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Economia

Arriva il dl taglia-prezzi. Si rafforza golden power

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 Subito il taglio dei prezzi della benzina, che si autofinanzia, e poco altro. Il rafforzamento del golden power, i fondi in piu’ per i rifugiati. Alla fine di una giornata di riunioni praticamente continue, il governo sceglie di prendersi qualche ora in piu’ e spostare a venerdi’ il varo delle prime misure per far fronte all’impatto economico della guerra in Ucraina: i conti non tornano, le risorse a disposizione, senza pensare a spese in deficit, sono scarse. Ma il segnale politico va dato, anche se per il grosso delle misure si dovra’ aspettare che si definisca il quadro europeo: il premier Mario Draghi chiede a tutti un supplemento di sforzo per rassicurare famiglie e imprese e entro la settimana vuole dare l’ok almeno al decreto ‘taglia-prezzi’. Ma le esigenze si moltiplicano di ora in ora, all’inasprirsi del conflitto: ci sono le imprese in difficolta’ con le materie prime, i blocchi a intermittenza della produzione, gli autotrasportatori che si fermano, come i pescherecci, gli allevatori che non trovano mais e frumento per gli animali, le famiglie che faticano a fare il pieno e a pagare le bollette. Andra Orlando annuncia che si valuta di usare la “cassa per transizione” per aiutare le imprese colpite dal caro energia, e intanto scrive a Inps, Inail, Ispettorato del Lavoro, Inapp e Anpal per chiedere di ridurre i consumi in tutte le loro sedi. Al Mims – ci lavora la viceministra Teresa Bellanova – puntano a introdurre una norma ad hoc per l’autotrasporto. Stefano Patuanelli sta perorando la causa dell’agricoltura, ma per ora distribuisce 20 milioni, d’intesa con le Regioni, a sostegno della filiera ittica e annuncia che chiedera’ a Bruxelles, lunedi’, di rivedere il Green deal, la Pac e la strategia Fram to fork. Il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti affina il suo pacchetto di proposte: chiede di dare piu’ poteri a mr Prezzi, con multe fino a 5mila euro alle attivita’ che non sappiano spiegare, entro 10 giorni, i rincari, cosi’ come l’estensione delle garanzie Sace alle imprese strategiche e a quelle che riattivano produzioni di ghisa in Italia da destinare alla siderurgia. Ci sono poi le misure di spesa, dal miliardo per rifinaziare il fondo di garanzia delle Pmi, che secondo i calcoli del Mise potrebbe supportare fino a 150mila aziende, agli 800 milioni per i ristori. Sotto la lente ancora anche la richiesta di un intervento sull’export delle materie prime. Dall’idea di dazi sull’export si passa a quella di un controllo da parte del Mise, un obbligo di notifica con multe da 100mila euro in su per chi non lo rispetta. Giorgetti va e viene da Palazzo Chigi, come il ministro dell’Economia, Daniele Franco, e il collega Roberto Cingolani. Il titolare del Mite in Parlamento spiega che il governo sta ragionando su un meccanismo di “accisa mobile” – introdotto con la Finanziaria del 2007 – che consente di destinare al taglio delle accise gli incassi Iva non previsti perche’ legati a un aumento dei carburanti. La norma potrebbe anche essere applicata, direttamente, con decreto ministeriale, perche’ e’ ancora in vigore, ma prevede interventi trimestrali: al momento i calcoli dell’extragettito sono ancora in corso e si statrebbe valutanto intanto di abbattere le accise di 15 centesimi per due mesi, in attesa di vedere le evoluzioni del mercato (e del conflitto). Piu’ complesso un nuovo intervento sugli extraprofitti delle societa’ energetiche che pero’ servirebbe a finanziare subito le nuove misure per calmierare le bollette di luce e gas. Resta sul tavolo l’idea di rafforzare le rate cosi’ come quella di alzare il tetto Isee per il bonus sociale, ma i fondi scarseggiano. Nel decreto dovrebbero pero’ entrare due voci dai costi limitati, cioe’ l’eliminazione dell’antivirus russo Kaspersky dalla P.a. e il rafforzamento del golden power: si dovrebbe portare a regime l’attuale campo di azione, esteso durante la pandemia Covid, ma anche dare maggiori possibilta’ di controllo alle amministrazioni sulle operazioni aziendali sul 5G.

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Cronache

Stakanovista 10% italiani, lavora 49 ore a settimana

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In Italia quasi un lavoratore su dieci tra i 20 e i 64 anni nel 2023 ha lavorato in media almeno 49 ore alla settimana, una percentuale superiore a quella media dell’Unione europea (7,1%) e inferiore solo a quella di Grecia, Francia e Cipro. In pratica il 9,6% degli occupati ha lavorato l’equivalente di un giorno in più a settimana, considerando che l’orario standard oscilla tra le 36 e le 40 ore a settimana. All’opposto si trovano le Repubbliche baltiche, con percentuali tra l’1% e il 2%, ma anche i Paesi scandinavi (la Norvegia è al 5,2% e la Finlandia al 5,7%) e la Germania con il 5,4%.

L’immagine di una parte degli italiani insolitamente stakanovista emerge dalle tabelle Eurostat sui lavoratori che fanno orari di lavoro lunghi. Il risultato, si deduce dai numeri, è legato alla consistenza del lavoro autonomo che tradizionalmente è impegnato per un numero di ore maggiore rispetto alla media totale dei lavoratori. Guardando infatti solo a professionisti e partite Iva, a lavorare almeno 49 ore è una percentuale molto più alta, pari al 29,3%. Il dato quindi non è legato tanto all’ampio uso del lavoro straordinario, quanto alla larga diffusione del lavoro autonomo in Italia (ma anche in Grecia), tipologia che spesso ha orari più lunghi di quelli contrattuali, soprattutto in settori come i servizi, le vendite e l’agricoltura.

La controprova sta nel fatto che nel nostro Paese i lavoratori dipendenti che lavorano almeno 49 ore la settimana in media sono il 3,8% del totale dei lavoratori subordinati (3,6% in Ue). Gli autonomi con dipendenti che lavorano con questi orari sono il 46% del totale (41,7% la media Ue). Gli autonomi senza dipendenti che lavorano 49 ore alla settimana sono invece il 27,4% (23,6% in Ue) mentre quelli impegnati in un lavoro di aiuto all’attività familiare che raggiungono le 49 ore sono il 20,1% (14% in Ue). La percentuale degli “stakanovisti” sale se si guarda solo agli uomini con il 12,9% del complesso degli occupati che lavora almeno 49 ore a settimana (9,9% in Ue). Nel complesso le donne che lavorano almeno 49 ore alla settimana sono il 5,1% del totale, comunque sopra la media europea del 3,8%. Tra gli uomini autonomi con dipendenti la percentuale di coloro che raggiunge o supera le 49 ore di lavoro a settimana supera il 50% in Italia (50,8%) e si attesta sul 46,3% in Ue.

Anche tra i dipendenti la percentuale di chi lavora almeno 49 ore alla settimana è più alta tra gli uomini con il 5,1% in Italia a fronte del 5% della media Ue. Tra le donne le autonome con dipendenti lavorano a lungo nel 32,5% dei casi (quasi una su tre) a fronte del 29,6% in Ue. Tra le dipendenti sono invece il 2,3% a fronte del 2,1% in Ue. In Italia lavorano con orari lunghi nel complesso soprattutto i manager (40,5% del totale a fronte del 21,9% in Ue) con una percentuale del 24,4%, molto superiore alla media, anche per i manager dipendenti (14,3% in Ue). Il 10,3% dei professionisti in Italia dichiara di lavorare almeno 49 ore e il 10,9% dei lavoratori dei servizi e delle vendite (6,5% in Ue). Tra i lavoratori dell’agricoltura infine è il 36,3% a lavorare ben oltre lo standard, contro il 27,5% rilevato in media nell’Unione europea.

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Economia

Il clima affonda la produzione di vino in Italia (-23%)

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Piogge frequenti e malattie delle viti fanno crollare la produzione di vino in Italia. Tra agosto 2023 e luglio 2024 l’Unione europea vedrà un calo della produzione annua di vino del 10% (stimata in circa 143 milioni di ettolitri, il dato più basso dal 2017-18) a causa “delle condizioni meteorologiche avverse”: un dato trainato da una “diminuzione significativa” osservata tanto in Italia (-23%) quanto in Spagna (-21%) nei dodici mesi. A rilevarlo è l’ultimo rapporto sulle prospettive a breve termine per i mercati agricoli dell’Ue pubblicato dalla Commissione europea. Intanto oggi è stato presentato alle associazioni di settore il nuovo avviso Ocm vino ‘Promozione sui mercati dei paesi terzi’.

Il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, mette a disposizione degli operatori 22 milioni di euro a cui vanno aggiunti 71 milioni di euro per bandi regionali e multiregionali per un investimento complessivo che supera i 90 milioni di euro. “L’avevamo detto e l’abbiamo fatto anche prima del previsto”, ha segnalato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. “Ci stiamo muovendo per una più grande valorizzazione dell’export del vino”. Da subito per il Governo “è stata una priorità”, ha sottolineato. Il rapporto della Commissione Ue sulla produzione attesa a luglio 2024 sottolinea che il settore continua a essere influenzato da numerosi eventi “fuori dal controllo” degli agricoltori, come le crisi climatiche e geopolitiche, che esercitano pressioni in termini di prezzi, domanda e reddito.

Il “calo senza precedenti” che si osserverà in Italia, spiega l’Ue, è “determinato da frequenti piogge nelle regioni dell’Italia centrale e meridionale, e le conseguenti malattie fungine delle viti”. Visto il crollo della produzione in Spagna e Italia, la Francia tornerà a essere il primo produttore di vino in Ue. Non solo produzione, Bruxelles stima che a diminuire sarà anche il consumo (-1,5%) fino a 96 milioni di ettolitri, in particolare dei vini rossi, dovuto anche al fatto che più giovani preferiscono altri alcolici, soprattutto birre e cocktail. Considerata “l’imprevedibilità degli eventi meteorologici estremi e dei bruschi cambiamenti osservati nell’ultimo anno”, il rapporto mette in guardia sulla necessità di trattare “con cautela” i segnali attuali. Nel 2023-2024 a crollare saranno inoltre i volumi delle esportazioni di circa l’11%, a 28 milioni di ettolitri. Non solo sul vino, le condizioni meteorologiche avverse peseranno anche sulla produzione europea di mele e arance, le esportazioni delle quali diminuiranno drasticamente. Quanto alla produzione di olio d’oliva, la Commissione stima “una leggera ripresa” tra ottobre 2023 e settembre 2024 dopo un raccolto record lo scorso anno. Quanto ai cereali, si prevede che nel 2024/25 la produzione aumenterà fino a circa 278,5 milioni di tonnellate (+ 3% su base annua), principalmente grazie a rese migliori. Le importazioni tra luglio 2023 e giugno 2024 potrebbero rimanere superiori del 17% rispetto alla media quinquennale.

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Economia

Ponte sullo Stretto, dubbi su altezza, ‘ok grandi navi’

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È ormai l’opera più discussa e chiacchierata nella storia d’Italia: il Ponte sullo Stretto di Messina. A esprimere nuovamente le proprie perplessità sul Ponte, rilanciato dal vicepremier e ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini, è Federlogistica, secondo cui sarebbe troppo basso per le grandi navi. L’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, invece rassicura che navi da crociera e portacontainers non avranno problemi a transitare nello Stretto una volta costruito il Ponte. In una intervista il presidente di Federlogistica, Luigi Merlo, ribadisce che un’altezza massima di 65 metri sul livello del mare “impedirebbe” il transito di alcune grandi navi, “alte più di 68 metri”, ed inoltre essendo il Ponte a campata unica, i 65 metri di altezza verrebbero raggiunti solo nella parte più alta, mentre verso le due sponde, il cosiddetto franco navigabile, si ridurrebbe, spiega.

Dal canto suo Ciucci sottolinea che il franco navigabile del ponte sullo Stretto “è di 72 metri per una larghezza di 600 metri e si riduce a 65 metri, solo in presenza di condizioni eccezionali di traffico pesante stradale e ferroviario” e che “questi parametri sono in linea con i ponti esistenti sulle grandi vie di navigazione internazionali, in coerenza con le procedure stabilite dalle norme Imo (International Maritime Organization)”. L’a.d della Stretto di Messina aggiunge poi che la commissione tecnica istituita al Mit ha già effettuato “un esame approfondito del traffico” degli ultimi anni nello Stretto, suddiviso per le diverse imbarcazioni, “dal quale non emergono criticità legate al Ponte”. E sempre Ciucci fa notare che la quasi totalità delle navi portacontainer solca il Mediterraneo dopo avere attraversato il Canale di Suez e, quindi, dopo essere transitate al di sotto dell’Al Salam Bridge, il cui franco navigabile “è inferiore ai 72 metri” che saranno disponibili sullo Stretto di Messina.

E a rassicurare sul Ponte interviene anche Marco Lombardi, amministratore delegato di Proger Spa, società coinvolta nella progettazione dell’opera. “Il Ponte sullo Stretto regge benissimo, è un’opera sicura, innovativa e il via libera arriverà presto”, afferma. Le opposizioni però non si lasciano convincere. “E’ un ponte costosissimo, inutile e fatto male”, scandisce la deputata del Pd e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, Laura Boldrini, accusando il governo di arrivare a concepire una spesa di 15 miliardi di soldi pubblici “per una follia simile”.

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