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Cronache

Allevato per diventare un narcotrafficante, questa è la storia di un bimbo di 8 anni figlio di un boss

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“Un giorno mi farà le scarpe”. Era orgoglioso Agostino Cambareri, 46enne di Gioia Tauro, arrestato perchè ritenuto a capo di un’organizzazione di narcotrafficanti. Era “orgoglioso” degli insegnamenti che stava dando al figlio di appena 8 anni. Ma non insegnamenti qualunque, di quelli che ogni padre cerca di dare al figlio. No, no. Quest’uomo, Agostino Cambareri, al suo bambino insegnava a diventare un criminale, mettendolo al corrente dei suoi loschi affari e arrivando addirittura a coinvolgerlo nel traffico di droga che gestiva, ed anche parlandogli di armi e vendette.

Uno spaccato “inquietante di elevato allarme sociale su cui bisogna riflettere ben oltre le responsabilita’ penali”, come l’ha definito il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, venuto alla luce grazie ad un’inchiesta – chiamata non a caso “Cattiva strada” – condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria con il coordinamento della Procura, che stamani ha portato a 13 arresti, otto in carcere e cinque ai domiciliari. Il bambino non giocava normalmente con i suoi amici e gli studi mattutini a scuola era costretto a metterli da parte. Per il padre era molto più importante insegnargli come si trattava la droga. “Guarda come si e’ combinata che l’ho messa al sole … troppo si fa pero’, si e’ fatta, si e’ impastata”, dice al bambino in una conversazione intercettata dagli investigatori. Col piccolo, l’uomo trattava ogni aspetto dello spaccio di droga, anche come comportarsi nel caso di una partita tagliata male da ritirare dal “mercato” per sostituirla con quella giusta. “Se tutto va bene – spiega Cambareri al piccolo – dobbiamo andare anche da Francesca. Se la troviamo, vediamo che ha, se ha questa o se ha quella, e le diamo quella giusta. Hai capito? Cosi che con quella all’ospedale va a finire”.

Ma gli “insegnamenti” paterni, non si limitavano alla qualita’ dello stupefacente. In un’occasione lo istruisce su come bonificare un’auto dalle microspie e a stare attento ai carabinieri. “Li hai visti? – dice l’uomo – sono scesi e ci hanno fatto la fotografia. Troppe chiacchiere ci sono state. Quando fanno cosi?vuole dire che puzzano. Quindi meglio evitare, o no? Ora, a casa non sono venuti, la campagna la puliamo tutta, e quella la lasciamo la”. In un’altra ancora spiega al piccolo come vengono risolti i contrasti con i narcos colombiani: “che facevano? Una guerra succedeva qua, avevano kalashnikov, tutto .. cosi?lo potevi ammazzare, lo sotterravi e non sapeva niente nessuno, invece li?i colombiani …venivano qua sai che facevano? il macello”.

Cambareri era già stato arrestato due anni fa, vicino ad una piantagione di marijuana. Dopo il suo arresto il bambino e’ stato allontanato dalla casa familiare e adesso puo’ finalmente condurre una vita normale come tutti i suoi coetanei. Un aspetto sottolineato da Bombardieri che ha elogiato “l’azione di sostegno del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria nei confronti di chi, donne o bambini, vuole distaccarsi da un modo di lutti e di violenza per provare a vivere una dimensione esistenziale diversa”. Una politica avviata dal presidente Roberto Di Bella e che ha gia’ salvato decine di ragazzi da un futuro fatto di violenza.

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Cronache

David Knezevich morto in carcere: era accusato dell’omicidio di Ana Maria Henao

David Knezevich, accusato della sparizione della ex moglie Ana Maria Henao, si è tolto la vita nel carcere di Miami. Resta il mistero sul corpo della donna scomparsa.

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David Knezevich, 37 anni, accusato del sequestro e dell’omicidio della ex moglie Ana Maria Henao, è stato trovato morto nella sua cella a Miami, in Florida. A confermare il decesso, avvenuto per suicidio secondo i media americani, è stato il suo avvocato. Knezevich era detenuto in attesa di giudizio, dopo essere stato arrestato a maggio 2024 per il presunto coinvolgimento nella misteriosa sparizione della milionaria, avvenuta a Madrid.

Il giallo internazionale e le ricerche nel Vicentino

La vicenda aveva assunto da subito i contorni di un intrigo internazionale, coinvolgendo Stati Uniti, Spagna, Serbia e Italia. L’Fbi aveva seguito le tracce del sospettato fino a Cogollo del Cengio, in provincia di Vicenza, dove si erano concentrate le ricerche del corpo di Ana Maria Henao. Gli inquirenti avevano individuato la zona grazie ai tracciamenti di un’auto noleggiata da Knezevich a Belgrado. Nonostante gli sforzi, le operazioni di perlustrazione non avevano portato al ritrovamento del cadavere.

La ricostruzione delle accuse

Secondo gli investigatori, il 29 gennaio 2024 Knezevich aveva noleggiato un’auto senza GPS a Belgrado, recandosi poi a Madrid. Dopo aver rubato una targa per camuffare il veicolo, sarebbe stato ripreso dalle telecamere mentre metteva fuori uso i sistemi di sorveglianza dell’appartamento di Ana Maria. In seguito sarebbe entrato nell’abitazione con una valigia per uscirne nove minuti dopo: l’ipotesi è che avesse nascosto il corpo della donna, minuta e dal fisico esile, nella stessa valigia.

Durante il rientro verso la Serbia, una sosta prolungata nei boschi vicentini aveva insospettito gli investigatori, che avevano concentrato lì le ricerche senza tuttavia trovare alcun risultato.

Le accuse e i procedimenti legali

Nonostante l’assenza del cadavere, nei confronti di Knezevich era stata formalizzata l’accusa federale di omicidio. Parallelamente, la famiglia di Ana Maria aveva intentato una causa civile per «morte ingiusta», trasferimenti fraudolenti e sofferenza estrema, coinvolgendo anche il fratello, la madre e un cugino dell’imprenditore serbo. Gli accusati erano sospettati di aver aiutato Knezevich nella copertura del delitto o nell’occultamento delle prove.

Con la morte di David Knezevich, il procedimento penale a suo carico si chiude definitivamente, ma restano aperte le indagini sugli eventuali complici. Il mistero della scomparsa di Ana Maria Henao, intanto, rimane senza una soluzione definitiva.

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Medvedev: Zelensky farà una triste fine, abbattere regime Kiev

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Il numero due del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev, ha dichiarato che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “finirà nel modo più triste” e che le truppe russe devono concludere “con una vittoria” l’invasione dell’Ucraina e “distruggere” quello che lui, seguendo la definizione della propaganda del Cremlino, definisce “il regime neonazista di Kiev”. Lo riporta l’agenzia di stampa ufficiale russa Ria Novosti.

“Quando il capo di uno Stato, anche uno così particolare come l’Ucraina, e un tipo così patologico come questo personaggio, si vanta di queste cose, significa solo una cosa: che alla fine anche lui finirà nel modo più triste”, ha detto Medvedev, commentando la notizia, ripresa anche dalla Reuters, secondo cui Zelensky avrebbe elogiato l’intelligence ucraina per l’uccisione di alcuni alti ufficiali russi ma senza riferimenti a casi specifici.

“Innanzitutto, dobbiamo completare l’operazione militare speciale in Ucraina con una vittoria e dobbiamo distruggere il regime neonazista di Kiev, ma il regime, non lo Stato, il cui destino è una questione del futuro”, ha detto poi l’ex presidente russo usando la dicitura “operazione militare speciale” con cui il Cremlino indica l’aggressione militare contro l’Ucraina. La Russia di Putin ha invaso l’Ucraina sostenendo di volerla “denazificare”, ma la tesi di Mosca secondo cui il governo di Kiev sarebbe “neonazista” è considerata del tutto infondata dalla stragrande maggioranza degli analisti politici.

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Ischia ritrova la sua giustizia: il Tribunale torna operativo con le udienze del giovedì

Il Tribunale di Ischia riapre le udienze del giovedì grazie al decreto del presidente vicario Scoppa. Una vittoria per avvocati, cittadini e istituzioni locali dopo mesi di proteste.

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Una notizia attesa con speranza dai più ottimisti e insperata da altri, ma che segna un passaggio decisivo nella lunga battaglia per la tutela del presidio giudiziario dell’isola verde. Il presidente vicario del Tribunale di Napoli, Gianpiero Scoppa, ha disposto il ripristino delle udienze a Ischia, restituendo piena funzionalità alla sezione distaccata locale.

Una decisione che accoglie le istanze dell’Associazione Forense dell’isola di Ischia e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, protagonisti di una mobilitazione decisa culminata nello sciopero del 5 aprile scorso e nel ricorso al TAR presentato con il sostegno dei sei Comuni isolani.

Il decreto del giudice Scoppa: ritorno alla normalità

Il provvedimento firmato da Scoppa prevede l’assegnazione provvisoria del giudice onorario Ciro Ravenna al settore civile della Sezione distaccata di Ischia, in qualità di Giudice dell’Esecuzione, con il compito di gestire le udienze precedentemente seguite dalla giudice Criscuolo.

Nel decreto si evidenzia che Ravenna, rientrato in servizio nel 2025 dopo un incarico all’Ufficio del Giudice di Pace, aveva espressamente chiesto di essere destinato a una sezione civile in virtù della propria formazione professionale. La sua collocazione a Ischia rappresenta dunque una soluzione funzionale per sopperire alle gravi carenze d’organico che affliggono il Tribunale isolano.

Il decreto ha effetto immediato, garantendo il ripristino delle udienze del giovedì e segnando una svolta dopo mesi di polemiche, disservizi e disagi per professionisti, cittadini, testimoni e imputati costretti agli spostamenti sulla terraferma.

La soddisfazione dell’Assoforense e dell’avvocatura

«Quello ottenuto è un risultato importante», ha commentato Alberto Morelli, presidente dell’Assoforense Ischia. «Scoppa aveva già dimostrato attenzione e sensibilità alla nostra situazione. Ora arriva un passo concreto che ridà dignità alla nostra professione e servizio alla cittadinanza».

Anche il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli esprime soddisfazione per l’esito di un lavoro di sinergia tra istituzioni e avvocati, premiato da un risultato tangibile dopo mesi di diplomazia e pressione istituzionale.

La battaglia continua: si attende la stabilizzazione definitiva

Sebbene l’assegnazione di Ravenna rappresenti una boccata d’ossigeno, resta ancora aperta la questione della stabilizzazione definitiva del Tribunale di Ischia, promessa più volte dal Governo centrale ma mai concretamente attuata.

Il clima ora è più disteso, ma solo un atto definitivo potrà chiudere quella che gli avvocati dell’isola definiscono «una lunga parentesi di giustizia precaria».

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