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Esteri

Brasile, conflitto nella giustizia su scarcerazione Lula

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La giustizia brasiliana è stata scossa  da una tempesta estiva, breve ma violenta, dopo che un magistrato del Supremo Tribunale Federale (Stf) ha emesso una ordinanza nella quale chiedeva la scarcerazione immediata dei detenuti con condanne confermate in secondo grado ma con appelli in corso nella stessa alta corte, una decisione che portava direttamente all’uscita dal carcere dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva. Dopo poco meno di cinque ore di accesso contrasto, però, lo stesso presidente del Stf ha sospeso la misura, rimandando all’aprile prossimo una decisione sulla questione. Tutto è iniziato poco dopo le 14 (le 17 in Italia) , quando Marco Aurelio Mello, magistrato del Sft, ha annunciato la sua decisione, giustificandola in base ai principi del Codice di procedura penale e della Costituzione, secondo i quali le pene di carattere detentivo sono applicabili solo dopo che siano esauriti tutti i ricorsi contro le sentenze di condanna. Secondo cifre ufficiali, la decisione si applicherebbe a poco meno di 170 mila detenuti ma tutta l’attenzione si e’ concentrata sul caso di Lula, rinchiuso nel carcere della polizia di Curitiba dallo scorso 7 aprile, dopo che un tribunale di secondo grado di Porto Alegre ha confermato il verdetto di colpevolezza (per corruzione e riciclaggio) emesso in primo grado dal giudice Sergio Moro, e portando la pena da 9 a 12 anni. I suoi legali hanno celebrato la decisione e meno di 50 minuti dopo la sua diffusione hanno presentato un ricorso, esigendo l’immediata scarcerazione di Lula. La presidente del Partito dei Lavoratori (Pt) ha annunciato che era in volo verso Curitiba per accompagnare la “liberazione del presidente”. Molto diversa, pero’, la reazione della Procuratrice generale, Raquel Dodge e del pool di pm che da Curitiba coordinano le inchieste sulla corruzione politica note come Lava Jato. In meno di due ore, Dodge ha presentato un ricorso contro la decisione di Mello al presidente del Stf, Jose’ Antonio Dias Toffoli, mentre i procuratori della Mani Pulite brasiliana hanno definito “catastrofica” la possibilita’ di una scarcerazione dei condannati in secondo grado. Dodge ha spiegato che la sicurezza della pena “garantisce l’efficacia del diritto penale nella lotta contro l’impunita’” mentre Deltan Dallagnol, coordinatore della task force Lava Jato, ha detto che la decisione di Mello “e’ stata presa alla vigilia delle ferie giudiziarie, violando il principio di collegialita’, in un momento in cui risulta difficile cercare una sua revisione, in maniera autonoma all’interno del Stf”. Lo scontro si e’ concluso intorno alle 20 (le 23 in Italia), quando Toffoli ha deciso di sospendere l’applicazione della decisione di Mello, accogliendo il ricorso della Procuratrice Dodge. Il presidente dell’alta corte ha ricordato anche che una decisione sulla questione di fondo sara’ presa dal Tsf in sessione plenaria -cioe’ in presenza degli 11 magistrati che la compongono- in una udienza che lui stesso ha convocato due giorni fa, e che e’ in programma per il prossimo 10 aprile.

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Media Siria: raid aereo di Israele vicino a Damasco

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“Israele ha lanciato un attacco aereo vicino a Damasco”. Lo riferiscono media statali siriani, ripresi da al Jazeera e Haaretz. Non si hanno al momento ulteriori informazioni. Dall’inizio della guerra contro Hamas il 7 ottobre, Israele ha condotto decine di attacchi aerei contro presunte infrastrutture e presunti depositi di armi degli Hezbollah e di altre milizie locali filo-iraniane, colpendo ripetutamente gli aeroporti di Damasco e di Aleppo.

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Tra i disperati di Gaza in fuga anche dal sud

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La Striscia di Gaza si è risvegliata nell’incubo, dopo un settimana di tregua e di speranze che il peggio fosse ormai passato. E anche tra le strade di Khan Yunis, la cittadina del sud dove si sono riparati migliaia di sfollati arrivati dal Nord, domina la disperazione mentre risuona l’eco dei raid. Lì oggi è stata bombardata una moschea, una delle tante già finite nel mirino perché ritenute da Israele luoghi di di sostegno all’ala militare di Hamas. Malgrado fosse venerdì, giorno di preghiera, la struttura era deserta. Ma il muezzin che dal minareto leggeva i versetti coranici è rimasto ucciso.

“Anche oggi – raccontano in città – saremo costretti a pregare in casa”. Come avviene ormai da settimane: le famiglie riunite con gli uomini seduti davanti e le donne dietro e il più anziano, o il più erudito, che svolge la funzione. A Khan Yunis sta arrivando anche una folla di migliaia di persone, attraverso l’ormai nota arteria che divide la Striscia – la Sallah-a-din -, dai villaggi del settore orientale: quello più agricolo, il meno abitato, il più vicino alla linea di demarcazione con Israele. Da lì, secondo Israele, si sono ripetuti i lanci di razzi e in mattinata l’esercito ha fatto planare dal cielo migliaia di volantini che ordinavano l’evacuazione di quattro villaggi: Karara, Khuzaa, Abassan, Bani Suheila. Le evacuazioni iniziano quindi a riguardare anche il sud della Striscia, finora indicato come ‘zona di sicurezza’, e non più solo il nord.

I nuovi sfollati si sono messi in cammino per lo più a piedi, in un silenzio quasi funebre, con volti inespressivi, scioccati con in mano qualche valigia ed abiti pesanti, in previsione di dover trascorrere notti all’addiaccio. Fra le migliaia di persone si sono contate solo 5-6 automobili, a testimonianza che di benzina non ce ne è più. Sono arrivati all’accampamento dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i profughi, vicino al mare: “Lì almeno c’è la speranza di avere qualcosa da mangiare per non rischiare la fame”, ha raccontato sconsolata una donna. Dappertutto il clima è tetro: “Eravamo sicuri, o comunque volevamo sperare, che il cessate il fuoco avrebbe retto, che ormai la guerra fosse un brutto ricordo del passato. Ma perché Hamas non ha rilasciato gli ostaggi, perchè queste nuove sofferenze?”, ci si chiede nei caffè.

E i timori vanno anche a quanto si è lasciato dietro spalle, in quelle case e in quelle vite abbandonate in fretta e furia. Con le voci di saccheggi al nord che si diffondono a macchia d’olio. In molti raccontano del caso di un ladro, scoperto in una casa di Jabalya rimasta incustodita dopo che il proprietario era stato costretto a sfollare a sud. L’intruso è stato sopraffatto dai vicini di casa e legato ad un palo. “Un caso esemplare, ma certo non unico”, dicono a Khan Yunis. Molti hanno lasciato i propri appartamenti sotto le pressioni dell’esercito, e non sempre hanno fatto a tempo a portare con sé le cose più preziose che avevano. “Oltre alle percosse, cos’altro sarebbe possibile fare? Ormai qui a Gaza non c’è più polizia, non ci sono più tribunali”, commentano alcuni sfollati stringendo le spalle.

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L’avvocato eroe di Gerusalemme freddato da fuoco amico

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Israele piange l’uomo che ieri a Gerusalemme si è lanciato contro i due terroristi di Hamas che sparavano verso decine di persone in attesa dell’autobus neutralizzandoli entrambi in una manciata di secondi a colpi di pistola. Le ultime immagini lo riprendono in ginocchio sull’asfalto con le mani sollevate e la pistola gettata a terra. Secondo una testimone ha gridato disperatamente “non sparate su di me, sono israeliano, sono ebreo”.

Ma è stato colpito egualmente dai proiettili di due soldati della riserva accorsi da un’altra direzione decisi ad abbattere i killer di Hamas: pensavano che fosse uno di loro e hanno sparato per uccidere. Dopo molte esitazioni, la magistratura militare oggi ha annunciato di aver aperto un’indagine sul loro comportamento. Nell’attentato rivendicato da Hamas sono rimasti uccisi un rabbino settantenne, la direttrice di una scuola religiosa ed una giovane sposa, in stato di gravidanza. Yuval Doron Kastelman – questo il nome di quello che adesso viene definito ‘l’eroe di Gerusalemme’ – era un avvocato di 38 anni, impiegato statale. Ieri ha visto le prime fasi dell’attacco mentre si trovava nella sua automobile, nella carreggiata opposta a quella degli attentatori. Ha sfoderato la pistola, ha attraversato di corsa quattro corsie e li ha sorpresi di lato.

La sua mira è stata precisa ed è riuscito a bloccare i killer, evitando così che il bilancio fosse ancora più tragico. Ma da un’altra parte sono sopraggiunti i due riservisti: le immagini diffuse sul web lo mostrano implorante, poi rantolante sotto i loro proiettili. Adesso i due militari – che ieri hanno rilasciato un’intervista ad una televisione di estrema destra – sono sotto accusa. La tragedia ha subito assunto una connotazione politica, anche perché ieri – sul luogo dell’attentato – il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir (del partito di estrema destra Potere ebraico) è tornato a rivendicare la decisione di distribuire in massa armi ai civili per rafforzare la sicurezza.

“Queste armi – ha detto Ben Gvir – salvano vite umane” perché consentono di bloccare attentati nella fase inziale anche in assenza di agenti. Per i due soldati, a quanto pare, non ci saranno risvolti penali anche perché sul cadavere di Kastelman non è stata condotta un’autopsia e dunque non sarà possibile stabilire da che tipo di proiettile sia stato ucciso. Tuttavia potrebbero aver infranto la disciplina militare avendo sparato ripetutamente contro una persona che non rappresentava alcun pericolo, avendo gettato l’arma e sollevato le mani. Nel 2016 Israele si spaccò sul caso di Elor Azaria: un caporale che colpì a morte un attentatore palestinese dopo che questi giaceva ferito a terra ormai neutralizzato. Malgrado i vertici militari lo abbiano incriminato e poi condannato, Azaria è poi diventato un simbolo per l’estrema destra. Oggi Kastelman avrebbe festeggiato il suo compleanno. Invece è stato sepolto in un cimitero nel nord di Israele. “Era il suo carattere, sempre pronto a lanciarsi in aiuto del prossimo”, hanno raccontato i familiari. “Addio, eroe di Gerusalemme”, è stato l’epitaffio della radio pubblica Kan.

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