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Economia

 Bankitalia: faro su aumento costi dei conti correnti

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La crescita dell’inflazione e il conseguente aumento dei tassi non sta portando solo extra costi per le banche ma anche ricavi e perciò le banche che stanno inviando ai clienti delle lettere in cui comunicano, unilateralmente, la crescita delle spese per i conti correnti devono non solo dare un congruo periodo per permettere il recesso e spostarsi così a un altro istituto ma anche aumentare i rendimenti sui conti deposito. Il richiamo della Banca d’Italia alle banche arriva sotto forma di una comunicazione della vigilanza di Via Nazionale a tutti gli istituti. L’istituto centrale non vuole e non può certamente imporre un sistema di prezzi amministrati (esiste comunque un conto corrente base riservato alle fasce a basso reddito) ma agisce nell’ambito delle sue funzioni di tutela della clientela e vigilanza della correttezzqa dei comportamenti. E percio intende “ripristinare l’equilibrio effettivo degli impegni originariamente assunti dall’intermediario e dal cliente”.

Nella sua missiva infatti la vigilanza ricorda che i vari aumenti dei tassi decisi in questi mesi dalla Bce, che hanno fatto salire anche i costi dei mutui e dei finanziamenti, fanno “seguito a un lungo periodo di tassi di interesse straordinariamente bassi o negativi che avevano già spinto alcune banche ad azzerare la remunerazione dei depositi in conto corrente e ad aumentarne gli oneri a carico dei clienti. Con l’aumento dei tassi di interesse oggi in corso, tali intermediari sono stati sollecitati a rivedere le condizioni in senso favorevole ai clienti. Alcune banche stanno procedendo in tale direzione”. In sostanza chiede così di riequilibrare il rapporto fra banca e cliente che se affronta tassi passivi e costi più elevati, deve poter usufruire di tassi attivi e rendimenti maggiori.

Se i dati ufficiali della stessa Banca d’Italia sono fermi al 2021 (il costo medio di un conto in quell’anno è salito a 94,7 euro annui), secondo indagini più recenti condotte da Facile.it, all’inizio di quest’anno le spese dei conti rispetto al 2022 sono salite tra l’8% e il 26%, con costi compresi fra i 28 e i 154 euro annui. Va detto che la concorrenza fra banche resta un’arma di difesa del consumatore. Sempre secondo Facile.it nell’ultimo anno, il 15,1% dei correntisti, pari a 5,6 milioni di individui, ha detto di aver cambiato conto corrente e, tra questi, 4,4 milioni hanno dichiarato di averlo fatto a causa dell’eccessivo costo. Non a caso la Banca d’Italia nella sua missiva insiste sull’aspetto della trasparenza e negli strumenti a disposizione del correntista.

“In presenza di modifiche unilaterali – si legge nella missiva – la clientela ha sempre il diritto di recedere dal contratto senza spese entro la data di entrata in vigore delle nuove condizioni, valutando anche offerte più convenienti di altre banche”. Plaude al richiamo di Banca d’Italia Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori “Parole sante! Giustissimo l’appello di Bankitalia. Le banche in questi anni hanno dato zero interessi per i depositi in conto corrente, anzi alcune hanno addirittura aumentato gli oneri per punire chi aveva depositi troppo elevati. Più soldi gli davi e più erano scontente. Una situazione assurda e paradossale”.

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Economia

Trump: non rimuoverò Powell prima della scadenza

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Donald Trump ha dichiarato in un’intervista a Nbc che non rimuoverà Jerome Powell (foto in evidenza Imagoeconomica) dalla carica di presidente della Fed prima della scadenza del suo mandato, prevista per maggio 2026, definendo il banchiere centrale una persona “completamente rigida” e ripetendo gli appelli alla Fed ad abbassare i tassi di interesse.

rump ha affermato che Powell non è un suo fan, ma si aspetta che la Fed abbassi i tassi di interesse a un certo punto. “Beh, dovrebbe abbassarli. E a un certo punto lo farà. Preferirebbe di no perché non è un mio fan”, ha detto, sostenendo di non piacere a Powell perché lo ritiene una persona totalmente rigida e incapace. Alla domanda se avrebbe rimosso Powell prima della fine del suo mandato come presidente nel 2026, Trump ha rilasciato la sua smentita più decisa, dicendo: “No, no, no… perché dovrei farlo? Potrò sostituire quella persona tra poco tempo”.

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Economia

Sncf sfida Trenitalia e Italo: “Porteremo 10 milioni di nuovi passeggeri sull’alta velocità italiana”

La francese Sncf vuole entrare nel mercato AV italiano con 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Investimento da 800 milioni e 300 assunzioni.

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L’operatore francese chiede spazio per 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Ma le trattative con Rfi sono complicate: “Binari saturi, serve razionalizzare”

Milano–Roma–Napoli, ma anche Torino–Venezia: sono queste le direttrici su cui Sncf, il colosso ferroviario francese, punta per rompere il duopolio Trenitalia-Italo nell’alta velocità italiana. Dopo i primi contatti nel 2022, il debutto dei treni francesi è atteso per l’estate del 2027, ma le difficoltà non mancano.

In una lunga intervista al Corriere della Sera, Caroline Chabrol (le foto sono di Imagoeconomica), direttrice generale di Sncf Voyages Italia, racconta le ambizioni del gruppo: “Non vogliamo sottrarre clienti alle aziende esistenti. Il nostro obiettivo è intercettare milioni di italiani che oggi non viaggiano in treno”.

Da Milano a Parigi: +10% di passeggeri, nonostante la frana

Sncf è già presente in Italia con il collegamento Milano–Torino–Parigi, interrotto a lungo per una frana e recentemente ripristinato. “Nonostante il viaggio sia passato da 7 a 9 ore, la domanda è rimasta alta. Le prenotazioni estive 2025 sono aumentate del 10%”, spiega Chabrol.

Con tre frequenze giornaliere, si stimano circa 700mila passeggeri all’anno. Proprio questi volumi hanno spinto la società a investire sull’alta velocità nazionale: “Abbiamo ordinato 15 nuovi TGV M a due piani adattati alle infrastrutture italiane”.

CAROLINE CHABROL DIRETTRICE SNCF VOYAGES ITALIA

Trattative difficili con Rfi: “Ci avevano dato due viaggi, poi solo uno”

Sncf ha chiesto 13 frequenze giornaliere a Rfi: 9 tra Torino–Milano–Roma–Napoli, 4 tra Torino e Venezia. Ma, secondo la dirigente, “le trattative sono state frustranti: all’inizio ci avevano dato due viaggi a direttrice, poi sono scesi a uno. Non è sostenibile”.

Sullo sfondo c’è anche un’indagine dell’Antitrust italiano, che sospetta un possibile “abuso di posizione dominante” da parte di Rfi nell’ostacolare l’ingresso di Sncf. La società che gestisce i binari respinge ogni addebito.

Un piano industriale da 800 milioni e 300 nuove assunzioni

Sncf stima 10 milioni di passeggeri all’anno, con una potenziale sottrazione del 30% agli operatori attuali, ma la strategia resta quella di “aumentare lo switch modale”, spingendo chi oggi viaggia in auto, aereo o autobus a passare al treno.

Ogni treno in doppia composizione potrà trasportare 1.300 passeggeri, con tariffe non ancora definite, anche se si smentisce l’intenzione di diventare una low cost: “Guardiamo anche al segmento corporate”, precisa Chabrol.

Il piano prevede 800 milioni di investimento e 300 assunzioni in Italia, tra macchinisti, capitreno, manutentori e addetti operativi.

“Binari saturi, il modello multi-frequenza non regge più”

La sfida non sarà solo con Trenitalia e Italo, ma anche con la capacità della rete ferroviaria. “I binari sono saturi, e questo sta causando ritardi. Il modello di alta frequenza non è più sostenibile. Serve una razionalizzazione dell’offerta”, dice Chabrol.

Sncf pagherà circa 50 milioni di euro l’anno a Rfi per l’uso dell’infrastruttura, ma chiede in cambio condizioni eque per garantire concorrenza. “Portiamo valore a tutto il sistema, anche all’Italia”, conclude.

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Economia

L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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