Banco Bpm sbotta e chiede a Unicredit, in termini perentori e con malcelata insofferenza, di chiarire che cosa intenda fare dell’offerta su Piazza Meda, di fatto congelata dopo che il governo, brandendo il golden power, ha imposto alla banca guidata da Andrea Orcel una serie di onerosi paletti. “Ci sono condizioni di efficacia che non si sono realizzate e che non si realizzeranno più” e dunque “chiediamo a Unicredit” di prenderne atto e decidere “se rinunciare alle condizioni o se rinunciare all’offerta”, ha detto in assemblea il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, facendo riferimento al rialzo del prezzo su Anima, alla mancata concessione del Danish Compromise e al golden power. Concetto ribadito dall’ad Giuseppe Castagna (foto in evidenza Imagoeconomica): “dicano se l’offerta va avanti o si ferma”. Per Tononi “non ci sono altre opzioni. Prendano un punto di vista definitivo, ce lo comunichino e lo comunichino anche al mercato che ha bisogno di maggiore chiarezza”.
“A prescindere dalla passivity rule, questa situazione di incertezza che dura da diversi mesi inizia onestamente ad essere poco apprezzabile e poco ragionevole”, si è lamentato il banchiere. Dopo l’esercizio del golden power – con cui il governo ha chiesto tra l’altro l’uscita dalla Russia e il mantenimento per alcuni investimenti di Anima su emittenti italiani – Unicredit ha chiesto udienza al governo, al momento senza riscontro, affermando di non essere in grado di assumere una “decisione definitiva” sull’offerta. Nel corso dell’assemblea – che ha approvato bilancio e dividendo con oltre il 99% dei voti – sono state ribadite le ragioni per cui l’ops non conviene.
“E’ un’operazione che va a vantaggio solo degli azionisti di Unicredit e a scapito di quelli del Banco”, ha detto Castagna ricordando che l’offerta implica “un importante trasferimento di valore” a favore dei soci di Unicredit, ai cui utili Banco Bpm contribuirà per il 18% vedendosi però riconoscere solo il 14% del capitale e delle sinergie del gruppo post-fusione. Con l’effetto di “una perdita di valore di circa 2,4 miliardi” per i suoi soci e “una creazione di valore di circa 7,5 miliardi” per Unicredit. Oltre agli aspetti finanziari, che includono anche l’assenza di un premio, ci sono quelli industriali: dal pericolo “di decapitare di un terzo” i circa 20 mila dipendenti di Bpm al “rischio significativo” della presenza in Russia di Unicredit, che potrebbe costare fino a 5,5 miliardi di svalutazioni, dall’assenza di un piano industriale congiunto all’incertezza sul destino di Anima, per finire con le ricadute del golden power.
“E’ Unicredit che deve dire se queste decisioni in qualche modo rendono possibile o non possibile” la loro offerta e come “impattano il valore che loro attribuiscono alla nostra banca”, ha detto Castagna senza entrare nel merito delle richieste del governo ma invitando anche a non fare “strumentalizzazioni” sui paletti relativi ad Anima imposti a Unicredit e non al Banco. “Nessuno si pone la domanda se Anima, in una banca al 100% in Italia, continui a investire in Italia” mentre “non si pensa lo stesso” di Unicredit che “ha il 65% delle attività sull’estero” e dunque “interessi che non sono al 100% coincidenti con quelli del nostro Paese”, ha spiegato Castagna.
Tra i possibili ostacoli sul cammino di Orcel c’è anche il Credit Agricole, primo socio del Banco con il 19,8% del capitale, che deciderà “nelle prossime settimane” se aderire all’ops, ha detto il ceo Philippe Brassac. “Ci sentiamo su un percorso che è stato apprezzato dall’Agricole” ha assicurato Castagna mentre i rumor danno i francesi sempre più freddi verso Unicredit e le crescenti difficoltà dell’operazione si traducono in uno sconto di quasi 800 milioni dell’ops rispetto ai corsi di Borsa. Dove, per le banche, è stata una giornata di vendite: Unicredit e Mps hanno perso il 2,8%, Mediobanca il 2,1%, il Banco l’1,9%, Bper l’1,7% e Intesa l’1,5%.