La bufera giudiziaria che ha travolto l’ex sindaco di Capaccio Paestum e presidente della Provincia di Salerno Franco Alfieri, indagato per scambio elettorale politico-mafioso, apre oggi un capitolo inedito e inquietante: quello di un presunto traffico di armi illegali acquistate sul dark web.
Secondo quanto emerge dalle indagini della Procura di Salerno, diretta dal procuratore Giuseppe Borrelli e dal vicario Luigi Alberto Cannavale, tre indagati originari della Valle dell’Irno – Domenico e Vincenzo De Cesare e Antonio Cosentino – sarebbero stati contattati da Roberto Squecco, imprenditore vicino al clan Marrandino, per intimidire il sindaco Alfieri a seguito della rottura di un presunto patto elettorale.
Armi sul dark web: pistole, mitra e persino “carri armati”
Le intercettazioni registrate dalla Direzione Investigativa Antimafia (Dia), coordinata dal colonnello Fabio Gargiulo, rivelano un quadro inedito e allarmante. Padre e figlio De Cesare spiegano nei dialoghi intercettati come sia possibile acquistare armi di ogni tipo sul dark web utilizzando criptovalute, in particolare bitcoin. “Lì sopra c’è tutto, pure i carri armati”, dice Vincenzo De Cesare. Non solo armi, ma anche killer a pagamento: “Mi hanno chiesto se si può comprare uno bravo”, racconta il giovane.
Il sistema, spiegano, non è accessibile a chiunque. Serve un hacker, un intermediario esperto, capace di muoversi tra piattaforme criptate e canali anonimi di pagamento.
Arsenali nascosti e fornitori nel sud del Cilento
Il mercato delle armi illegali, secondo la Dia, trova nel Salernitano un punto strategico. Gli stessi indagati parlano apertamente di armi nascoste “vicino alla stazione dietro casa”, come un kalashnikov, e di altre da portare con sé quotidianamente. Il valore dell’arsenale dei De Cesare è stimato attorno ai 14mila euro, mentre quello di Cosentino si aggira tra i 30 e i 40mila.
Le armi, in alcuni casi, sono veri e propri pezzi da collezione, risalenti alla Seconda guerra mondiale, restaurate e perfettamente funzionanti. Ma non mancano fucili a canna lunga, pistole nascoste nei marsupi, e proiettili che “saltano le dita”, come raccontano gli stessi protagonisti in un macabro scambio di memorie.
Squecco e il piano fallito per un attentato dinamitardo
Roberto Squecco avrebbe chiesto ai tre di compiere un attentato dinamitardo contro Alfieri, per vendicarsi del mancato salvataggio del lido Kennedy. L’azione intimidatoria non è stata portata a termine, per un mancato accordo economico e per il sospetto che Squecco fosse sotto controllo investigativo.
Tuttavia, la pericolosità dei soggetti coinvolti e la ricostruzione del traffico di armi aprono ora alla Procura un nuovo e vasto filone investigativo, con riflessi nazionali e internazionali, legati ai canali del dark web, alla criminalità organizzata e al crescente mercato parallelo delle armi in Italia.