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Salute

Aumenta la sopravvivenza contro i tumori big-killer

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Restano ad oggi i big-killer tra i tumori ed insieme fanno registrare oltre 4,5 milioni di casi l’anno a livello mondiale. Il cancro al seno e quello al polmone sono tra le forme più diffuse, ma nuove terapie, approcci personalizzati e immunoterapia stanno aprendo nuove strade e la sopravvivenza di questi pazienti sta aumentando significativamente. Le novità nei trattamenti arrivano dal congresso della European Society of Medical Oncology (Esmo) e segnano un ulteriore avanzamento anche contro le forme più difficili da trattare. Contro il tumore al seno – che ha superato quello del polmone come tumore più comunemente diagnosticato in tutto il mondo con 2,3 milioni di nuovi casi, tanto che 1 diagnosi di tumore su 8 è stata di carcinoma mammario nel 2020 – uno degli obiettivi è prevenire le recidive, al fine di controllare la malattia. In questa direzione va lo studio di Fase 3 monarchE su 5.637 pazienti, che dimostra come la terapia adiuvante, ovvero dopo l’intervento chirurgico, con la molecola abemaciclib, a 5 anni riduce del 32% il rischio di recidiva nel tumore alla mammella in stadio precoce.

“L’effetto – spiega Valentina Guarneri, direttore dell’Oncologia 2 dell’Istituto Oncologico Veneto-Irccs di Padova – è molto evidente sulle recidive locali e su quelle a distanza, che sono responsabili della malattia metastatica: evitarle implica non soltanto allungare la sopravvivenza, ma anche aumentare la probabilità di guarigione”. Studi innovativi sono presentati all’Esmo anche per il cancro al polmone, che è la principale causa di morte a livello mondiale. Solo nel 2020, si sono verificati più di 2,2 milioni di nuovi casi e circa 1,8 milioni di decessi. Tra i dati discussi al congresso, quelli dello studio di Fase 3 Keynote-671 in pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (Nsclc), la forma più comune, in stadio precoce. Dimostra che l’immunoterapia con la molecola pembrolizumab, prima e dopo l’intervento chirurgico, riduce del 28% il rischio di morte e migliora la sopravvivenza globale, con il 71% dei pazienti vivi a 3 anni.

L’immunoterapia più chemioterapia prima dell’intervento chirurgico e a seguire come singolo agente dopo la chirurgia, “ha il potenziale per diventare una strategia fondamentale che può modificare la storia di questa neoplasia in stadio precoce, aumentandone significativamente le possibilità di cura”, afferma Silvia Novello, responsabile Oncologia Polmonare all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano. Ma si punta anche, sempre di più, a colpire le mutazioni geniche che caratterizzano le cellule tumorali, con terapie personalizzate sul paziente. Dunque, sottolinea Alessandra Curioni dell’Università di Friburgo, “diventa oggi cruciale che il tumore al polmone sia diagnosticato e trattato da specialisti che siano esperti nei test molecolari e nella loro lettura”. Buone notizie anche per i pazienti con cancro al polmone metastatico che già hanno effettuato vari trattamenti e possono fare solo la chemioterapia: la sopravvivenza aumenta mirando la chemioterapia in modo più preciso alle cellule tumorali utilizzando particolari anticorpi coniugati con farmaci chemioterapici.

Non solo big killer. Anche per altri tumori, nuovi dati aprono alla speranza. Contro il melanoma con metastasi cerebrali silenti, una delle forme tumorali più difficili da trattare, lo studio italiano Nibit-M2 della Fondazione Nibit ha evidenziato che a sette anni di distanza dalla diagnosi è vivo il 43% dei pazienti grazie all’utilizzo dell’immunoterapia con le molecole ipilimumab e nivolumab in combinazione. Passi avanti anche contro il tumore dell’endometrio avanzato o ricorrente, una neoplasia in crescita e che In Italia registra più di 10mila nuovi casi l’anno: la terapia combinata con l’immunoterapia durvalumab unita a chemioterapia e al farmaco Parp inibitore olaparib, capace di agire in maniera selettiva sulle cellule mutate che provocano il tumore, ha ridotto il rischio di progressione di malattia o morte del 45% rispetto alla chemioterapia, come dimostra lo studio di Fase III Duo-E.

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Covid, l’identikit genetico influenza la risposta al vaccino

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La risposta alla vaccinazione contro Covid-19 è influenzata da caratteristiche genetiche individuali, in particolare da alcuni geni associati al complesso maggiore di istocompatibilità, il sistema attraverso cui l’organismo distingue le componenti proprie da quelle estranee. È quanto è emerso dallo studio coordinato dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Segrate (Cnr-Itb) pubblicato sulla rivista Communications Medicine.

“Come per la maggior parte dei farmaci, così anche per i vaccini ogni individuo può rispondere in maniera più o meno efficace e questo è dovuto, almeno in parte, alla costituzione genetica individuale”, osserva Francesca Colombo, ricercatrice del Cnr-Itb che ha guidato lo studio, condotto su 1.351 operatori sanitari vaccinati nei primi mesi del 2021 Dalla ricerca è emerso che le caratteristiche di una porzione del cromosoma 6 erano legati ai livelli di anticorpi anti-Covid. “In questa specifica regione genomica sono presenti dei geni che codificano per delle molecole presenti sulla superficie cellulare, coinvolte nei meccanismi di risposta immunitaria”, aggiunge la prima firmataria dello studio Martina Esposito.

“Questi geni – gli stessi che vengono valutati quando si cerca la compatibilità fra donatori di midollo osseo – sono molto variabili ed esistono differenti combinazioni. Il nostro studio ha evidenziato che alcune combinazioni erano associate a livelli di anticorpi più alti, mentre altre a livelli più bassi”. Per i ricercatori, la scoperta potrebbe consentire di “differenziare e personalizzare la campagna vaccinale, fornendo a ciascun individuo il vaccino più adatto, cioè quello che gli permetterà di produrre più anticorpi possibili”, conclude Massimo Carella, vice-direttore scientifico della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza, che ha collaborato allo studio.

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Record per raccolta del plasma, ma autosufficienza scende al 62%

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La raccolta di plasma ha raggiunto livelli record nel 2023 in Italia, ma paradossalmente l’autosufficienza di questa componente del sangue è più lontana, a causa dell’aumento della domanda di immunoglobuline. E’ quanto è emerso dalla seconda edizione di “The Supply of Plasma-derived Medicinal Products in the Future of Europe”, il convegno internazionale dedicato al plasma, patrocinato dal ministero della Salute e organizzato dal Centro Nazionale Sangue (Cns), che ha visto a confronto esperti e policy maker, associazioni di donatori e di pazienti ed istituzioni italiane, europee ed internazionali. Secondo i dati ancora preliminari diffusi nel corso del convegno, per quanto riguarda le immunoglobuline, prodotto driver del mercato dei medicinali plasmaderivati, l’Italia nel 2023 ha raggiunto un livello di autosufficienza pari al 62%, inferiore di due punti percentuali all’anno precedente.

L’aspetto paradossale è rappresentato dai dati della raccolta del 2023 che, con i suoi 880mila chili di plasma, frutto delle generose donazioni di circa 1,5 milioni di donatori, ha raggiunto i livelli più alti di sempre per l’Italia. Ad allontanare il nostro Parse dal traguardo strategico dell’autonomia in materia di plasmaderivati è stato un aumento deciso della domanda di immunoglobuline, dai circa 104 grammi ogni mille abitanti del 2022 ai 108 del 2023 (+3,8%). Il dato preliminare è in parte mitigato dall’aumento del livello di autosufficienza in materia di albumina, altro driver del mercato, che è passato dal 72% nel 2022 al 78% nel 2023, grazie anche a un calo della domanda.

L’Italia, che è autosufficiente per quel che riguarda la raccolta di globuli rossi, deve quindi ricorrere al mercato internazionale per sopperire alla domanda di plasmaderivati ed integrare i medicinali, usati anche in terapia salvavita, prodotti a partire dal plasma raccolto a partire da donazioni volontarie, anonime e non remunerate. “La mancata autosufficienza di medicinali plasmaderivati resta un problema strategico per il sistema sanitario nazionale – ha commentato il direttore del Cns, Vincenzo de Angelis -. I dati, per quanto ancora preliminari, confermano la necessità di aumentare la raccolta attraverso azioni di sensibilizzazione rivolte ai possibili nuovi donatori, ma questo non basta. Bisognerà anche razionalizzare la domanda, specie di un prodotto come le immunoglobuline che sta trovando sempre più applicazioni a livello terapeutico. È un obiettivo su cui stiamo già lavorando con tanti partner italiani ed europei, perché il Covid ha dimostrato che, in situazioni particolari e spesso imprevedibili, non sempre il mercato internazionale può rispondere alla domanda dei nostri pazienti”.

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Corona Virus

Covid, ancora calo dei casi e dei decessi

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Continua il calo dei nuovi casi di Covid in Italia e sono in netta diminuzione i decessi. Nella settimana compresa tra il 18 e il 24 aprile 2024 – secondo il bollettino del ministero della Salute – si registrano 528 nuovi casi positivi con una variazione di -1,9% rispetto alla settimana precedente (538); 7 i deceduti con una variazione di -22,2% rispetto ai 9 della settimana precedente. Sono stati 100.622 i tamponi effettuati con una variazione di -6,4% rispetto alla settimana precedente (107.539) mentre il tasso di positività è invariato e si ferma allo 0,5%. Il tasso di occupazione in area medica al 24 aprile è pari allo 0,9% (570 ricoverati), rispetto all’1,1% (700 ricoverati) del 17 aprile. Il tasso di occupazione in terapia intensiva al 24 aprile è pari allo 0,2% (19 ricoverati), rispetto allo 0,3% (22 ricoverati) del 17 aprile.

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