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Rinviata per la pioggia la finale della Coppa Libertadores tra Boca Juniors e River Plate, la partita di calcio che tiene l’Argentina col fiato sospeso

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È stata rinviata la finale di Coppa Libertadores che fa sognare e fa disperare. Una sfida tutta argentina: tra River e Boca non è mai corso sangue. Si giocherà forse domani alle 21, ora italiana: gli occhi del mondo  guarderanno l’andata della Coppa Libertadores, il Superclasico fra Boca e River, in una Bombonera strapiena di tifosi, e un occhio va anche alle questioni di ordine pubblico. L’unica fortuna è che la partita si disputa nei giorni in cui Buenos Aires è già blindata perchè nelle prossime ore ci sarà il G20 in città e sono attesi anche Putin e Trump.
È una delle partite più importanti della storia del calcio sudamericano. È il primo derby in finale di Libertadores, fra i più velenosi al mondo. L’Argentina, almeno calcisticamente,  è divisa in due.
Ci  saranno in 50.000 al Colosseo di Maradona, ma nessun ospite.
L’ idea del presidente del Paese, Macrì, di offrire 4.000 posti ai tifosi avversari è stata subito respinta dai club e dai responsabili della sicurezza. Ma i fans del River Plate saranno per strada: migliaia accompagneranno il pullman della squadra nella partenza dal Monumental, con striscioni e fuochi d’artificio. 

I posti riservati per i tifosi non bastano. Se già capita ogni domenica, immaginatevi per una finale di Libertadores contro i cugini; ormai è impossibile da gestire. Il Boca ha più di 100mila soci che pagano ogni mese la quota, ma la Bombonera è troppo piccola. Per i soci si è ideato un sistema di filtri: priorità per quelli che sono entrati a tutte le partite di Libertadores, ma il sito web è crollato in meno di un minuto. Non c’è tecnologia che possa sopportare l’ansia di migliaia di persone. E come succede spesso, le file per ritirare i biglietti alla Bombonera sono finite con scontri e l’intervento delle forze dell’ordine.

Nel River non ci sarà l’allenatore Gallardo, squalificato per 4 gare e con proibizione d’ingresso allo stadio del Boca. “Una legge che serve per penalizzare i delinquenti, non gli allenatori che entrano in uno spogliatoio”, ha commentato il presidente del River Rodolfo D’Onofrio. Ma nei lamenti dei tifosi c’è anche l’assenza del capitano Leonardo Ponzio, ancora non al 100% dopo uno strappo muscolare: sarà pronto per il ritorno al Monumental. Anche Scocco, carnefice del Boca in Superliga e in Supercoppa (ma non titolare) è a rischio per un problema muscolare: la settimana scorsa ha resistito solo 15 minuti in campo. Se non va in panchina, il suo posto potrebbe essere per il 18enne Julian Alvarez, appena 2 partite in Primera.
Nella squadra di Barros Schelotto, dopo lo choc per aver perso il portiere Andrada nei quarti (frattura a una mascella), i problemi sono di abbondanza, specie in attacco: 7 giocatori per 3 ruoli. Così, a quanto pare, il centravanti continuerà a essere Ramon Abila, detto Wanchope, mentre Benedetto, in gran forma dopo il lungo stop di 7 mesi (3 gol nelle 2 gare col Palmeiras in semifinale), aspetterà in panchina.
Seduto accanto a Cardona, Maurito Zarate e Tevez. Ma niente è confermato. Come nella Guerra Fredda, l’allenatore darà la formazione solo pochi minuti prima dell’ inizio.
Le trasferte di Libertadores diventarono famose negli anni 70, quando i giocatori ricevevano pugni e schiaffi, e dovevano camminare in spogliatoi con mezzo metro d’ acqua e senza luce. Ora si cerca di evitare le tattiche sporche del passato. «Bisogna capire che il 25, dopo i festeggiamenti di chiunque abbia vinto, il mondo continuerà, e dobbiamo pensare a tutte le cose che ci sono ancora da fare in questo Paese per avere una patria più giusta», ha detto il presidente del River, D’ Onofrio. Quello del Boca ha preferito ricordare il passato glorioso: «Non dobbiamo dimenticare le gare che abbiamo vinto col Real e Milan». Giusto, per rinverdire i fasti. Ma tutti sappiamo che Boca / River non è solo una partita di calcio. Sono due squadre nate nello stesso quartiere di Buenos Aires, la Boca, più di cento anni fa. Dopo essersi divise e aver fatto nascere una delle più grandi rivalità calcistiche al mondo, si sono imposte come le migliori squadre argentine e sudamericane. In quelle squadre, in epoche calcistiche diverse, sono il padreterno del calcio, Diego Armando Maradona, ed altri inarrivabili campioni:  Alfredo Di Stefano, Daniel Passarella, Mario Kempes, Gabriel Omar Batistuta, Juan Roman Riquelme e Hernan Crespo.

Pur essendo state fondate nel quartiere portuale di Buenos Aires da una comunità composta in prevalenza da immigrati genovesi, nel corso degli anni le due squadre hanno preso due strade opposte, che ne hanno definito le identità. Il Boca, fondato 117 anni fa da cinque amici genovesi — a cui si deve il soprannome della squadra, gli “Xeneizes” — rimase il club delle classi più povere. Il River, invece, dopo aver perso lo spareggio per restare nel quartiere, si trasferì nella parte settentrionale della città, una zona ricca e profondamente diversa dalla Boca. Divenne così la squadra delle classi agiate della capitale: deve il suo soprannome — i “Millonarios” — alla forza economica del club raggiunta in special modo nella metà dello scorso secolo.

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Tennis: Sinner, un software per l’allenamento mentale ai match

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Un software per Jannik Sinner. Per ritrovare, davanti a un computer, la concentrazione e la performance mentale da match. E tornare agli Internazionali d’Italia, dopo tre mesi di stop, con la stessa energia mentale di quando ha smesso. Si chiama “Mental economy training”, e come racconta all’AGI Riccardo Ceccarelli, il mental coach che da quattro anni fa parte del pool allargato di Jannik Sinner, in questi tre mesi di assenza forzata dalle competizioni per lo stop dovuto al caso Clostebol ha aiutato parecchio il numero uno del mondo a gestire le emozioni della partita, simulando lo stress da match.

“Jannik e’ un atleta consapevole, leader di se stesso, e con lui il lavoro mentale in condizioni normali e’ diventato marginale – premette Ceccarelli a margine della conferenza stampa di presentazione del Simposio internazionale in scena oggi agli Internazionali – dopo tre mesi di lontananza dalle competizioni ha avuto pero’ bisogno di ritrovare il ritmo, risvegliare la mente e la concentrazione con una serie di allenamenti computerizzati”.

A casa, davanti al suo computer, spiega Ceccarelli che da anni lavora anche con i piloti di Formula 1, il mestiere che Sinner sognava da bambino, il numero uno del mondo, che riapparira’ agli Internazionali d’Italia tra sei o sette giorni, si cimenta con dei test, una sorta di videogiochi che, portandolo fuori dalla sua comfort zone, servono ad allenare le funzioni mentali, a partire dalla focalizzazione e passando anche per la meditazione.

“Mentre l’atleta si cimenta con i test, sul computer arrivano dei parametri biometrici – chiarisce Ceccarelli – uno misura l’attivazione del lobo frontale e quindi l’efficienza cerebrale, un altro il battito cardiaco, un po’ come quando sul tapis roulant compaiono i chilometri percorsi, le calorie e la frequenza cardiaca”. In questo caso pero’ si allena la mente, con l’obiettivo di “migliorare le performance e abbassare il livello energetico. Non ci si deve focalizzare soltanto sulla performance ma anche nell’eliminare, durante il test pensieri inutili e distrazioni, pulendo la mente e quindi anche il consumo cerebrale”.

Come? “Con il mio team di psicologi studiamo e personalizziamo le tecniche: esercizi di respirazione o un mantra da ripetere, cui ricorrere poi durante i cambi campo – continua Ceccarelli – i trucchi mentali per ottimizzare le proprie risorse possono essere infiniti, li studiamo ascoltando le esigenze degli atleti”. Sinner e’ stato dotato della piattaforma messa a punto da Ceccarelli da quando aveva 19 anni, utilizzandola, chiarisce il mental coach e medico sportivo “quando gli serve, quando sente di dover sviluppare il suo tasso di consapevolezza. E’ autonomo, si gestisce da solo”.

Se ne servono anche parecchi piloti di Formula 1, oltre alle campionesse di sci Federica Brignone e Mikaela Schiffrin. Tra i tennisti oltre a Sinner, si allena mentalmente davanti al computer soltanto Lilly Taggher, la 17enne austriaca che fa parte della scuderia del manager di Sinner Alex Vittur ed e’ allenata da Francesca Schiavon: “Ai piu’ giovani consigliamo allenamenti trisettimanali, Sinner si gestisce da solo”.

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Cronache

Vincenzo Nibali: «Ero un carusu dannificu. La bici mi ha salvato dalla strada»

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Messina, la Sicilia, la fatica, la gloria. Vincenzo Nibali si racconta al Corriere della Sera, tra ricordi di un’infanzia ribelle, il riscatto sulla bicicletta e la consapevolezza maturata solo dopo il ritiro. Un’intervista intensa, autentica, a cuore aperto.

Una giovinezza a rischio: «Compagni con la pistola nello zaino»

«Ero un carusu dannificu», dice Nibali, usando l’espressione siciliana per “bambino disastroso”. Uno che attirava guai: sassate alle vetrate, petardi nelle cassette postali, motorini lanciati contro i muri. Una giovinezza vissuta in un quartiere difficile di Messina, dove alcuni compagni portavano la pistola a scuola. Nessuna mafia organizzata, ma il pizzo sì: «Colpì anche la cartoleria dei miei genitori».

La salvezza arriva su due ruote: «Sempre in salita, come da Messina»

La svolta arriva con la bici, a 12 anni, grazie al padre e ai suoi amici cicloturisti. Le prime gare, l’ammiraglia della Cicli Molonia, il traghetto per Villa San Giovanni che diventava un passaggio simbolico verso il sogno. A 15 anni vince a Siena e non torna più: «Mai avuto nostalgia. I miei genitori mi dissero: se ti impongono cose sbagliate torna, qui avrai sempre un lavoro. Mi ha aiutato a non cedere al doping».

L’ascesa, la gloria, il peso della vittoria

Nibali è uno dei pochi ciclisti ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri. Il Tour de France del 2014 è stato l’apice, ma anche l’inizio di un incubo: «Non potevamo camminare con la carrozzina di nostra figlia senza essere assaliti. Solo adesso che ho smesso, vivo davvero». E confessa: «Mai provato e mai pensato di doparmi. Ma ho pagato il sospetto solo perché vincevo ed ero italiano».

La caduta che fa crescere: l’Olimpiade sfumata

Nel 2016 era lanciato verso l’oro olimpico, ma cadde in curva. «Scelsi io di rischiare, e sbagliai. Nessuna scusa». Parla anche del secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, “scippato” da un dopato, ma senza rancore: «Non mi chiedo mai quanto ho perso per colpa del doping».

Il ritorno da turista: «Messina è ‘u megghiu postu nto munnu’»

Oggi Nibali è ambasciatore del Giro e padre presente. Ha visitato la Sicilia con le figlie per farla conoscere da turista: «Antonello da Messina, i templi di Agrigento, i boschi dei Peloritani… È il posto più bello del mondo». Un campione che, a distanza di anni, può guardarsi indietro con orgoglio: «A testa alta, sempre».

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Rudi Garcia e Francesca Brienza, nozze da favola a Roma tra Caravaggio e vip

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Dopo il matrimonio segreto a Cannes, Rudi Garcia e Francesca Brienza hanno deciso di celebrare il loro amore con una cerimonia solenne e romantica nel cuore della Capitale, tra arte, amici e petali bianchi. Il 1° maggio si sono detti sì per la seconda volta, stavolta davanti a decine di invitati nella splendida cornice della chiesa di San Luigi dei Francesi.

Una cornice unica tra i capolavori di Caravaggio

San Luigi dei Francesi, celebre per custodire il ciclo di tele di Caravaggio dedicate a San Matteo, è uno degli scenari più ambiti da chi desidera un matrimonio indimenticabile. E proprio lì, tra vocazione, angeli e martiri, Francesca Brienza, ex volto noto di programmi come Quelli che il calcio e Tiki Taka, è arrivata in abito bianco firmato Antonio Riva, accompagnata dalle emozioni e dagli applausi.

Petali, applausi e amici celebri

Ad accoglierli all’uscita, una pioggia di petali bianchi e l’abbraccio di tanti amici. Tra gli invitati l’étoile Eleonora Abbagnato con il marito Andrea Balzaretti, Max Giusti con la moglie Benedetta, il dentista delle star Daniele Puzzilli, il preparatore atletico Guido Nanni e l’imprenditrice Maria Rosito. Assente Francesco Totti, ancora in vacanza ai tropici. Superospite, la piccola Sofia, nata in Francia nel 2023, terza figlia per Francesca e quarta per Garcia, già padre di Carla, Eva e Lena.

Una dedica in musica e lacrime di gioia

Al ricevimento, nella scenografica Villa Miani a Monte Mario, Garcia ha commosso tutti con la dedica alla sposa sulle note di Come nelle favole di Vasco Rossi: «Io e te, dentro un bar a bere e a ridere…». Commozione anche per le figlie ormai adulte del tecnico francese, che in quell’istante ha mostrato il lato più tenero e familiare, lontano dalle telecamere degli stadi.

Una storia cominciata a Trigoria

Il loro amore è nato nel 2014, quando lui allenava la Roma e lei lavorava per Roma Tv. «Mi corteggiava in modo elegante – racconta Francesca – ma prima di accettare il suo invito avvisai il mio direttore. Non volevo mischiare lavoro e sentimenti». Poi tutto è cresciuto lentamente, fino alla nascita di Sofia e alla scelta di costruire una famiglia insieme.

Viaggio di nozze a giugno, tra Sardegna e sogni tropicali

La luna di miele è rimandata a giugno. Destinazioni probabili? Sardegna e Thailandia, le mete del cuore di Francesca, detta “Brienzina”, da sempre appassionata di viaggi. Sarà l’ennesima tappa di un amore che ha saputo resistere a sfide e distanze, costruito con pazienza, eleganza e determinazione.

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