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Esteri

Biden ottimista sugli ostaggi, 007 israeliani al Cairo

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L’accordo sul rilascio degli ostaggi israeliani, o almeno di una parte di essi, sembra essere a portata di mano 39 giorni dopo il loro rapimento da parte di Hamas. Il presidente Usa Joe Biden oggi ha ostentato ottimismo: “Credo che avverrà”. E ad aumentare le speranze è stato il blitz nel pomeriggio del capo dello Shin Bet israeliano Ronen Bar al Cairo, dove ha incontrato alti esponenti egiziani con i quali si sta trattando anche assieme al Qatar.

“Sappiamo che una decisione può essere presa stanotte”, hanno scritto in un comunicato le famiglie degli ostaggi, chiedendo ai vertici israeliani di “non fermare l’intesa”. Ufficialmente Israele è cauto, anche se ha confermato indirettamente i negoziati in corso. Il premier Benyamin Netanyahu ha avvertito che “se e quando ci sarà qualcosa di concreto da riferire, lo faremo”. Mentre il ministro della Difesa Yoav Gallant ha sottolineato che “quando alcune settimane fa ho ordinato l’avvio dell’operazione di terra, una delle ragioni era la necessità di esercitare pressione su Hamas. Questa pressione ora accresce le possibilità” per la liberazione dei prigionieri.

Se sui dettagli di un eventuale accordo non ci sono certezze, il Washington Post ha riferito che Israele vorrebbe il rilascio di 100 ostaggi (su 239, ndr) tra donne e bambini in mano ai miliziani. Hamas però, secondo la testata Usa, sarebbe pronto a liberarne non più di 70. Resta incerto poi il numero di donne e giovani palestinesi nelle carceri israeliane che potrebbero essere rilasciati. Il ministro degli Esteri Eli Cohen – da Ginevra dov’è andato con le famiglie dei rapiti – ha avvertito che finora non ci sono “prove” che gli ostaggi siano “in vita”. Mentre Benny Gantz, ministro del gabinetto di sicurezza israeliano, ha ammonito che “se anche fosse necessario un cessate il fuoco per la restituzione dei nostri ostaggi, la guerra non si fermerà”. Intanto, mentre aumenta il controllo militare israeliano sulla Striscia, resta totale lo scontro tra Israele e il segretario generale dell’Onu.

Antonio Guterres ha fatto sapere di essere “profondamente turbato dall’orribile situazione e dalla drammatica perdita di vite umane in diversi ospedali di Gaza”. Ed “in nome dell’umanità” è tornato a chiedere “un immediato cessate il fuoco umanitario”. L’appello è stato lanciato dopo che il direttore dell’ospedale al Shifa, vicino al quale infuriano i combattimenti, ha affermato che “179 corpi”, compresi 7 neonati prematuri, sono stati sepolti in una “fossa comune” all’interno della struttura che non ha più le condizioni per operare. Cohen da parte sua ha attaccato Guterres sostenendo che “non merita” di guidare le Nazioni Unite e invocandone le dimissioni. Ma il portavoce di Guterres ha ribadito all’ANSA che “il segretario generale continua a lavorare rimanendo calmo e concentrato in circostanze difficili, basandosi sui principi della Carta Onu e sulle leggi umanitarie internazionali”.

In serata è intervenuta anche la Casa Bianca confermando da una parte che sotto lo Shifa Hamas avrebbe piazzato il suo centro di comando (come sostenuto da Israele), dall’altra avvertendo che Washington “non sostiene attacchi agli ospedali”: “Le azioni di Hamas – ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa John Kirby – non diminuiscono la responsabilità di Israele nella protezione di civili”. Gli Stati Uniti, ha spiegato poi il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller, vorrebbero un’evacuazione sicura per i pazienti degli ospedali di Gaza e sosterranno una terza parte indipendente per condurre le operazioni. Sul campo le truppe israeliane, dopo aver sostanzialmente preso il nord dell’enclave palestinese, continuano intanto l’assedio a Gaza City. Secondo il portavoce militare, i soldati negli ultimi giorni hanno preso il controllo di diverse istituzioni governative di Hamas: oltre al parlamento, il comando della polizia e la facoltà di ingegneria, “che era usata per la produzione e lo sviluppo di armamenti”. Anche la residenza del governatore è caduta in mano israeliana.

Mentre i combattimenti si intensificano (46 soldati sono morti dall’avvio delle ostilità), dalla Striscia – come dagli Hezbollah in Libano – continuano a piovere razzi su Israele: oggi un attacco su Tel Aviv ha provocato 3 feriti, di cui uno grave. Nella situazione umanitaria disastrata di Gaza con sempre più persone che sfollano dal nord al sud, dal valico di Rafah con l’Egitto sono continuate le uscite dei cittadini con passaporto straniero mentre oggi sono entrati 117 camion di aiuti umanitari e medici. Tra questi, ha annunciato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, i primi inviati dall’Italia.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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