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Biden, ‘Putin ha perso la guerra, non userà l’atomica’

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“Putin ha già perso la guerra in Ucraina” e le sue minacce di usare l’arma nucleare “non costituiscono una prospettiva reale”: Joe Biden alza il tono della sfida con lo zar a Helsinki, dove suggella il suo viaggio di quattro giorni in Europa rendendo omaggio all’ultima new entry della Nato e incontrando i leader del Nord (Finlandia, Svezia, Danimarca e Islanda) dopo lo “storico” summit dell’Alleanza a Vilnius. Un vertice dal quale esce vincitore per aver strappato il sì di Ankara all’adesione anche della Svezia e per aver mediato tra gli alleati garantendo ogni forma di assistenza a Kiev a lungo termine in attesa di un ingresso nell’Alleanza che, ha ribadito, è solo questione di tempo: “Il problema non è sapere se debba o meno entrare nella Nato ma quando potrà entrarvi, ed entrerà”. Il presidente russo gli ha risposto a stretto giro di posta. “L’adesione dell’Ucraina alla Nato creerebbe una minaccia alla sicurezza della Russia” e “non aumenterà la sicurezza della stessa Ucraina, ma in generale renderà il mondo molto più vulnerabile e porterà ad ulteriori tensioni nell’arena internazionale”, ha messo in guardia.

 

Nello stesso tempo Putin ha tenuto aperta la via del negoziato. “La Russia non è contraria a discutere le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, ma a condizione che la sua stessa sicurezza sia assicurata”, ha concesso, mantenendo nel frattempo l’incertezza sul rinnovo dell’accordo sul grano. Poco prima il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, smentite come fake news le indiscrezioni dei media su possibili colloqui di pace in luglio, aveva ammonito che gli F-16 in Ucraina rappresenteranno una minaccia “nucleare” per Mosca, che ha già avvertito Stati Uniti, Regno Unito e Francia. “Li riceveremo nei tempi previsti, la Russia dovrà ingoiare il rospo, nonostante lo strepitio di Lavrov”, lo ha provocato il ministro ucraino degli Esteri Dmytro Kuleba, mentre i vertici militari di Kiev hanno confermato l’arrivo delle controverse bombe a grappolo Usa. Neppure Biden si è fatto intimidire. Il commander in chief ha ostentato la forza e l’unità occidentale a Helsinki, la stessa città paradossalmente dove cinque anni fa Donald Trump sposò le smentite di Putin alle interferenze elettorali rinnegando le conclusioni dell’intelligence Usa e gettando nello sconcerto le cancellerie degli alleati atlantici. “Putin non ha alcuna possibilità di vincere la guerra in Ucraina, l’ha già persa”, ha tuonato.

Il presidente ha profetizzato che il conflitto non può durare anni, perché la Russia “non può mantenerlo per sempre… in termini di risorse e capacità”, e che Putin prima o dopo deciderà che “non è nell’interesse del Paese” continuarlo. Biden spera che la controffensiva ucraina faccia progressi e che “spinga ad un accordo negoziato”. Quanto alle minacce russe del ricorso all’arma nucleare, il leader Usa non le ritiene una “prospettiva reale”: “Non solo l’Occidente, ma anche la Cina e il resto del mondo hanno detto ‘non andate su quel terreno'”. Non è mancata una stilettata a Ievgheny Prigozhin, il capo dei mercenari Wagner: “Deve stare attento a ciò che mangia”, ha ironizzato, alludendo al rischio che venga avvelenato dopo l’abortita rivolta che ha scatenato una purga negli alti ranghi militari russi.

Biden ha comunque voluto far sapere che è deciso a fare “tutto il possibile” per la liberazione del reporter del Wsj Evan Gershkovich detenuto in Russia, compreso uno scambio di prigionieri. E ha respinto i timori di un disimpegno americano con la Nato sullo sfondo delle future elezioni Usa, assicurando che c’è uno “schiacciante sostegno del popolo americano e dei parlamentari dei due partiti, nonostante qualche elemento estremista di un solo partito” (quello repubblicano, ndr). Anche perché, ha sottolineato, “la pace e sicurezza in Europa sono indispensabili per la pace e la sicurezza” americana e nel mondo. A Helsinki il capo della Casa Bianca ha infine celebrato l’ingresso della Finlandia come 31esimo membro dell’Alleanza (“con la ratifica più veloce della storia”) e l’unità di intenti con tutti i quattro Paesi nordici. Anche sulla sicurezza dell’Artico, dove la Russia ma anche la Cina continuano a espandere la loro presenza.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

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Ha guidato due banche centrali ma non era mai stato eletto. Il primo ministro canadese Mark Carney, che ha vinto le elezioni generali di lunedi’, e’ abituato a navigare nella tempesta. Con la vittoria del suo partito alle elezioni legislative, dovra’ rapidamente mettersi alla prova contro Donald Trump. Una sfida che dice di poter vincere: “Sono piu’ utile nei momenti di crisi.

Non sono molto bravo in tempo di pace”, ha detto di recente, in tono divertito, a un piccolo pubblico in un bar dell’Ontario. In poche settimane, questo sessantenne novizio della politica e’ riuscito a convincere i canadesi che la sua competenza in materia economica e finanziaria lo rende l’uomo giusto per guidare il paese immerso in una crisi senza precedenti. In effetti, la recessione minaccia questa nazione del G7, la nona economia piu’ grande del mondo, dopo l’imposizione dei dazi doganali da parte di Trump, che continua a ripetere che il destino del Canada e’ quello di diventare uno stato americano.

Nato a Fort Smith, nell’estremo nord, ma cresciuto a Edmonton, in questo West canadese piuttosto rurale e conservatore, Mark Carney e’ padre di quattro figlie e appassionato di hockey. Ha studiato ad Harvard e Oxford, prima di fare fortuna come banchiere d’investimento presso Goldman Sachs, a New York, Londra, Tokyo e Toronto. Nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, e’ stato nominato governatore della Banca del Canada dal primo ministro conservatore Stephen Harper. Cinque anni dopo, e’ stato scelto dal primo ministro britannico David Cameron per dirigere la Banca d’Inghilterra, diventando il primo straniero a dirigere l’istituto. Poco dopo, si trovera’ di fronte alle turbolenze causate dal voto sulla Brexit. Un compito svolto con “convinzione, rigore e intelligenza”, secondo l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Sajid Javid.

Da anni circolavano voci sul suo ingresso in politica. Ma e’ stato solo all’inizio di gennaio, dopo le dimissioni di Justin Trudeau, di cui era stato consigliere economico, che ha deciso di buttarsi nell’arena. Dopo aver conquistato il Partito Liberale all’inizio di marzo, e’ diventato primo ministro e ha indetto le elezioni in seguito, dicendo che aveva bisogno di un “mandato forte” per affrontare le minacce di Trump, che ha cercato di “spezzare” il Canada.

Una vera e propria scommessa per questo ex portiere di hockey che non aveva mai fatto campagna elettorale e che ha preso le redini di un partito al suo punto piu’ basso nei sondaggi, appesantito dall’impopolarita’ di Justin Trudeau alla fine del suo mandato. E molti analisti hanno messo in dubbio la sua capacita’ di ribaltare la situazione su molti canadesi, mentre molti canadesi hanno incolpato i liberali per l’alta inflazione e la crisi immobiliare nel paese. Poco carismatico, in contrasto con l’immagine sgargiante di Justin Trudeau nei suoi primi giorni, sembra che siano proprio la sua serieta’ e il suo curriculum ad aver finalmente convinto la maggioranza dei canadesi.

“E’ un po’ un tecnocrate noioso, che soppesa ogni parola che dice”, dice Daniel Be’land della McGill University di Montreal. Ma anche “uno specialista in politiche pubbliche che padroneggia molto bene i suoi dossier”. “Questo profilo e’ rassicurante e soddisfa le aspettative dei canadesi per gestire questa crisi”, aggiunge Genevie’ve Tellier. Il suo principale avversario durante la campagna, il conservatore Pierre Poilievre, lo ha descritto come un membro dell'”e’lite che non capisce cosa sta passando la gente comune”, ha detto Lori Turnbull, professoressa alla Dalhousie University. Resta un argomento che sembra fargli perdere la flemma: la questione dei suoi beni. Secondo Bloomberg, a dicembre aveva stock option per un valore di diversi milioni di dollari. E i suoi rari scambi di tensione con i giornalisti durante la campagna elettorale riguardavano questa fortuna personale.

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