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Corona Virus

Babele di vaccini frena spostamenti fra nazioni

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Da una parte le compagnie aeree che brindano al superamento del travel ban imposto dall’America il 14 marzo 2020 e i lauti guadagni in Borsa. Dall’altra, la vita di tutti i giorni di lavoratori e studenti dei 33 Paesi riammessi dall’amministrazione Biden ad entrare negli Usa da novembre che pur avendo un visto di lavoro o studio, non sanno ancora se l’immunizzante con cui sono stati vaccinati consentira’ loro di varcare i confini americani. L’annuncio di ieri infatti non chiarisce con quali vaccini si otterra’ l’ingresso poiche’ negli Stati Uniti ne sono stati approvati solo tre, Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson. Mentre AstraZeneca, ampiamente usato in Europa e specie nel Regno Unito, o Sinovac non sono autorizzati dalla Food and drugs administration (Fda). L’indicazione scientifica al governo americano dovrebbe arrivare nei prossimi giorni dai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), ma intanto secondo indiscrezioni circolate sui media statunitensi e’ probabile che chi si e’ vaccinato con AstraZeneca venga ammesso. In sospeso invece la situazione degli immunizzati con il vaccino cinese o il russo Sputnik. A parlare dell’argomento aprendo uno spiraglio per i milioni di vaccinati con il preparato di Oxford e’ stato l’immunologo Anthony Fauci: “Gli Stati Uniti non hanno ancora deciso se aprire le frontiere anche ai viaggiatori vaccinati con AstraZeneca provenienti dal Regno Unito e dall’Unione europea”, ha detto, ma ha spiegato di non ritenere che ci sia “motivo per credere che le persone che hanno ricevuto AstraZeneca debbano pensare che ci saranno problemi con loro”. Da Bruxelles, il portavoce della Commissione europea Eric Mamer ha asserito: “Crediamo che AstraZeneca sia un vaccino sicuro e per questo e’ stato autorizzato nella Ue e dunque dal nostro punto di vista e’ ovvio che le persone vaccinate con questo siero possano essere in grado di viaggiare. Ma la decisione spetta agli Stati Uniti. Sui dettagli aspettiamo cosa riveleranno gli americani”. Intanto, in attesa che l’ente federale Cdc chiarisca il significato delle parole di Jeff Zients, il coordinatore della risposta al Covid della Casa Bianca che ha annunciato gli ingressi solo per i viaggiatori “completamente vaccinati”, in Italia esperti e politici cercano di valutare la situazione. “Lo dico in veste di privato cittadino, mi aspetto che gli Usa e il Regno Unito trovino un accordo per l’ingresso in territorio americano per coloro che sono vaccinati con AstraZeneca”, commenta Guido Rasi, ex direttore dell’Ema e attuale consigliere del generale Figliuolo, “questo e’ chiaramente un discorso politico, mi aspetto che America e Regno Unito trovino una soluzione per i britannici che viaggiano verso gli Usa, che si estendera’ anche ai vaccinati europei con AstraZeneca”. “Del resto – conclude – in questi anni Ema e Fda hanno sempre lavorato bene insieme”. Diverso il punto di vista del sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri che definisce l’eventualita’ che gli Usa non concedano l’ingresso ai vaccinati con AstraZeneca “una regola giusta entro certi limiti”. E spiega: “Non credo che gli Stati Uniti permetteranno l’ingresso di persone vaccinate con Astrazeneca, cosi’ come facciamo noi in Italia con le persone che hanno fatto vaccini non riconosciuti da Ema. Per esempio lo Sputnik non e’ riconosciuto in Italia”. E proprio sui vaccinati con il siero russo in serata si e’ appreso che fino al 15 ottobre i sammarinesi sono esentati dal Green pass e potranno muoversi liberamente in Italia. La strada sara’ ora quella di chiedere una proroga dell’esenzione. La Commissione Ue dal canto suo ha firmato un contratto quadro di appalto congiunto con l’azienda farmaceutica Eli Lilly per la fornitura di un trattamento con anticorpi monoclonali per i pazienti affetti da coronavirus. Il medicinale e’ attualmente in fase di revisione da parte dell’Ema.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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