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Esteri

Al Labour una valanga di seggi, non di voti

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La valanga di seggi c’è stata, quella di voti no. E’ l’altra faccia della luna dietro il trionfo elettorale britannico – indiscutibile nella sostanza degli equilibri di potere – incassato dal Labour in salsa moderata di Keir Starmer. A sottolinearlo fin dalla notte dello scrutinio (“una sconfitta Tory, più che una vittoria laburista”, le sue parole), è stato per primo il professor John Curtice, guru dei sondaggi e dell’analisi dei flussi di consenso ed analista di riferimento della Bbc. Ma a certificarlo sono soprattutto i numeri definitivi dello spoglio. Numeri che confermano il partito di Starmer a un soffio dal suo record storico dei 418 seggi della super maggioranza conquistata da Tony Blair nel 1997; ma in termini di suffragi lo inchiodano poco oltre il 33%, non molto meglio del 32 e spiccioli che nel 2019 suggellò la disfatta subita sotto la leadership di sinistra-sinistra di Jeremy Corbyn.

E addirittura con un perdita di oltre mezzo milione di voti in cifra assoluta (9,6 milioni contro 10,2), complice un’affluenza precipitata ai minimi dal 2005, attorno ad appena il 60% degli aventi diritto. A distanza persino siderale se il paragone lo si fa con il 2017 e con il 40% (e quasi 13 milioni di voti) valso allo stesso Labour di Corbyn soltanto un ‘hung Parliament’ con meno di 300 seggi. L’arcano si spiega con il sistema maggioritario uninominale del ‘first past the post’, in base al quale conta solo arrivare primi collegio per collegio. Sistema secolare che, a determinate condizioni, come nel caso dell’allineamento degli astri del 4 luglio, può finire per garantire il controllo di due terzi della Camera dei Comuni con non più di un terzo dei suffragi dei votanti e un quarto scarso del corpo elettorale.

Un jackpot reso possibile in questo caso dal tracollo di 20 punti dei conservatori di Rishi Sunak, fermatisi sotto il 24% (peraltro un po’ meno peggio di quanto vaticinato dai sondaggi della vigilia) e soprattutto ad appena 120 seggi o poco più. Un disastro senza precedenti in 190 anni segnato dalla perdita a favore del Labour, ma anche dei centristi liberaldemocratici, di decine di collegi; ma dietro il quale pesa soprattutto l’impennata della concorrenza a destra dei populisti di Reform UK di Nigel Farage, terza forza nazionale in termini di voti (seppure ferma a 4 seggi, comunque suo record storico).

A sinistra, viceversa, il Labour può dire di aver guadagnato davvero tanti consensi rispetto al 2019 solo in Scozia, grazie alla debacle degli indipendentisti dell’Snp figlia dei loro scandali locali. Mentre è in affanno, specie in Inghilterra, in tutte le aree a forte presenza di britannici di radici musulmane, molti dei quali indignati per la mancata condanna netta di sir Keir dei raid israeliani sulla Striscia di Gaza.

Con la conseguente perdita di seggi in non poche ex roccaforti (ad esempio Leicester); o il salvataggio per un pugno di voti di circoscrizioni sulla carta blindate come a Birmingham, dove Jess Phillips, paladina dei diritti delle donne, è stata fischiata persino a margine della proclamazione e ha denunciato la campagna appena conclusa come “la peggiore della sua vita” in quanto donna. Il tutto a beneficio di rivali più radicali o progressisti: dai Verdi (che salgono ai loro massimi, con oltre il 6% e 4 deputati eletti), a 6 indipendenti fra cui spiccano vari filo-palestinesi dichiarati e, in primis, lo stesso Corbyn. Rieletto nel suo feudo quarantennale di Islington North, dove ha umiliato il candidato starmeriano: in barba all’espulsione subita dal successore (e suo ex ministro ombra della Brexit) per la polemica sulla mancata autocritica sulle infiltrazioni dell’antisemitismo nel Labour.

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Esteri

Rubio a Lavrov: è ora di mettere fine a guerra senza senso

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Il segretario di Stato Marco Rubio ha detto al ministro degli esteri russo Serghei Lavrov che è il momento di mettere fine alla “guerra senza senso” in Ucraina. Rubio, in una recente intervista, ha definito la settimana in corso “cruciale” per capire le intenzioni di Russia e Ucraina, e per gli Stati Uniti per decidere se continuare o meno lo sforzo per la pace.

Nel corso del colloquio telefonico con Lavrov, Rubio ha messo in evidenza che “gli Stati Uniti sono seriamente intenzionati a porre fine a questa guerra insensata”, riferisce il Dipartimento di stato. Il segretario di stato ha quindi discusso con il ministro degli esteri russo dei “prossimi passi nelle trattative di pace e della necessità di porre fine alla guerra ora”.

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La squadra di Merz, il paladino di Kiev agli Esteri

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L’era Merkel è lontana e anche la politica, per molti troppo prudente, di Olaf Scholz è alle spalle. Friedrich Merz ufficializza la squadra dei futuri ministri conservatori e punta, per tirare la Germania fuori dalla crisi, su nomi nuovi: due top manager per l’economia e la digitalizzazione del Paese, un mastino bavarese agli Interni per la svolta sull’immigrazione, e un esperto di Difesa versato in diplomazia, fautore del massimo sostegno a Kiev, al ministero degli Esteri. Con queste scelte il cancelliere in pectore, che dovrebbe essere eletto al Bundestag il 6 maggio, si è detto pronto ad affrontare le sfide dei prossimi anni e le molte incognite che assillano un’Europa “minacciata” e incerta del futuro.

“Il supporto all’Ucraina è necessario per preservare la pace e la libertà in Germania”, ha scandito prendendo la parola al piccolo congresso di partito dei democristiani, che hanno approvato a Berlino il contratto di coalizione firmato coi socialdemocratici di Lars Klingbeil. “Consideriamo il nostro aiuto all’Ucraina come uno sforzo congiunto di europei e americani dalla parte dell’Ucraina. Non siamo parte in causa in questa guerra e non vogliamo diventarlo, ma non siamo neanche terzi estranei o mediatori tra i fronti. Non ci devono essere dubbi sulla nostra posizione: senza se e senza ma, dalla parte di questo paese attaccato”, ha incalzato ribadendo il rifiuto di una pace imposta. Merz ha anche ribadito di non volere alcuna guerra commerciale con gli Usa, e di esser pronto a spendersi “con ogni forza per un mercato aperto”. Sul fronte migranti, ha assicurato la svolta, che dovrà strappare la Germania alla seduzione dell’ultradestra: “Dal giorno numero uno proteggeremo al meglio le nostre frontiere, con respingimenti massicci”.

Per realizzare questi piani, Merz ha scelto Johann Wadephul, 62 anni, come ministro degli Esteri. L’uomo della Cdu che in passato ha spinto per un sostegno pieno a Kiev, contestando le remore di Scholz e spingendo ad esempio per la consegna dei Taurus, che il Kanzler uscente ha sempre negato a Zelensky. Ex riservista dell’esercito, giurista e poi deputato dal 2009, è un fidatissimo di Merz, e viene ritenuto un grosso esperto di difesa: avrebbe potuto essere anche ministro del settore che andrà invece all’SPD e resterà a Boris Pistorius. Agli Interni sarà nominato il noto volto della Csu bavarese Alexander Dobrindt, “il nostro uomo di punta a Berlino per la questione centrale della svolta sui migranti”, nelle parole di Markus Soeder che ha presentato i tre ministri in quota del suo partito.

La stampa tedesca ha accolto con interesse anche le nomine della brandeburghese Katherina Reiche, 51 anni, all’Economia – top manager del settore energetico, e proveniente dall’est – e quella di Karsten Wildberger, 55 anni, ceo di Mediamarkt e Saturn, colossi dell’elettronica, designato alla Digitalizzazione all’Ammodernamento dello Stato. All’Istruzione andrà Karen Prien, dello Schleswig-Holstein, prima ebrea a ricoprire un incarico da ministra, secondo quanto ha scritto Stern. In squadra ci sono poi Patrick Schnieder ai Trasporti, Nina Warken alla Salute, Thorsten Frei come ministro per la Cancelleria e l’editore conservatore Wolfram Weimer come ministro di Stato alla Cultura. Mentre è stato ancora Soeder a ostentare la scelta del suo partito per la ministra alla Ricerca e all’Aerospazio, Dorothea Baer, e il ministero dell’Alimentazione Agricoltura e Patria: “Dopo un vegano verde arriva un macellaio nero”. Basta col tofu, ha ironizzato il populista bavarese. Il governo di Merz sarà completo soltanto quando i socialdemocratici ufficializzeranno i loro nomi, il 5 maggio. Il partito di Klingbeil attende il referendum della base, che dovrà pronunciarsi sul patto con Merz: il risultato è atteso il 30 aprile. E solo se sarà positivo Merz sarà eletto cancelliere al Bundestag, il 6 maggio. Ma all’Eliseo non hanno dubbi: è stata già annunciata una sua visita a Parigi il 7.

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Blackout in Spagna e Portogallo: indagini in corso, ipotesi anche di un cyberattacco

Spagna e Portogallo colpiti da un blackout elettrico: disagi nei trasporti e nelle comunicazioni. Il governo indaga, possibile anche un cyberattacco.

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Poco dopo le 12 di oggi, migliaia di cittadini in tutta la Spagna continentale e in Portogallo sono stati colpiti da un improvviso blackout elettrico. Come riportato dal quotidiano “El País”, il governo spagnolo ha attivato diversi team tecnici di vari ministeri per indagare sulle cause dell’interruzione, anche se al momento non esiste ancora una spiegazione ufficiale.

Secondo quanto riferito da Red Eléctrica, l’azienda pubblica responsabile della gestione del sistema elettrico nazionale, si sta lavorando intensamente per ripristinare la fornitura di energia. Anche l’Istituto nazionale di cybersicurezza è coinvolto nelle analisi, valutando la possibilità che il blackout possa essere stato causato da un attacco informatico, sebbene non ci siano ancora conferme in tal senso.

Reti di comunicazione e trasporti in tilt

Il blackout ha avuto ripercussioni su diversi settori strategici: sono stati colpiti reti di comunicazione, aeroporti e linee ferroviarie ad alta velocità in Spagna e Portogallo. Problemi sono stati segnalati anche nella gestione del traffico stradale, con numerosi semafori fuori servizio, oltre che in centri commerciali e strutture pubbliche.

La ministra spagnola della Transizione ecologica, Sara Aagesen, ha fatto visita al centro di controllo di Red Eléctrica per seguire da vicino le operazioni di ripristino. L’azienda ha attivato un piano di emergenza che prevede il graduale ritorno alla normalità, iniziando dal nord e dal sud della penisola iberica.

Coinvolta anche la Francia meridionale

Le interruzioni non hanno riguardato esclusivamente la Spagna e il Portogallo: alcune aree del sud della Francia, interconnesse con la rete elettrica spagnola, hanno subito disagi simili. Le autorità francesi stanno monitorando attentamente la situazione in coordinamento con le controparti spagnole.

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