadina e rinnovamento. Dopo un confronto con le forze dell’ordine si è scelto di mantenere il percorso tradizionale. Nessun attrito con altri organi dello Stato».

Gli sgomberi e le pressioni denunciate

L’inchiesta parla di presunte pressioni per rallentare gli sgomberi di immobili occupati da persone vicine ai clan. Il sindaco nega: «Nessuna pressione è mai stata esercitata. Anzi, gli sgomberi sono stati effettuati, dopo decenni di stallo, e ne sono stati sollecitati altri».

Il nodo dello staff e il presunto danno erariale

Altro tema cruciale: l’impiego non regolarizzato di alcuni staffisti tra luglio e fine 2024. Cuccurullo assicura che sarà effettuata una verifica con le autorità competenti, sottolineando che il ritardo nella formalizzazione dei ruoli è stato determinato da inefficienze burocratiche. «Chi ricopre un incarico amministrativo ha diritto di scegliere il proprio staff. Ma nessuna violazione intenzionale delle norme», aggiunge.

La parentela scomoda di uno staffista

Nel dossier si segnala la parentela di un componente dello staff con la figlia di un esponente del clan Gallo-Cavalieri. Anche su questo, il sindaco è netto: «La storia personale dello staffista è del tutto estranea alle ipotesi circolate. Nessun legame o influenza riconducibile a contesti criminali».

Cuccurullo conclude con un appello alla cautela e al rispetto: «Ogni aspetto sarà chiarito nel rispetto della città e delle persone coinvolte. Chi amministra deve essere messo nelle condizioni di farlo con rigore e serenità».

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Cronache

Un farmacista di Napoli sfida i ladri: “Non mi arrendo, vi aspetto”

A Napoli il dottor Giovanni Russo, dopo tre furti nella sua farmacia, risponde ai ladri con un cartello: “Non mi arrendo, ho installato l’impianto di nebbia”.

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Furti ripetuti nella sua farmacia di via Simone Martini. Il dottor Giovanni Russo reagisce con un cartello indirizzato direttamente ai rapinatori.

Non si arrende, non scappa, non si piega. Il dottor Giovanni Russo, titolare di una farmacia in via Simone Martini, nel cuore del Vomero, ha deciso di rispondere ai ladri con la fermezza di chi ama il proprio lavoro e la propria città. Dopo aver subito almeno tre furti documentati – il 14 agosto, il 4 gennaio e il 4 maggio – ha affisso un cartello all’interno dell’attività per mandare un messaggio chiaro, diretto e ironico: “Vi avevo avvisato, le casse sono vuote e stavolta siete dovuti scappare come conigli”.

Il cartello, scritto tutto in stampatello blu acceso su sfondo chiaro, è diventato virale. Non solo perché si rivolge esplicitamente ai ladri, ma perché racconta molto di più: una resistenza civile fatta di amore per il proprio mestiere, rispetto per i cittadini onesti e rifiuto della rassegnazione.

Il farmacista racconta di aver installato un impianto di “nebbia artificiale”, un sistema che confonde e disorienta i malintenzionati durante le effrazioni. Una scelta costosa ma necessaria, dice Russo, che aggiunge con amarezza e orgoglio: “Mantengo sempre le promesse”, e poi ancora: “Non sarete voi con questi atti vili e meschini a farmi cambiare idea o peggio ancora ad indurmi a lasciare la professione che amo”.

Il cartello è anche un atto d’amore verso Napoli, che chiude con uno slogan che è quasi una firma di resistenza e passione: “Forza Napoli, sempre!”

Un messaggio che in molti hanno condiviso sui social, facendo del dottor Giovanni Russo un simbolo di chi a Napoli decide di non cedere al degrado ma di rimanere, combattere e difendere il proprio lavoro e la propria dignità.

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