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Cronache

Andrea Vanzo, il pianista dei lupi: «Vivo nei boschi e compongo ascoltando il vento»

Il compositore Andrea Vanzo si racconta al Corriere: una vita tra i lupi dell’Appennino, le vette estreme e un tour mondiale. «Sono un architetto del silenzio».

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Vive solo nei boschi dell’Appennino bolognese, dialoga con il vento, si arrampica sugli alberi per ascoltarlo meglio. Andrea Vanzo, 36 anni, è un compositore e pianista da milioni di ascolti su Spotify, Instagram e TikTok, ma rifugge la mondanità. Le sue esibizioni avvengono in luoghi estremi: la falesia sarda di Su Tingiosu, lo Sciliar altoatesino, il deserto del Wadi Rum, la cima dell’Etna. Lì, tra silenzi e folate, gira i suoi videoclip al pianoforte. Come Soulmate, visto 13 milioni di volte su YouTube. Ne ha parlato con il Corriere della Sera.

Il tour mondiale che parte da casa

Dal 7 novembre, Vanzo sarà in tour con l’album Intimacy Vol.2, tra Città del Messico, San Paolo, Londra, Stoccolma, Vienna e Colonia, ma per la prima volta partirà dalla sua terra: Casalecchio di Reno, dove è cresciuto dopo essere nato a Bologna. La sua infanzia, però, è legata a Sadurano, minuscolo borgo di 11 anime nella Riserva naturale del Contrafforte Pliocenico: «I primi strumenti musicali? Il bramito dei daini, il vento tra le fronde», racconta. «So distinguere il suono dei fiocchi di neve da quello dei graupel, le piccole palle di ghiaccio».

Un infanzia solitaria, 20 anni di terapia

Introverso, silenzioso, taciturno. Da piccolo Vanzo era così diverso da coetanei e famigliari da essere mandato dallo psicologo: 20 anni di terapia, dice. «Oggi mi sono un po’ addomesticato». Ma non ha mai smesso di coltivare la sua indole solitaria. «Mi considero un architetto del silenzio e un compositore di emozioni», afferma. «La musica è stata il mezzo per tirarle fuori».

Dalla pianola al conservatorio, passando per Morricone e John Williams

Fin da piccolo, ascoltava Mozart mentre i compagni preferivano Nirvana e Radiohead. A 11 anni già prendeva lezioni di pianoforte, ma senza conoscere il pentagramma. Scriveva tutto a memoria. Entrato al Conservatorio di Bologna, ne fugge subito: «L’atmosfera mi opprimeva». Torna anni dopo per diplomarsi in composizione. Si specializza poi in musica per film a Roma e Milano. Il suo modello? John Williams, il compositore di Star Wars ed E.T., non Morricone.

Da baby-sitter a Matilda De Angelis

Nel suo percorso artistico, anche curiosi intrecci del destino. Fu baby-sitter di Matilda De Angelis, che gli deve una piccola cicatrice. Anni dopo la giovane attrice torna da lui, canta, e nasce un progetto musicale ancora nel cassetto.

Pianoforte sulle cime, a piedi e in spalla

I suoi videoclip non usano elicotteri o droni commerciali: Vanzo si arrampica, a piedi, con uno speciale pianoforte ibrido trasportabile in 5 sacche da 20 chili. Lo ha costruito con l’artigiano “zio adottivo” Massimo Russo e il padre Umberto. «Serve una squadra di almeno sei persone per portarlo su».

Le location sono scelte con significato affettivo: Su Tingiosu per la madre sarda, lo Sciliar per il padre. Ma anche luoghi simbolici come il Wadi Rum, attraversato da Lawrence d’Arabia, o l’Etna in eruzione, dove Vanzo ha rischiato la vita per una ripresa. «Mi sono chiesto se avesse senso… ma è stato il Covid a costringermi a rivedere i social. Da lì ho cominciato a postare video in cui suonavo in casa. E tutto è cambiato».

Dalla fame al successo

Oggi la musica gli garantisce un reddito, ma non è sempre stato così: «Dai 17 ai 34 anni ho vissuto nella precarietà. Mio padre mi ha dato lavoro nella sua bottega di restauro. Altrimenti avrei patito la fame». Oggi, oltre alle colonne sonore per il film Millers in Marriage e alla collaborazione con la Rai, ha vinto anche il Gang Award per la miglior cover di “Song of Storms”, tratta dal videogame The Legend of Zelda, commissionatagli dalla Decca.

Vanzo si definisce cupo e nostalgico, diverso da Giovanni Allevi, e forse proprio per questo è diventato una figura unica nel panorama musicale internazionale. Un artista del silenzio che, arrampicato su un albero o su una vetta, compone ascoltando il vento.

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Cronache

Ranucci indagato per il caso Sangiuliano, Report nella bufera politica

Il conduttore di Report Sigfrido Ranucci è indagato per la diffusione della telefonata Sangiuliano. Il centrodestra attacca, M5S lo difende.

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Sigfrido Ranucci, storico conduttore del programma di inchiesta Report in onda su Rai3, è formalmente indagato dalla Procura di Roma per interferenze illecite nella vita privata, in relazione alla diffusione di una telefonata tra l’allora ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini. L’informazione, anticipata da Maurizio Gasparri e Roberto Rosso, membri della commissione di Vigilanza Rai, ha fatto esplodere una nuova polemica politica.

Insieme a Ranucci, è indagato anche il giornalista Luca Bertazzoni, autore del servizio andato in onda a dicembre 2024, in cui venne trasmesso un frammento audio — pochi secondi, precisa Ranucci — dell’ormai famosa conversazione privata tra Sangiuliano e la moglie.

La telefonata, le dimissioni e la denuncia

La telefonata risale all’estate del 2024, quando Corsini, venuta a conoscenza di un presunto tradimento del marito, lo invitava a bloccare un incarico di consulenza per i Grandi eventi a Maria Rosaria Boccia, imprenditrice di Pompei. Il ministro eseguì, e pochi mesi dopo, il 6 settembre 2024, si dimise.

L’estratto audio, registrato dalla stessa Boccia con il consenso di Sangiuliano — secondo la ricostruzione di Ranucci — ha avuto ampia eco mediatica e ha innescato un caso politico e giudiziario di rilevanza nazionale.

Gasparri all’attacco: «Licenziatelo»

Il centrodestra ha reagito duramente. Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, ha chiesto l’intervento della Rai: «È solo voyeurismo, gossip. Ranucci andrebbe licenziato». Non è la prima volta che l’esponente azzurro polemizza con il giornalista: celebre il gesto in Vigilanza Rai in cui brandì una carota e una bottiglietta di cognac per provocarlo.

Anche Fratelli d’Italia si è unita al coro, sostenendo che è in gioco la credibilità dell’informazione del servizio pubblico.

La difesa di Ranucci: «La notizia era rilevante»

Ranucci, che ancora non ha ricevuto notifica dell’avviso di garanzia ma ha già nominato il penalista Mario Casellatocome difensore, ha respinto le accuse al mittente: «Stiamo parlando di pochi secondi tratti da ore di registrazioni private, e la notizia aveva un interesse pubblico altissimo».

Il conduttore ha inoltre precisato che il Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti ha già archiviato la sua posizione, mentre il Movimento 5 Stelle ha espresso pubblicamente solidarietà a suo favore.

Intanto, Sangiuliano — oggi corrispondente Rai da Parigi — resta al centro della vicenda e, secondo fonti legali, potrebbe costituirsi parte civile in caso di processo.

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Cronache

Sting torna a Ischia: tra relax, parmigiana e vino, l’ex Police si gode Sant’Angelo e promette di tornare

Il cantautore britannico riscopre l’isola che ha imparato ad amare grazie alla moglie Trudie Styler. Cena al “Pirata”, passeggiata in piazza e tappa al Regina Isabella

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Sting, al secolo Gordon Matthew Thomas Sumner, ha fatto nuovamente rotta verso Ischia, riaffermando il suo legame speciale con Sant’Angelo, il borgo marinaro nel Comune di Serrara Fontana che negli anni ha stregato artisti, politici e celebrità di mezzo mondo. L’ex leader dei Police, arrivato per la prima volta sull’isola al seguito della moglie Trudie Styler – madrina di lunga data dell’Ischia Global Fest – è tornato anche in questa estate 2025 per concedersi qualche giorno di relax, buona cucina e discrezione.

La tappa obbligata: il borgo di Sant’Angelo

È il buen retiro preferito da Sting e Styler, rifugio anche della ex cancelliera Angela Merkel. Nascosto tra i vicoli di Sant’Angelo, l’artista britannico ha trascorso la serata con gli amici di sempre, su tutti la famiglia Poerio, storici gestori del ristorante “Il Pirata”, diventato il suo approdo sicuro ogni volta che approda sull’isola.

La cena? Ovviamente parmigiana di melanzane, piatto irrinunciabile per il cantautore. A seguire, due primi che ama particolarmente: le penne al pirata e i bucatoni del nonno, entrambi caratterizzati da formaggi intensi. E poi uno sguardo attento alla carta dei vini, passione e mestiere per lui che dal 1997 è proprietario della tenuta toscana Il Palagio, 350 ettari sulle colline fiorentine, dove produce etichette pluripremiate.

Un amore nato per caso (o per amore)

La storia d’amore tra Sting e Ischia è iniziata quasi per caso. Era la moglie Trudie, attrice e produttrice, ad essere inizialmente affascinata dall’isola, coinvolta dal patron del Global Fest Pascal Vicedomini. Sting l’aveva seguita senza troppe aspettative. Ma fu colpo di fulmine. Un’attrazione che si rinnova ogni anno, e che ha spinto l’artista a mantenere vivo il legame con la terra verde, fatta di silenzio, lentezza, natura e mare.

Incognito e felice

Occhiali scuri, cappello calato sul viso, camminata rilassata: così Sting ha passeggiato in piazza a Sant’Angelo, riuscendo perfino a passare inosservato. A tarda sera, il ritorno nella sua residenza temporanea al Regina Isabella di Lacco Ameno, con una promessa sussurrata a chi gli è vicino: “Tornerò presto”.

Il catamarano di Bob Iger a Casamicciola

Intanto, un’altra presenza d’eccezione ha animato la costa ischitana. A Casamicciola Terme ha ormeggiato l’Artexplorer, uno dei catamarani più grandi del mondo, appartenente a Bob Iger, CEO di Disney. Un segno che Ischia, tra arte, mare e discrezione, continua ad attrarre nomi di primo piano del jet set internazionale.

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Cronache

Processo al clan Moccia, l’allarme inascoltato dei pm: «Rischio scarcerazione». E ora si indaga sui ritardi

Il processo al clan Moccia si arena dopo tre anni e 60 udienze. I pm avevano lanciato l’allarme: «Rischio scarcerazione». Ora indaga la Corte d’Appello.

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Era il 16 marzo 2023 quando i pm Ivana Fulco e Ida Teresi lanciarono il primo allarme: il processo al presunto clan Moccia rischiava di incagliarsi nei meandri della burocrazia giudiziaria, con conseguenze gravi sulla custodia cautelare degli imputati. Parole nette messe a verbale: «Trattasi di processo con detenuti già da tempo pendente, quindi con il rischio che vengano scarcerati tutti». Un anno dopo, lo scenario profetizzato è diventato realtà: quindici imputati sono tornati in libertà per decorrenza dei termini, mentre il maxiprocesso non ha ancora prodotto alcun verdetto di primo grado.

Il maxiprocesso e le 60 udienze senza esito

Il dibattimento, avviato da oltre tre anni, coinvolge 48 imputati con accuse pesanti, tra cui associazione camorristica e riciclaggio. Al centro, l’organizzazione ritenuta legata al clan Moccia, con interessi tra Napoli e Roma. In aula si sono tenute sessanta udienze, ma nonostante lo sforzo iniziale, il processo si è progressivamente impantanato. La sesta sezione penale del Tribunale di Napoli ha accolto le istanze dei difensori per la scarcerazione, in assenza di una sentenza.

Le segnalazioni dei pm e la richiesta di udienze straordinarie

Nel corso del 2024 i pubblici ministeri hanno più volte ribadito la necessità di aumentare il numero di udienze, anche proponendo la loro disponibilità a sedute straordinarie di sabato. Richieste avanzate anche in merito alla programmazione mattutina delle udienze, e non solo pomeridiane, per accelerare il ritmo del procedimento. Ma il Collegio, oberato da altri processi – tra cui quello sui presunti boss del Vomero e sul racket ospedaliero – non è riuscito a rispondere in maniera efficace.

Le verifiche in corso: riflettori accesi su ritardi e gestione

Ora la vicenda è finita sotto la lente della Corte di Appello di Napoli, con il presidente Maria Rosaria Covelli e il procuratore Nicola Gratteri impegnati in una ricostruzione dettagliata della gestione del fascicolo. Nessun intento punitivo, ma l’obiettivo è fare chiarezza su eventuali criticità o anomalie procedurali. Si esaminano i verbali delle udienze, si ricostruiscono tempi, rinvii e scelte organizzative.

La posizione della difesa: «Nessuna responsabilità del Tribunale»

Secondo l’avvocato Claudio Botti, difensore di Angelo Moccia, le scarcerazioni non rappresentano un fallimento della macchina giudiziaria, ma l’effetto di indagini troppo vaste e complesse:

«I giudici hanno solo applicato il Codice di procedura penale. I difensori hanno rinunciato all’ascolto di molti collaboratori, ritenendo sufficienti gli interrogatori già depositati. Il clamore mediatico non deve influenzare i giudici».

Va ricordato che, nonostante la fine della custodia cautelare, restano in vigore misure alternative, come il divieto di residenza in Campania e Lazio o l’obbligo di permanenza domiciliare notturna.

Il retroscena del rinvio e l’udienza mai celebrata

Emblematico quanto accaduto il 16 marzo 2023: l’udienza, convocata per le 13, inizia solo alle 14, ma viene subito rinviata per l’astensione di uno dei giudici. È in quel contesto che i pm chiedono di mettere a verbale il rischio concreto di scarcerazioni, anticipando di fatto quello che sarebbe accaduto oltre un anno dopo.

La storia di questo maxiprocesso rischia ora di diventare simbolo di un sistema fragile, dove le lungaggini possono mettere in crisi la stessa idea di giustizia. Le verifiche in corso saranno determinanti per capire se si poteva e doveva fare di più.

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