Collegati con noi

Politica

Azzardo di Stato, l’affare miliardario dove le mafie lucrano e la sanità pubblica deve curare le ludopatie

Pubblicato

del

Se il giro d’affari è di 100 miliardi e le vincite redistribuite sono al di sotto degli 80 miliardi, a chi vanno quei 22-23 miliardi rimanenti? Si divide a metà tra Stato e società che gestiscono l’azzardo di Stato. Nelle casse dello Stato entra dunque una cifra non trascurabile ovvero più di dieci miliardi. Domanda: ma l’incasso serve pure a curare le ludopatie che affliggono i giocatori incalliti che pesano sulla società e sul sistema sanitario pubblico? Il punto è centrale, come confermano le polemiche intorno al “decreto Dignità” che prevede, tra le altre cose, il divieto di pubblicità per giochi e scommesse.

Calcio e scommesse. La mafia si insinua spesso nel mondo del betting

L’Italia ha un livello di tassazione tra i più alti d’ Europa, il doppio di Francia e Gran Bretagna, il quadruplo di Spagna e Germania. Ma se pure le entrate del 2016 hanno superato i 10 miliardi (su una base di 96 miliardi di giocate) il sistema fa acqua da tutte le parti. Attualmente, dopo la liberalizzazione varata dal governo Berlusconi nel 2008, esistono dieci concessionarie private che agiscono sul territorio nazionale grazie ad autorizzazioni dei Monopoli di Stato. Questo variegato mondo fatto di società dove dentro c’è di tutto e tutti fa di queste gestioni appaltate all’esterno un fertile terreno per consentire alla criminalità organizzata di insinuarsi. E certo non è conclusa la vicenda delle multe miliardarie causa evasione fiscale non pagate dalle concessionarie negli anni passati. Anzi.

La storia più inquietante di commistioni tra società di azzardo autorizzate dallo Stato e mafiosi inizia nel 2006, quando la Guardia di Finanza scopre che migliaia e migliaia di slot machine sparse  non erano – come da obbligo di legge – collegate alla rete SoGei, società pubblica incaricata della regolarità della taratura degli apparecchi. Bastava staccare un collegamento e gli incassi, che avrebbero dovuto essere ripartiti tra vincite e imposte, finivano tutti nelle tasche degli operatori di filiera. La Procura Generale della Corte dei Conti stimò – sulla base dei contratti stipulati tra Monopoli e concessionari – in 89 miliardi il danno subito dalle casse dello Stato. Un danno che, ammesso fosse stato ben calcolato, mai è stato riparato da chi quell’imbroglio l’aveva commesso. Nel 2012 la Corte dei Conti inflisse alle concessionarie che avevano truffato 89 miliardi di euro sanzioni ridicole pari a 2,5 miliardi di euro, poi ridotti a poco meno di 700 milioni nel 2013 grazie alla “definizione agevolata del pagamento” introdotta dal governo Letta. Tra le concessionarie multate anche la Atlantis World, fino al 2008 rappresentata in Italia da Amedeo Laboccetta, ex deputato Pdl.

Secondo gli inquirenti che indagarono l’ ex presidente della Banca Popolare di Milano Massimo Ponzellini (condannato in primo grado a un anno e sei mesi) per un finanziamento di 148 milioni alla Atlantis, la società faceva capo al catanese Francesco Corallo. Il padre, Gaetano Corallo era considerato vicino al boss Nitto Santapaola ed è stato condannato per associazione a delinquere. La vicenda delle multe non è ancora conclusa. Quel che è certo è che tra il 2005 e il 2007, come stabilì la Corte dei Conti, ci furono “gravissime carenze nel sistema”. Assai meno certo è che oggi le cose siano cambiate, soprattutto alla luce della moltiplicazione delle tecnologie disponibili rispetti a dieci-dodici anni fa.

C’è poi, ovviamente, oltre alla convenienza economica il fattore sociale. Gli italiani giocano sempre di più. Secondo una ricerca del Cnr nel 2017 hanno tentato la fortuna almeno una volta oltre 17 milioni di persone (il 42,8% della popolazione) contro i 10 milioni del 2014 (27,9%). La quota di “problematici”, in costante aumento, è del 2,4% (circa 400 mila persone). Giocano più gli uomini delle donne (51,1% e 34,4%), il 74% predilige il Gratta&Vinci, al secondo posto (nonostante una flessione dal 72,7% al 50,5%) Lotto e Super Enalotto. Infine, al terzo posto, le scommesse sportive, salite dal 18,3% del 2010 al 28% del 2017. Settore questo in crescita vertiginosa grazie a campagne pubblicitarie martellanti. Un aumento dovuto anche alle nuove tecnologie che facilitano l’azzardo con app per smartphone e tablet.

Se da questi dati totali ci spostiamo al sottoinsieme dei giocatori “problematici”, scopriamo che la percentuale delle scommesse sportive si impenna al 72,8%. Insomma, un punto a favore per i sostenitori del divieto di pubblicità a giochi e scommesse.

Advertisement

In Evidenza

Svolta sulle Autostrade, allo Stato parte dei pedaggi

Pubblicato

del

Una parte dei pedaggi autostradali andrà nelle casse dello Stato anziché in quelle delle società concessionarie. E’ con questa novità che si sblocca la partita delle concessioni, che aveva tenuto il stallo per qualche giorno il disegno di legge annuale sulla concorrenza. Il provvedimento, che spazia dalla proroga dei dehors alle sanzioni per taxi e Ncc abusivi, incassa così il via libera del consiglio dei ministri.

Che suggella anche un nuovo tassello della delega fiscale. Ottiene infatti il via libera definitivo l’undicesimo decreto attuativo, che contiene nuove scadenze per le dichiarazioni e qualche nuovo aggiustamento al concordato preventivo, il meccanismo con cui il governo conta di incassare risorse da usare per la manovra. In particolare, slitta dal 30 settembre al 31 ottobre la scadenza per l’invio delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Irap. Viene inoltre ampliato da 30 a 60 giorni il termine per il pagamento degli avvisi bonari ricevuti a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni.

Per favorire l’adesione al concordato, invece, arriva la flat tax incrementale sul maggior reddito concordato, con aliquote variabili dal 10 al 15% in base al punteggio Isa (che indica l’affidabilità fiscale). Vengono anche rivisti gli acconti, con una minore maggiorazione. Approvato anche il “superamento definitivo del redditometro”, annuncia il vicepremier Matteo Salvini, intestando alla Lega questa “grande vittoria”, che dà lo “stop al Grande Fratello fiscale”. Un risultato su cui cui rivendica il proprio merito anche Fi.

“Viene introdotta una nuova misura, che stanerà i grandi evasori”, spiega da FdI il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ricordando l’impegno del partito di Giorgia Meloni per un “fisco amico”. Il viceministro dell’Economia, esponente di FdI e ‘regista’ della delega, Maurizio Leo, che un paio di mesi fa aveva firmato un decreto che lo reintroduceva, poi sospeso, non ne fa menzione nel suo commento: illustra le altre misure e parla di “passo significativo verso una maggiore efficienza e semplificazione del sistema fiscale”.

Nel ddl concorrenza, che è uno dei 69 obiettivi per ottenere la settima rata del Pnrr, la principale novità è la riforma delle concessioni autostradali: arriva – per quelle in scadenza dal 2025 – un nuovo modello tariffario, già sperimentato in 4 concessioni (Ativa, Satap A21, Salt e A10 Fiori), che distingue la tariffa in 3 componenti, di cui due di competenza del concessionario e una, il cosiddetto extragettito, destinata al concedente e i cui proventi saranno utilizzati per realizzare gli investimenti, senza incrementare i pedaggi.

Il nuovo modello prevede anche che le future concessioni non supereranno i 15 anni. “L’obiettivo è realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo i pedaggi”, spiega Salvini, che in cdm porta anche una delibera che dà mandato all’avvocatura per depositare il ricorso contro i divieti unilaterali di Vienna al Brennero. Tante le altre misure del ddl concorrenza, dalla portabilità delle scatole nere alle start up innovative, dalle sanzioni per fronteggiare l’abusivismo nel settore dei taxi e Ncc alle misure per contrastare la cosiddetta ‘shrinkflation’, la pratica che consiste nel ridurre la quantità di prodotto, mantenendo inalterato il confezionamento. Ci sono anche la portabilità delle scatole nere e la proroga (per un anno, in attesa delle norme di riordino del settore) dei dehors, che incassa il plauso delle sigle di categoria ma su cui i consumatori minacciano ricorsi. “Con il ddl – commenta il ministro delle Imprese Adolfo Urso – compiamo un altro significativo passo nella giusta direzione, a supporto delle imprese e a tutela dei consumatori”.

Continua a leggere

Politica

Tensione su Autonomia, in Cdm confronto Tajani-Calderoli

Pubblicato

del

Sull’Autonomia differenziata resta alta la tensione nel governo. Ed è emerso anche nel Consiglio dei ministri in cui Roberto Calderoli ha tenuto un’informativa sull’attuazione della riforma, annunciando che già quattro Regioni si sono fatte avanti, Veneto, Piemonte, Liguria e Lombardia. “Vigilare affinché sia applicata bene”, è l’imperativo espresso poco prima della riunione da Antonio Tajani, che ha spiegato di “comprendere le preoccupazioni in alcune regioni del Sud”, e che dopo l’intervento del collega a Palazzo Chigi gli ha chiesto di avere tutta la documentazione necessaria: “Dobbiamo verificare che ogni singolo passo sia condotto tenendo conto delle esigenze di tutte le regioni”, il senso dell’intervento del vicepremier e leader di Forza Italia, che da ministro degli Esteri ha sottolineato come sul commercio estero “c’è una competenza unitaria nazionale: non si può pensare che le Regioni sostituiscano lo Stato.

Serve una politica nazionale, l’export costituisce il 40% del Pil”. Il confronto, raccontano più fonti di governo, si è consumato in toni tranquilli, ma sullo sfondo è in corso un braccio di ferro strategico soprattutto fra Lega e Forza Italia, con Giorgia Meloni che in Consiglio dei ministri avrebbe chiesto precisazioni sui tempi delle procedure di negoziato con le regioni. Un tema che è stato aggiornato alla prossima riunione, attesa per il 7 agosto. Intanto c’è anche la Liguria fra le quattro Regioni che hanno già chiesto al governo l’avvio di un negoziato.

A quanto si apprende, lo ha fatto una decina di giorni fa con un atto della giunta guidata dal governatore ad interim Alessandro Piana, in carica da quasi tre mesi al posto di Giovanni Toti, che si è dimesso nelle ultime ore: punta a riavviare il percorso che si intendeva aprire con una risoluzione regionale del 2017 e una delibera del 2019. Anche Veneto, Piemonte e Lombardia, come ha spiegato Calderoli, si sono formalmente fatte avanti, e ora sarà il governo a dettare la strada alla luce della legge appena varata, quella osteggiata dalle opposizioni e su cui hanno espresso riserve anche Forza Italia e i suoi governatori del Sud. Uno dei vicesegretari di FI, il presidente della Calabria Roberto Occhiuto, ha ribadito li suoi distinguo e la richiesta di una moratoria per “fermare le intese con le Regioni prima della definizione dei Lep su tutte le materie”.

“Per la determinazione dei Lep si procederà con i vari passaggi dell’iter procedurale di attuazione disciplinato dalla legge”, ha chiarito Calderoli in Cdm, ricordando che la legge distingue fra le 23 competenze le 14 per cui serve la definizione preventiva dei livelli essenziali delle prestazioni, e le altre 9 che teoricamente le Regioni possono già rivendicare. Quando arriveranno le richieste formali su queste 9, Calderoli le comunicherà al ministero dell’Economia e agli altri competenti, che avranno 60 giorni per indicare i costi e le procedure necessarie.

Trascorsi quei due mesi, si potrà avviare il negoziato. Uno scenario su cui incombe il referendum abrogativo, che ha coalizzato le opposizioni. Sono facilitate dalla nuova piattaforma, appena attivata dal governo, che in “poche ore” ha consentito di raccogliere “quasi trentamila firme digitali, gratuite e certificate”, ha spiegato il segretario di +Europa Riccardo Magi. Il referendum potrebbe svolgersi fra aprile e giugno 2025. “Questa è una legge che spacca in due il Paese e fa male anche al Nord – ha sottolineato la segretaria Pd Elly Schlein – perché è assurdo immaginare di potere avere venti politiche energetiche diverse quando ne servirebbe una comune, europea, per riuscire ad abbassare le bollette sia alle imprese che alla famiglie”.

Continua a leggere

Politica

Rebus regionali per centrodestra: in Liguria si cerca un ‘civico’ per sostituire Toti

Pubblicato

del

Nessuno vuole restare con il cerino in mano nel centrodestra. Dopo le dimissioni di Giovanni Toti, la maggioranza di governo si appresta ad aprire il tavolo per scegliere il candidato alla sua successione da presentare alle Regionali in Liguria, ma in questo momento fra i partiti si nota una certa ritrosia a farsi avanti: è evidente il timore di pagare fra tre mesi alle urne lo scotto dell’indagine sul governatore uscente. Paure moltiplicate dallo scenario di un election day autunnale, con anche al voto Emilia Romagna e Umbria, altre due competizioni in cui i sondaggi interni non regalano ottimismo. “È l’avvocato di Toti che decide se e quando ci sarà il voto anticipato…”, si ragionava nel centrodestra da qualche settimana. E forse c’era chi sperava in un prolungarsi dell’attesa, proprio per evitare il rischio di uno “0-3”. Le elezioni nelle tre regioni, non ancora fissate, probabilmente cadranno mentre a Roma la maggioranza sarà impegnata nella manovra di bilancio, una delle più delicate degli ultimi anni.

E il percorso di avvicinamento si sta rivelando tutt’altro che sereno. Le tensioni fra gli alleati si estendono dall’Autonomia differenziata alle nomine Rai, e in questo clima Giorgia Meloni (attesa da un periodo di relax in Puglia a cavallo di Ferragosto) deve portare a termine il negoziato estivo con Ursula von der Leyen sul commissario europeo da inviare a Bruxelles. Con in vista un probabile ritocco alla squadra di governo se quella poltrona toccherà al ministro Raffaele Fitto. In Liguria a breve dovrebbe aprirsi il tavolo del centrodestra con i coordinatori regionali, per individuare una proposta di candidato da sottoporre poi ai leader. Matteo Salvini avrebbe provato a sollecitare uno dei suoi fedelissimi, il viceministro Edoardo Rixi, che però non avrebbe intenzione di correre.

Fratelli d’Italia sta sondando l’ipotesi di un civico, una figura esterna ai partiti, proveniente dal mondo dell’impresa, dell’università o della società civile. Viene considerata la soluzione più opportuna in questa situazione. Una strada già percorsa in Emilia Romagna, dove nei giorni scorsi FdI, Lega, Forza Italia, Noi moderati e Udc hanno trovato l’intesa sull’appoggio alla candidatura di Elena Ugolini, vicina al mondo di Comunione e Liberazione. Il pessimismo in vista del probabile election day è legato anche ai risultati registrati alle Europee. In Liguria il centrodestra si è fermato al 44% (con FdI trainante a oltre il 26% e la Lega sotto il 9%), mentre ha superato il 51% il fronte (all’epoca disunito) del centrosinistra. E peggio è andata in Emilia Romagna, con la maggioranza di governo appena sopra il 40%. In Umbria cerca la conferma la governatrice della Lega Donatella Tesei, ma il suo partito a giugno è andato decisamente male (sotto il 7%) e solo l’exploit di FdI (oltre il 32%) ha permesso di superare di un punto e mezzo l’insieme dei partiti di centrosinistra.

Una triplice sconfitta sarebbe difficile da gestire, e non a caso già nella coalizione di governo si possono sentire distinguo sulla portata del risultato nelle tre diverse regioni. Le preoccupazioni fra le forze di maggioranza si estendono poi alle Regionali del 2025. I risultati delle Europee (sotto il 40%) producono pessimismo sulla Toscana, dove tra l’altro il partito della premier deve fronteggiare anche il malcontento della categoria dei balneari. Il Veneto invece è un rebus tutto da risolvere, legato anche al destino di Luca Zaia, per cui molti parlano di una corsa a sindaco di Venezia. Dopo il 37,5% raccolto alle Europee, FdI reclama la scelta del candidato governatore (Luca De Carlo è una delle opzioni), e già è facile prevedere un braccio di ferro fra Meloni e Salvini.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto