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Economia

Assegno di inclusione al via per 287mila famiglie, respinto il 26% delle domande

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Domani partono i primi pagamenti per l’assegno di inclusione e riguarderanno 287mila famiglie. L’Inps ha dato i primi numeri sulla misura che ha sostituito il Reddito di cittadinanza spiegando che, su 446.256 richieste arrivate entro i primi giorni di gennaio e lavorate, 117.461 sono state “respinte per mancanza di requisiti”, oltre una su quattro (il 26%) a causa soprattutto dell'”esito negativo sopra soglia sulla Dsu, Dichiarazione sostitutiva unica, del superamento delle soglie di reddito e dell’omessa dichiarazione dell’attività lavorativa”.

Nel complesso le domande arrivate all’Istituto, ha spiegato la ministra, Marina Calderone, sono state 651mila. Le 287mila famiglie che potranno accedere ai pagamenti da domani riceveranno un sms con l’invito a recarsi presso un ufficio postale per ritirare la Carta di Inclusione sulla quale è accreditato l’importo dell’assegno. Il pagamento medio sarà di 645 euro a nucleo. C’è tempo fino al 31 gennaio per inoltrare le richieste di Assegno di inclusione che, superati i controlli preventivi e sottoscritto il Patto di attivazione digitale, saranno messe in pagamento già il 15 febbraio.

I richiedenti che procederanno alla sottoscrizione del Pad entro il 31 gennaio, ha spiegato l’Inps, avranno diritto al pagamento anche della mensilità di gennaio. L’Inps ha diffuso anche il monitoraggio sui flussi di pensionamento secondo il quale le pensioni con decorrenza nel 2023 sono state 764.907 con un calo dell’11,07% su quelle con decorrenza 2022.

Sulle nuove pensioni che valgono in media 1.140 euro (era 1.135 nel 2022) è aumentato il divario nell’importo tra le pensioni degli uomini e delle donne dal 28,82% in meno del 2022 (1.353 euro in media gli uomini, 963 le donne) al 30,45% in meno nel 2023 (1.366 in media gli uomini, 950 le donne). Per le nuove pensioni degli uomini ci sono in media quindi oltre 400 euro in più al mese, grazie spesso a carriere contributive più lunghe ma anche a buste paga mediamente più sostanziose.

Per le pensioni anticipate, basate su più anni di contributi, le nuove pensioni valgono in media 1.758 euro al mese per le donne e 2.111 per gli uomini mentre per le nuove pensioni di vecchiaia le donne prendono in media 758 euro e gli uomini 1.071 euro. Sono diminuite soprattutto le pensioni anticipate, anche grazie all’esaurimento di Quota 100 e al passaggio da Quota 102 a Quota 103, e quelle ai superstiti.

Le pensioni di vecchiaia con decorrenza 2023 sono 296.153 in calo del 2,38% mentre quelle anticipate sono 218.584 con un calo del 16,09%. Calo consistente anche per le pensioni ai superstiti (203.708 con un -17,98%) e per le invalidità diminuite del 13,55% a 46.462 unità. Crolla il ricorso a Opzione donna con appena 11.225 persone a riposo con questa misura a fronte delle 24.644 uscite nel 2022 prima della stretta sui requisiti. Per il fondo lavoratori dipendenti le pensioni con decorrenza nell’anno sono state 327.558 con un importo medio di 1.330 euro, per i lavoratori autonomi (coltivatori diretti, artigiani e commercianti) sono state 231.858 con un assegno medio di 829 euro mentre per i parasubordinati sono stati erogati 41.431 nuovi assegni con un importo medio mensile di 319 euro.

Per i dipendenti pubblici le pensioni con decorrenza 2023 sono state 116.952 con un importo medio mensile di 2.089 euro. Gli assegni sociali (inclusi nel calcolo degli assegni di vecchiaia) sono stati 88.539 con un importo medio di 469 euro. Il numero di pensioni anticipate rispetto a quelle di vecchiaia (esclusi gli assegni sociali) è sceso da 119 del 2022 a 105 nel 2023. L’età di accesso al pensionamento per il Fondo lavoratori dipendenti è stata mediamente di 67,3 anni per la vecchiaia e di 61,1 per l’anticipata.

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Economia

Trump: non rimuoverò Powell prima della scadenza

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Donald Trump ha dichiarato in un’intervista a Nbc che non rimuoverà Jerome Powell (foto in evidenza Imagoeconomica) dalla carica di presidente della Fed prima della scadenza del suo mandato, prevista per maggio 2026, definendo il banchiere centrale una persona “completamente rigida” e ripetendo gli appelli alla Fed ad abbassare i tassi di interesse.

rump ha affermato che Powell non è un suo fan, ma si aspetta che la Fed abbassi i tassi di interesse a un certo punto. “Beh, dovrebbe abbassarli. E a un certo punto lo farà. Preferirebbe di no perché non è un mio fan”, ha detto, sostenendo di non piacere a Powell perché lo ritiene una persona totalmente rigida e incapace. Alla domanda se avrebbe rimosso Powell prima della fine del suo mandato come presidente nel 2026, Trump ha rilasciato la sua smentita più decisa, dicendo: “No, no, no… perché dovrei farlo? Potrò sostituire quella persona tra poco tempo”.

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Economia

Sncf sfida Trenitalia e Italo: “Porteremo 10 milioni di nuovi passeggeri sull’alta velocità italiana”

La francese Sncf vuole entrare nel mercato AV italiano con 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Investimento da 800 milioni e 300 assunzioni.

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L’operatore francese chiede spazio per 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Ma le trattative con Rfi sono complicate: “Binari saturi, serve razionalizzare”

Milano–Roma–Napoli, ma anche Torino–Venezia: sono queste le direttrici su cui Sncf, il colosso ferroviario francese, punta per rompere il duopolio Trenitalia-Italo nell’alta velocità italiana. Dopo i primi contatti nel 2022, il debutto dei treni francesi è atteso per l’estate del 2027, ma le difficoltà non mancano.

In una lunga intervista al Corriere della Sera, Caroline Chabrol (le foto sono di Imagoeconomica), direttrice generale di Sncf Voyages Italia, racconta le ambizioni del gruppo: “Non vogliamo sottrarre clienti alle aziende esistenti. Il nostro obiettivo è intercettare milioni di italiani che oggi non viaggiano in treno”.

Da Milano a Parigi: +10% di passeggeri, nonostante la frana

Sncf è già presente in Italia con il collegamento Milano–Torino–Parigi, interrotto a lungo per una frana e recentemente ripristinato. “Nonostante il viaggio sia passato da 7 a 9 ore, la domanda è rimasta alta. Le prenotazioni estive 2025 sono aumentate del 10%”, spiega Chabrol.

Con tre frequenze giornaliere, si stimano circa 700mila passeggeri all’anno. Proprio questi volumi hanno spinto la società a investire sull’alta velocità nazionale: “Abbiamo ordinato 15 nuovi TGV M a due piani adattati alle infrastrutture italiane”.

CAROLINE CHABROL DIRETTRICE SNCF VOYAGES ITALIA

Trattative difficili con Rfi: “Ci avevano dato due viaggi, poi solo uno”

Sncf ha chiesto 13 frequenze giornaliere a Rfi: 9 tra Torino–Milano–Roma–Napoli, 4 tra Torino e Venezia. Ma, secondo la dirigente, “le trattative sono state frustranti: all’inizio ci avevano dato due viaggi a direttrice, poi sono scesi a uno. Non è sostenibile”.

Sullo sfondo c’è anche un’indagine dell’Antitrust italiano, che sospetta un possibile “abuso di posizione dominante” da parte di Rfi nell’ostacolare l’ingresso di Sncf. La società che gestisce i binari respinge ogni addebito.

Un piano industriale da 800 milioni e 300 nuove assunzioni

Sncf stima 10 milioni di passeggeri all’anno, con una potenziale sottrazione del 30% agli operatori attuali, ma la strategia resta quella di “aumentare lo switch modale”, spingendo chi oggi viaggia in auto, aereo o autobus a passare al treno.

Ogni treno in doppia composizione potrà trasportare 1.300 passeggeri, con tariffe non ancora definite, anche se si smentisce l’intenzione di diventare una low cost: “Guardiamo anche al segmento corporate”, precisa Chabrol.

Il piano prevede 800 milioni di investimento e 300 assunzioni in Italia, tra macchinisti, capitreno, manutentori e addetti operativi.

“Binari saturi, il modello multi-frequenza non regge più”

La sfida non sarà solo con Trenitalia e Italo, ma anche con la capacità della rete ferroviaria. “I binari sono saturi, e questo sta causando ritardi. Il modello di alta frequenza non è più sostenibile. Serve una razionalizzazione dell’offerta”, dice Chabrol.

Sncf pagherà circa 50 milioni di euro l’anno a Rfi per l’uso dell’infrastruttura, ma chiede in cambio condizioni eque per garantire concorrenza. “Portiamo valore a tutto il sistema, anche all’Italia”, conclude.

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L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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