Nell’aprile del 2019, la Polizia di Stato di Parma ha fatto accesso presso l’abitazione di un 48enne originario del reggino alla ricerca di sostanza stupefacente. L’uomo, infatti, già arrestato nel 2018 dagli stessi agenti in quanto trovato in possesso di 7 etti di hashish, era indagato, presso la locale Procura, per traffico di sostanze stupefacenti.
Nel corso della perquisizione (all’esito della quale non veniva rinvenuta della droga), l’attenzione degli agenti è stata, però, attirata da un “vecchio” violino presente nell’abitazione, precisamente dentro una custodia, sotto il letto; oltre allo strumento (privo di archetto) venivano rinvenute vecchie corde di ricambio con etichette in giapponese ed il biglietto da visita di un commerciante di archi da violino cremonese.
Il soggetto, nel vano tentativo di sviare l’attenzione degli agenti, riferiva che quello strumento era stato portato nella sua abitazione da sua cognata (sudamericana residente a Bogotà) a cui sarebbe stato “donato” dalla nonna che, a sua volta, lo avrebbe acquistato presso un banco dei pegni in Colombia. Le spiegazioni fornite dall’uomo e dalla cognata apparivano decisamente inverosimili ed anche in ragione dei trascorsi delinquenziali dell’indagato, il violino veniva sottoposto a sequestro, ritenendolo possibile provento illecito dell’attività di spaccio, unitamente ai telefoni dell’indagato. Presso gli uffici della Squadra Mobile, partivano immediatamente degli accertamenti sulle banche dati in uso alle forze di polizia alla ricerca di un violino rubato che corrispondesse alle caratteristiche di quello sequestrato, ma queste non davano alcun esito, pertanto, i poliziotti provavano una ricerca tramite fonti aperte e qui, in un sito internet dedicato all’arte liutaia, rintracciavano la segnalazione di un violino rubato nel 2005 in Giappone: si trattava di un “Nicolò Amati del 1675”. Le indicazioni sullo strumento trafugato e le descrizioni dello stesso presenti all’interno di questo articolo corrispondevano con quanto riportato su di una vecchia targhetta apposta all’interno della cassa del violino sequestrato “Nicolaus Amatus Cremonen Hieronymi Fil., ac Antonij Nepos Fecit, 1675”.
Sulla scorta di queste prime emergenze investigative, la Procura della Repubblica di Parma dava incarico ad un consulente tecnico un noto liutaio cremonese, affinché periziasse lo strumento ed accertasse l’effettiva corrispondenza con quello trafugato in Giappone e, nel frattempo, attraverso il Servizio Centrale di Cooperazione Internazionale, la Squadra Mobile avviava i primi contatti con gli omologhi nipponici per avere riscontro rispetto al segnalato furto avvenuto nel 2005 ed acquisire informazioni sulla vittima e tutta la necessaria documentazione, comprensiva della denuncia e dei certificati di autenticità dello strumento.
Dalla denuncia formalizzata dalla vittima nel 2005, si apprendeva che, nell’occasione del furto, erano stati asportati anche un archetto da violino ed un archetto da violoncello e, pertanto, venivano avviate ulteriori ricerche volte al recupero anche di questi due pezzi che si poteva ipotizzare fossero entrati, anch’essi, nella disponibilità dell’uomo. All’esito delle successive indagini, gli investigatori della Squadra Mobile rinvenivano e recuperavano i due archetti presso il laboratorio di un artigiano cremonese (ovvero quello il cui biglietto da visita era stato rinvenuto insieme al violino), appurando che l’uomo, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, li aveva portati per una stima economica. Tale circostanza, unita al fatto che si accertava che già dal novembre 2019 il soggetto stesse cercando un acquirente per il violino, smentiva definitivamente le sue spontanee dichiarazioni rispetto alla circostanza che lo strumento fosse stato portato in Italia dalla cognata solo nel mese di febbraio 2019.
Nel frattempo il consulente tecnico, ad esito della sua consulenza, riferiva che il violino sequestrato era senz’altro un’opera del liutaio Nicolò Amati databile tra il 1655 ed il 1680 e che si trattava certamente del violino trafugato nel 2005 in Giappone. Il C.T. confermava altresì che quantomeno l’arco di violoncello era quello rubato assieme al violino ed aveva un valore di circa € 100.000,00; l’archetto da violino, meno prezioso, ha un valore di circa 4.000 euro, ma non è stato possibile indicarlo con certezza come quello rubato, per l’assenza di riproduzioni fotografiche.
L’uomo, indagato per ricettazione, è attualmente irreperibile sul territorio nazionale.
Il prezioso strumento è tuttora in sequestro in attesa della restituzione alla legittima proprietaria.
Omicidio questa mattina in una stazione di benzina di Mondragone, comune del litorale casertano. Un commerciante, L.M., è stato ucciso a colpi di pistola da un uomo, un imprenditore, che ha fatto fuoco mentre la vittima era in auto, per poi allontanarsi sotto gli sguardi terrorizzati del gestore del distributore, situato sulla statale Domiziana, e di altri avventori. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, che hanno avviato le indagini.
In assenza di una minaccia diretta, per sé e per la propria compagna, uccise un 23enne con un colpo di fiocina sparata da un fucile subacqueo in via Cilea a Sirolo (Ancona) il 27 agosto del 2023: un omicidio che non sarebbe scaturito dall’iniziale “diverbio stradale” ma dal successivo intervento dei fratelli della vittima, uno dei quali lo colpì con un pugno per il quale l’omicida intese “vendicarsi”.
Lo scrive la Corte d’Assise di Ancona nella motivazione della sentenza con la quale, il 21 gennaio scorso, ha condannato a 18 anni di carcere Melloul Fatah, 28 anni, per l’omicidio volontario, senza l’aggravante dei futili motivi, di Klajdi Bitri, albanese 23enne. Il delitto avvenne di primo pomeriggio a seguito di un litigio per motivi stradali, all’altezza di una rotatoria. Si era creato un ingorgo di auto e dopo vari insulti, che avevano coinvolto anche parenti e amici della vittima, Fatah era tornato al proprio veicolo per prendere la fiocina e puntarla al petto del giovane poi deceduto. Subito dopo era risalito a bordo dell’auto, dove si trovava anche la fidanzata, e se ne era andato.
Era stato arrestato prima di cena, a Falconara, dai carabinieri. L’imputato, difeso dall’avvocato Davide Mengarelli, ha sostenuto di non essersi accorto del colpo mortale e di aver preso il fucile solo per spaventare il gruppetto che gli dava addosso. Secondo i giudici, però, la sua versione non è plausibile. “Ha scelto in totale autonomia di inseguire, in assenza di qualsivoglia minaccia, per sé e per la propria compagna, – scrive la Corte a proposito dell’imputato – di prelevare il fucile elastico con fiocina a tre punte, che utilizzava per la pesca subacquea, di imbracciarlo e di puntarlo alla vittima che in piedi, dietro la Mercedes, dopo pochi attimi decedeva nell’impotenza e nello sconforto generale”. Secondo la Corte, il 28enne agì per vendicare il pugno che aveva subito nella lite: “compreso di non poter prevalere e attesa l’inferiorità numerica – osserva nella sentenza il presidente della Corte Roberto Evangelisti – non reagiva e si dirigeva verso la propria auto dando l’impressione di desistere e di voler riprendere la marcia, apparenza però ingannevole poiché il fine che muoveva Melloul era antitetico”. La fidanzata “non aveva eccepito alcun pericolo, per nulla allarmata si chinava a recuperare gli occhiali caduti in precedenza al fidanzato nel corso dello scontro con la vittima e i suoi amici”.
La Corte ripercorre i drammatici attimi dell’omicidio: Fatah “ha premuto a distanza di circa due metri e mezzo il grilletto del suo fucile subacqueo munito di tridente contro Klajdi, facile bersaglio in quanto in posizione eretta, disarmato e impossibilitato a opporre qualsivoglia difesa se non tentare di disporsi in posizione di chiusura alzando il ginocchio sinistro in funzione di scudo”. I familiari della vittima erano parte civile nel processo con gli avvocati Marina Magistrelli e Giulia Percivalle.
Iniziamo questa storia dalla fine, da un epilogo inaspettato, frutto di una scelta maldestra di un 21enne di Barano d’Ischia. Il giovane si trovava in fila al porto, pronto a imbarcarsi su uno degli ultimi traghetti della giornata con destinazione Napoli. Nulla di strano, se non fosse per un dettaglio singolare: indossava un passamontagna.
Alcune persone presenti hanno manifestato curiosità, altre preoccupazione. A porsi domande sono stati anche i Carabinieri del nucleo radiomobile di Ischia, impegnati nei controlli serali. Avvicinatisi al giovane, gli hanno chiesto di mostrare il volto. A quel punto, come in un colpo di scena da film, il ragazzo ha tolto il passamontagna e si è dato alla fuga verso una pineta.
Riconosciuto e arrestato dopo l’inseguimento
I militari lo hanno inseguito, bloccato e immediatamente riconosciuto: era lo stesso giovane che poche ore prima aveva rubato uno scooter, fuggendo tra le strade di Ischia e venendo arrestato dai Carabinieri. Dopo il primo arresto, era stato sottoposto agli arresti domiciliari.
Questa volta, in manette per la seconda volta nel giro di poche ore, il 21enne dovrà rispondere anche dei reati di evasione e resistenza a pubblico ufficiale. In attesa dell’udienza in Tribunale, resterà in camera di sicurezza.