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Blitz sul Centro Sperimentale, l’opposizione insorge

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Il sospiro di sollievo del mondo del cinema è durato solo qualche ora. Momentaneamente accantonato ieri, è stato riformulato e approvato stamattina dalla maggioranza in commissione Affari costituzionali e Lavoro alla Camera, con 28 sì a fronte di 19 voti contrari, l’emendamento della Lega al decreto PA bis che riforma la governance del Centro sperimentale di cinematografia, azzerando gli attuali vertici e portando in particolare sotto il controllo del governo il Comitato scientifico dell’istituzione: il presidente e tre dei componenti verranno designati dal ministero della Cultura, un componente a testa sarà indicato dai ministri dell’Istruzione, dell’Economia e, new entry nell’ultima versione della norma, dal dicastero dell’Università.

Insorge l’opposizione: “Giù le mani dal cinema e dai luoghi di cultura”, avverte la segretaria del Pd Elly Schlein, che aveva convocato una conferenza stampa con gli studenti del Centro, accanto ai quali si sono mobilitati nei giorni scorsi tanti big, da Paolo Sorrentino a Wim Wenders, da Mario Martone a Matteo Garrone, da Alice Rohrwacher a Paola Cortellesi. Un drappello di alunni della storica scuola di cinema, in presidio a Montecitorio, parla di “mossa ignobile della maggioranza”; l’assemblea, riunita d’urgenza, assicura poi che la battaglia andrà avanti “con tutti i mezzi possibili a disposizione, nelle istituzioni e fuori, senza interrompere il percorso intrapreso e senza arretrare di un passo”. “Il governo Meloni volta le spalle alle istanze dei giovani, degli studenti, agli appelli del mondo del cinema e della cultura”, scrive sui social il presidente M5s Giuseppe Conte.

“La lottizzazione peggiora, ampliando da 3 a 4 i ministeri protagonisti del futuro spoil system”, aggiungono i componenti pentastellati della commissione Cultura. Solidarietà agli studenti anche da Nicola Fratoianni, deputato di Avs e segretario di Sinistra italiana, e di Azione, che con Valentina Grippo promette “un emendamento in Aula”. Protestano anche i 100Autori, puntando il dito contro “il nauseante doppiogiochismo e l’opacità con la quale questo governo e i suoi esponenti hanno orchestrato, protetto e portato a goal l’emendamento contente la riforma del Centro”.

La maggioranza respinge le critiche. “Sorprendono le accuse di Pd e M5s. Nessuno di loro parlava di indipendenza e lottizzazione quando Franceschini nominava gli attuali vertici o escludeva chi era targato Pd”, replica il capogruppo della Lega in commissione Affari costituzionali, Igor Iezzi, primo firmatario dell’emendamento. Per Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura di Montecitorio e co-firmatario, “il Parlamento, che è sempre sovrano, ha ampliato l’organismo di amministrazione, colmando l’omissione fino ad oggi incomprensibile dell’Università e dell’Istruzione, ampliando anche le finalità del Centro fino all’interazione con i nuovi settori e le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale. Nessuna lottizzazione ma vera valorizzazione del merito”. Il testo approvato aumenta il numero dei componenti del Cda: oltre al presidente e tre membri nominati dal Mic, nonché uno nominato dall’Economia, si prevede anche un componente indicato dal Mur ed uno dall’Istruzione.

La nomina del Comitato scientifico passa dal Cda in capo al ministero della Cultura ed è composto dal presidente, indicato dal Mic, e da sei componenti designati, rispettivamente, “tre dal ministro della Cultura, uno dal ministro dell’Università e della Ricerca, uno dal ministro dell’Istruzione e del merito ed uno dal ministro dell’Economia”. Il Comitato scientifico allarga le sue competenze, esprimendo il parere sulle “modifiche allo Statuto” e in merito “alla nomina del preside della Scuola nazionale di cinema, del Conservatore della Cineteca Nazionale nonché dei docenti della Scuola nazionale di cinema”. Alla costituzione del nuovo Cda e del Comitato scientifico “si provvede entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore” della norma, azzerando anticipatamente gli attuali vertici, guidati da Marta Donzelli.

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Burlando, ho incontrato Spinelli per dargli un’opinione

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“Questo è uno scandalo che riguarda tutta l’Italia”. Lo ha detto l’ex presidente della Liguria ed ex sindaco di Genova Claudio Burlando, intervistato dal Corriere della sera. Secondo Burlando, il suo successore Giovanni Toti “dava l’impressione di trattare per sé, non per il bene pubblico”.

Anche l’ex governatore ha incontrato di recente l’imprenditore Aldo Spinelli: “Quarant’anni che mi occupo di queste cose. Molto complesse. Non mi sono mai negato quando qualcuno mi ha chiesto un confronto. Ribadisco: oggi io non ho alcun potere decisionale. In quel momento, Spinelli stava litigando con l’uomo genovese di Psa. Ogni volta che si libera un’area, in porto c’è una zuffa. Mi ha chiesto la mia opinione.

Credo che lui abbia reso pubblico l’incontro per fare ingelosire Toti. Tutto qui”, sostiene Burlando. E sulle parole del dirigente Pd Andrea Orlando, che ha definito ‘crepuscolare’ la fine del suo mandato, replica: “L’ho trovato un giudizio ingeneroso e poco informato. Andrea afferma anche di avere indicato Ferruccio Sansa, vicino ai Cinque Stelle, alle Regionali del 2020. Dove il centrosinistra ha avuto il peggior risultato della sua storia. Non so se faccia bene a rivendicare quella scelta. E non sono sicuro che sia questa la strada per vincere”.

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Sarà duello tv fra Meloni e Schlein, il 23 da Vespa a ‘Porta a Porta’

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Scelta la data e soprattutto scelto il posto. La comunicazione ufficiale è arrivata con una nota congiunta inviata nello stesso secondo dagli staff della presidente del consiglio Giorgia Meloni e della segretaria Pd Elly Schlein: il confronto tv “si svolgerà giovedì 23 maggio. Sede del dibattito sarà la trasmissione Porta a Porta di Bruno Vespa”. Le altre opposizioni sono partite all’attacco. Per il M5s c’è il rischio “di violare pesantemente la par condicio. La Rai non può far finta che lo scontro sia solo a due né Meloni può scegliersi l’avversario”. Stesse accuse dai leader di Verdi-Sinistra, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Alla fine, comunque, lunghi incontri e faticosi accordi fra gli staff di Meloni e Schlein hanno portato alla quadra. Il dettaglio più combattuto è stato quello della sede: Porta a Porta sulla Rai.

“Andiamo sul terreno più difficile – è la posizione Pd – potremmo dire che giochiamo fuori casa. Ma la premier Meloni voleva farlo in Rai, sul servizio pubblico, non ha voluto prendere in considerazione altre proposte” come Sky o la 7. “Schlein aveva lasciato porte aperte: ‘dove vuole’. Perché il tema non è la rete televisiva: sarà un momento di chiarezza e trasparenza, un confronto su programmi e proposte, fra due visioni della politica alternative”. Meloni punta a rendere il duello “istituzionale”, hanno fatto sapete fonti dello staff della premier, sottolineando poi come sia la prima volta che un presidente del Consiglio affronta un confronto in tv con il principale leader dell’opposizione “non a fine mandato, ma dopo diciotto mesi di mandato, con gran parte della legislatura ancora davanti”. Meloni si prepara a puntare su “temi concreti, sui programmi e sui problemi della gente”.

I dettagli del format saranno messi a punto nelle prossime ore. “Lo condurrò da solo – ha anticipato Vespa – Sarà un confronto molto istituzionale, molto tecnico”. Durerà “un’ora esatta, in prima serata”. Poi, la replica a chi parla di par condicio violata: “Anche il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte – ha fatto sapere la trasmissione – sono già stati invitati da Bruno Vespa per un analogo faccia a faccia a Porta a Porta, con le stesse modalità di messa in onda”. Fra frenate e accelerate, l’attesa del confronto si trascina da mesi. La memoria torna alla festa di FdI, Atreju, nel dicembre scorso, quando Schlein declinò l’invito ma rilanciò: “Sono pronta al confronto con Meloni quando vuole, ma non a casa sua o a casa nostra”.

Da quel momento il progetto di un duello in tv ha cominciato a prendere piede. La decisione delle due leader di candidarsi alle europee ha fatto il resto: si vota l’8 e 9 giugno, una ventina di giorni dopo il confronto. Vespa sarà l’arbitro di una partita su cui sia Meloni sia Schlein puntano molto: le due leader stanno cucendo una contrapposizione che può mette in ombra le altre forze. “Alla fine non c’è nessuna par condicio – ha detto il leader di Azione, Carlo Calenda – È un sistema malato”.

E il capogruppo alla Camera di Italia viva, Davide Faraone: “Andrà in onda una farsa, Schlein e Meloni sono candidate civetta. Non metteranno mai piede nel Parlamento Europeo”. Anche per il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, “il confronto è una fake tra due candidate fake”. Finora, la più plateale rappresentazione della contrapposizione fra le due leader resta comunque uno scontro a distanza fra slogan, che ci fu quando nessuna delle due era dove si trova adesso. La prima fu Meloni allora all’opposizione: “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una mamma, sono italiana, sono cristiana”. Qualche mese dopo la candidata al Parlamento Schlein parafrasò a modo suo: “Sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre. Ma non per questo sono meno donna”.

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Caso Toti, Salvini: se lascia è una resa, toghe paghino per loro errori

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“Serve la responsabilità civile per i magistrati, personale e pecuniaria, quando sbagliano”. Lo dice il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini in un’intervista a ‘La Stampa’. Toti non esclude le dimissioni da presidente della Regione? “Non mi risulta in nessun modo. Spero anzi che vada avanti la Regione Liguria, così com’è andata avanti in questi anni, dalla ricostruzione del Ponte Morandi alla Diga, al Terzo Valico, all’Alta velocità. È una regione che è tornata a guardare a futuro grazie a tutto il sistema Liguria e Genova e il suo porto sono proiettati verso il Nord Europa. Ecco, spero quindi che nessuno pensi di bloccare lo sviluppo della Liguria”, aggiunge. “Quando c’è una persona privata della libertà, io mi fermo sempre sull’uscio di casa: sono scelte umane. Dal mio punto di vista dimettersi adesso sarebbe una resa”.

“Una resa – sottolinea Salvini – nei confronti dei liguri e nei confronti di un rapporto tra magistratura e resto del mondo che è palesemente sbilanciato. Lo ribadisco: se qualche giudice, se qualche pubblico ministero venisse intercettato e dossierato a casa sua e nel suo ufficio per due o tre anni, non so quanti andrebbero a spasso magari sul lungomare della Spezia….”, insiste il leader della Lega. Ma scusi, ma cosa vuol dire? Che commettono reati di nascosto? “No – risponde – Voglio dire che non c’è equilibrio dei poteri. Stiamo alle statistiche: ogni anno mille italiani vengono arrestati e poi liberati perché i magistrati avevano sbagliato qualcosa. Significa tre persone al giorno. Vuol dire che oggi tre persone normali, non politici, vengono arrestati, gli si rovina la vita, e poi alla fine del percorso arriva una pacca sulla spalla: ‘Mi scusi abbiamo sbagliato’. E nessuno ne risponde. Ecco, la responsabilità civile dei magistrati, personale e pecuniaria per quelli che sbagliano con dolo, secondo me eviterebbe alcuni problemi”.

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