Lega vs Procura di Genova, il magistrato a Salvini: nessuna giustizia ad orologeria, la Lega deve restituire 49 milioni di euro perchè Bossi è stato condannato per truffa
Ve le ricordate quelle belle giornate assai dense di inutili polemiche giornalistiche sull’uso della giustizia per fini politici? Erano i tempi in cui (qualche anno fa, non secoli fa) l’ex Cavaliere si svegliava presto la mattina e per spiegare perché e per come ci fossero alcune procure che lo indagavano e gli contestavano ogni possibili reato (dalla corruzione all’evasione fiscale passando per qualche frequentazione mafiosa), veniva facile dire che ce l‘avevano con lui perché era forte politicamente (e lo era perché aveva consenso), era ricco economicamente (e lo era riccosfondato)e se la spassava e se la godeva (tante belle donne e donnine sono passate per le sue cene eleganti). Ebbene quelle polemiche che qualcuno attribuiva solo al vittimismo giudiziario di Silvio Berlusconi o hanno fatto proseliti o sono un dato genetico della politica italica. Se il magistrato indaga, quando indaga sugli altri fa benissimo perché nessuno deve aver paura di un controllo di legalità. Se invece indaga su di me, allora apriti cielo: la giustizia ad orologeria, l’attacco alla democrazia, l’uso distorto del potere giudiziario per intimidire la politica. Era così con Berlusconi, non è stato diverso con Matteo Renzi, torna a succedere con il leader leghista Matteo Salvini.
Nemici amici. L’ex leader Umberto Bossi condannato per truffa e l’attuale capo politico della Lega ora ministro dell’Interno Matteo Salvini
La Lega deve restituire alle casse dell’Erario circa 49 milioni di euro. Perché il suo ex leader, padrone e gestore familista di quel movimento, nei tempi che furono avrebbe truffato lo Stato drenando illegalmente nelle sue tasche fondi pubblici che dovevano essere appannaggio della Lega. Insomma avrebbe imbrogliato lo Stato assieme all’allora Cassiere della Lega Francesco Belsito. La procura di Genova indagò, il Tribunale in primo grado li ha condannati ed ha disposto che lo Stato deve tornare in possesso dei 49 milioni di euro truffati. Una decisione appellata (quella di restituire i 49 milioni) ma confermata dalla Cassazione. Apriti cielo. Contro la procura e i giudici in genere la Lega spara ad alzo zero. Si adombra a che il sospetto di manovre giudiziarie per far cadere il Governo.Il procuratore di Genova, Francesco Cozzi, persona schiva e riservata, invita alla prudenza e ricorda a tutti che non è stato disposto ancora alcun sequestro. Perché “bisogna attendere il nuovo provvedimento dei giudici del Riesame e poi, nel caso in cui i principi affermati dalla Cassazione venissero recepiti, si dovrà capire se è necessario attendere una nuova definizione del procedimento, dando per scontato che l’ordinanza sarà impugnata” prova a spiegare Cozzi a chi urla al complotto.
Procura di Genova
Insomma, i finanzieri spediti nelle sedi della Lega a trovare soldi fino ad un ammontare di 49 milioni, sono ipotesi giornalistiche, non provvedimenti della magistratura. Certo la via appare essere segnata, ma si comincerà a dare esecuzione alla sentenza solo quando tutto sarà definito, «se daranno retta alla Cassazione, succederà che per tutti i conti riferibili al partito verrà eseguito il provvedimento di sequestro, a meno che non cambi la legge» prova a spiegare Cozzi. Che cosa significa? Tradotto dal giuridichese all’italiano, significa confisca di qualsiasi somma di denaro, attuale e futura, riferibile alla Lega fino al raggiungimento dei 48 milioni e 969 mila euro. Somma che è considerata provento della truffa sul finanziamento pubblico per la quale nel luglio 2017 sono stati condannati il capo storico Umberto Bossi, l’ex tesoriere Francesco Belsito e tre ex revisori contabili, per fatti commessi dal 2008 al 2010. Qual è la difesa della Lega? Quella degli avvocati, non quella politica che appare essere molto pesante. Secondo uno dei legali del Carroccio, Giovanni Ponti “la Cassazione si è spinta molto oltre ed è ingiusto che le colpe di altri commesse 10 anni fa si ripercuotano sulla gestione attuale”. Non basta. Sempre a parere di questo legale, se fosse fatta giustizia ovvero se davvero lo Stato italiano fosse abbastanza serio da riuscire a recuperare le somme truffate “la Lega – spiega l’avvocato Ponti – verrà ridotta a un partito senza risorse per i prossimi 50 anni». E dunque questo sarebbe un attacco alla democrazia e il rischio sarebbe quello paventato da Matteo Salvini: “Quello in atto è un processo politico”.
Procuratore di Genova. Il magistrato Francesco Cozzi finito sotto attacco della Lega
Il procuratore Cozzi, evidentemente, non ci sta: «Dire che è un processo politico è come dire che un chirurgo quando opera compie un intervento politico su un paziente perché è di un partito o di un altro. La Procura di Genova lavora solo su profili tecnici». E, osservando cos’è accaduto tecnicamente nel corso del procedimento, lancia una stoccatina: «Se la prenda con il Parlamento che si è costituito parte civile…».
Il fatto è che le casse del Carroccio non sono floride. Domanda: che fine hanno fatto quei 49 milioni di euro? «Un partito costa, costano le campagne elettorali, costa il personale, costa la struttura», spiega Ponti.
Sul punto, un ex revisore della Lega è andato giù pesante consegnando in Procura un esposto con l’accusa di riciclaggio. Secondo la denuncia molti denari sarebbero stati spostati in altri conti. Si è parlato di Lussemburgo e di Banca Sparkasse. Ragione per cui la Procura ha aperto un fascicolo con quell’accusa e disposto un’acquisizione di documenti nella filiale milanese dell’istituto bolzanino. Insomma chi vivrà vedrà. Siam certi che il match magistrati/Lega sia solo alle battute iniziali.
Una rete di truffatori che, utilizzando prevalentemente prestanome, tra cui senza fissa dimora, percettori di reddito di cittadinanza, persone decedute o con precedenti penali, aveva creato un numero imprecisato di imprese inesistenti per riscuotere crediti di imposta fittizi per “Ecobonus” e “Bonus Facciate” per 1,7 miliardi di euro. A fare luce sulla truffa è stata la Guardia di Finanza di Avellino e di Napoli, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura di Avellino. Si tratta del sequestro di crediti d’imposta più alto di sempre e che ha portato a perquisizioni nelle province di Napoli, Avellino, Salerno, Milano, Lodi, Torino, Pisa, Modena e Ferrara nei confronti di 21 indagati per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato. “Non si può parlare di imprenditori, dato che le società esistevano soltanto sulla carta e in qualche caso erano da tempo non operative”, sottolinea il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Avellino, Salvatore Minale, che insieme alle Fiamme Gialle di Napoli, ha disarticolato l’organizzazione che nel corso degli ultimi mesi e su base quotidiana ha inviato alla Agenzia delle Entrate un elevatissimo numero di comunicazioni di cessione del credito di imposta. Nei confronti degli indagati si ipotizzano i reati di associazione a delinquere, truffa, riciclaggio, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Gli investigatori escludono il loro collegamento con organizzazioni criminali, ma evidenziano la rodata ‘specializzazione’ raggiunta dagli indagati: in molti casi, le particelle catastali corrispondevano ad immobili inesistenti e a turno, gli stessi soggetti si scambiavano i ruoli di cedenti e cessionario dei crediti. Ad innescare l’indagine è stata un’analisi di rischio del Settore Contrasto Illeciti dell’Agenzia delle Entrate. Sono state inoltrate istanze anche per immobili inesistenti, senza fatture oppure riportanti importi “incoerenti”. In duemila casi, è stato accertato, i lavori si sarebbero dovuti realizzare addirittura in comuni inesistenti. I lavori dichiarati per i quali sono stati inoltrate richieste di bonus avrebbero avuto un costo di circa 2,8 miliardi di euro. I sequestri eseguiti oggi – uno preventivo emesso dal gip e un altro d’urgenza della Procura di Avellino – hanno di fatto impedito che i crediti possano essere utilizzati in compensazione o monetizzati presso gli intermediari finanziari. In corso anche indagini per verificare la posizione di una persona, residente in Irpinia ma non indagata, finita nell’operazione portata a termine stamattina dalla Guardia di Finanza di Asti che in diverse regioni, per gli stessi reati, ha portato al sequestro di 1,5 miliardi e all’emissione di un’ordinanze di custodia cautelare per dieci persone.
Gli sviluppi delle indagini hanno permesso di accertare un ammontare di crediti fittizi per circa 1,7 miliardi di euro, parte dei quali usati in compensazione.
Gli interventi edilizi dai quali sarebbero sorti i crediti (per un importo complessivo di lavori dichiarati di circa 2,8 miliardi di euro) erano riferibili a immobili inesistenti, con indicazione nelle comunicazioni di cessione, in oltre 2.000 casi, di comuni anch’essi inesistenti.
Contestualmente al sequestro sono in corso perquisizioni nelle province di Napoli, Avellino, Salerno, Milano, Lodi, Torino, Pisa, Modena e Ferrara nei confronti di 21 soggetti indagati per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato.
Inizia un periodo particolare per quasi due miliardi di persone nel mondo: il mese del digiuno sacro del Ramadan, con tutto il suo portato di preghiere e tradizioni, rinunce e feste. La ricorrenza ricorda quando nel 610 a.C. l’angelo Gabriele, secondo la religione musulmana, è apparso al profeta Maometto rivelandogli il Corano. Le date di inizio e fine cambiano costantemente perché l’Islam utilizza un calendario basato sui cicli lunari, che fa arretrare la ricorrenza di 10 o 11 giorni ogni anno rispetto a quello gregoriano. L’inizio esatto è determinato dall’avvistamento della luna in Arabia Saudita prevista quest’anno la sera di mercoledì 22 marzo con il digiuno da rispettare a partire dall’alba seguente. Ci sono però musulmani che seguono le indicazioni leggermente divergenti dell’autorità religiosa principale della propria setta o Paese. Dopo il cristianesimo, l’Islam è la seconda religione al mondo: la diffusa cifra di 1,9 miliardi di credenti rimane basata su una stima del Pew Research Center del 2010. Circa due terzi dei musulmani vivono nella regione Asia-Pacifico, in particolare in Indonesia, che da sola conta più di 209 milioni di abitanti, il doppio rispetto al più popoloso Paese musulmano del Nordafrica e Medio oriente, l’Egitto. Il digiuno diurno – che vieta pure di bere acqua, fumare e fare l’amore – , dura dall’alba al tramonto.
La parola Ramadan deriva dalla radice araba ar-ramad che vuol dire “forte calore”, “torrido” o “insopportabile”, ma quest’anno, almeno nell’emisfero nord, il digiuno diurno dura meno rispetto a quello degli anni scorsi, più vicini al solstizio d’estate. Come sempre sono esentati dal digiunare, fra gli altri, bambini, anziani, malati, donne incinte, con il ciclo mestruale e durante l’allattamento, persone in viaggio. In generale, secondo i precetti islamici, il digiuno è necessario solo se si è in buona salute anche se – assieme a preghiera, carità, pellegrinaggio alla Mecca e professione di fede – è uno dei cinque pilastri dell’Islam. La fine del Ramadan è segnata dalla festa dell’Eid al-Fitr. Ad accompagnare il digiuno non sono però solo numerose preghiere ma anche una miriade di tradizioni locali che variano da Paese a Paese: gli addobbi di strada, comuni al Cairo, ad esempio sono quasi assenti a Tripoli. Il mese sacro, almeno nei Paesi musulmani, è connotato da orari di lavoro accorciati e dalla corsa pomeridiana verso casa per poter rompere il digiuno senza ritardi con l’abbondantissimo pasto dell’Iftar. Ci sono poi le estenuanti maratone tv seguendo serial e altri programmi prodotti – soprattutto in Egitto e Turchia – appositamente per questo periodo di massimi ascolti. Frequenti le riunioni familiari fino a notte inoltrata. Nonostante le sveglie dei telefonini, al Cairo come a Damasco persiste la tradizione di pagare un banditore notturno, il “Mosaharati”, per farsi chiamare dalla strada ricordando che l’ultima occasione per mangiare fino alla sera dopo è il “suhur”, il pasto consumabile prima dell’alba.
Passo indietro di Ciro Santoriello. Il magistrato ha deciso di astenersi dal sostenere l’accusa nel processo Juventus dopo le polemiche divampate nelle ultime settimane per la pubblicazione di vecchi video in cui, scherzando, manifestava le sue simpatie calcistiche per il Napoli, e il suo “odio” calcistico per la Juve. La procura di Torino, all’apertura dell’udienza preliminare contro Andrea Agnelli e altri dirigenti, in programma il 27 marzo, sarà rappresentata dagli altri due componenti del pool: il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e il sostituto Mario Bendoni. Nei giorni scorsi Santoriello aveva comunicato la sua decisione al capo dell’ufficio, Annamaria Loreto, e come conseguenza aveva rinunciato a firmare gli ultimi atti del procedimento. Stamani la magistrata numero uno della procura subalpina ne ha formalmente “preso atto”, informando di avere “apprezzato l’alto senso istituzionale, il senso di lealtà e l’attaccamento all’Ufficio” del collega. Santoriello, 58 anni, è un esperto di reati societari. Ha al suo attivo svariate pubblicazioni ed è molto richiesto per convegni e seminari sul tema. Proprio nel corso di uno di questi incontri fra giuristi, avvenuto nel 2019, pronunciò un paio di battute di spirito sulla Juventus che divertirono la platea. Quattro anni dopo qualcuno ha ripescato il frammento del video e lo ha diffuso sul web. Il paradosso era che Santoriello – come si ricava dalla versione integrale – stava spiegando i motivi per i quali aveva da poco proposto l’archiviazione di un’inchiesta sulla dirigenza bianconera per una questione di bilanci. Qualche giorno dopo è spuntato un secondo brevissimo filmato, anche questo sapientemente tagliato. Dalla procura di Torino non sono mai arrivate dichiarazioni o esternazioni sul caso. Quanto alla procura generale, nell’immediatezza aveva chiesto una relazione sullo svolgimento dei fatti. A intervenire in difesa di Santoriello è stato uno degli avvocati difensori della Juventus, Luigi Chiappero, che lo ha descritto come “un pm colto che non hai confuso il calcio con il diritto”. Al quinto piano del Palazzo di giustizia stanno preparando l’udienza preliminare del 27 marzo. Nei giorni i pm hanno depositato un’ultima tranche di atti integrativi di indagine: ci sono annotazioni di polizia giudiziaria e verbali di interrogatori. In vista c’è un allargamento dei capi d’accusa contro la società bianconera.