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Cronache

Adozioni, meccanismi farraginosi rendono difficile la vita a coppie desiderose di bambini

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Dici adozioni ed entri in un campo minato, complicato, difficile, impossibile, talvolta opaco. Costi non sempre accettabili, tempi mai certi, difficoltà con le legislazioni dei Paesi stranieri dove ci sono bambini adottabili. C’è sempre grande incertezza nel mondo delle adozioni. Di questo e altro ancora si è discusso a Firenze. Laura Laera, vicepresidente della Commissione adozioni internazionali (incarico scaduto e non ancora riconfermato), ha presentato i dati  nella storica cornice dell’Istituto degli Innocenti  davanti a una platea mai così numerosa di operatori, esperti arrivati da ogni parte d’ Italia e da molti Paesi esteri, famiglie e genitori.

Dopo anni di emorragia, nel 2018 si sta registrando una sostanziale stabilizzazione del numero di coppie adottive e di bimbi adottati nel nostro Paese: tra il primo semestre dell’anno scorso e il primo di quest’anno si nota una diminuzione in termini assoluti di soli 11 casi di coppie adottive (erano 512 nel 2017, sono 501 nel 2018).


Andamento che si conferma anche tra i minorenni entrati nel nostro Paese: erano 617 nel 2017, sono 603 nel 2018. Non c’ è da gioire. I dati hanno registrato una crisi su scala globale, con le adozioni internazionali che dal 1995 al 2016 sono passate nel mondo da 22mila e 11mila (in Italia, tanto per fare un raffronto, nel 2010 erano entrati oltre 4mila bambini). E questo a fronte di un numero di minori in abbandono che non diminuisce affatto: resta fermo, ed è impressionante, a quasi 3 milioni. Ma il mondo è cambiato – le normative più restrittive hanno “filtrato” le pratiche, molti Paesi si sono chiusi, molti altri hanno aumentato il numero di adozioni interne, relazioni familiari e tendenze culturali sono cambiate – e allora, forse, è il momento di cambiare anche le adozioni.
“Quello che come Cai stiamo facendo è riallacciare rapporti con molti Paesi d’origine – ha spiegato Laera -. Stiamo sottoscrivendo un accordo con la Slovacchia, il Benin si è attrezzato e da ottobre è operativo, con la Cambogia abbiamo ripreso i rapporti e giungeremo probabilmente alla sottoscrizione dell’accordo bilaterale già a inizio 2019”. “Serve provare a immaginare – ha continuato Laera -, nuove formule, più flessibilità”. L’ esempio della vicepresidente della Cai è quello della Bielorussia, da cui per altro nel 2018 sono stati adottati 140 bambini: “Molti di questi percorsi adottivi sono cominciati nella formula dei soggiorni terapeutici». I bambini, cioè, venivano ospitati in Italia per dei periodi brevi e proprio questo strumento, che con l’adozione non c’entra nulla dal punto di vista giuridico, “ha poi portato invece alla costruzione di percorsi adottivi di successo”.
È una suggestione. A cui gli enti aggiungono le loro proposte: da Aibi al Ciai fino a Cifa c’ è chi spinge sulle cosiddette “vacanze preadottive” (vere e proprie vacanze che i bambini adottabili potrebbero passare in Italia insieme a una coppia che ha già in mano l’idoneità all’ adozione), chi sull’affido internazionale, chi ancora sull’adozione aperta (che prevede non siano interrotti i rapporti tra adottato e figure parentali originarie). C’è anche chi ha paura, chi teme che spingere l’acceleratore su questa commistione possa aprire a pratiche illegali, chi insiste sulla formazione delle famiglie.
Uno spunto decisivo lo offre la relazione dettagliata di Stefania Congia, dirigente della Divisione di Politiche di integrazione sociale e lavorativa dei migranti e tutela dei minori stranieri presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, facendo il punto sui minori accolti temporaneamente in Italia nell’ambito dei programmi solidaristici di accoglienza (per intenderci quelli nati negli anni Novanta sull’ onda dell’ incidente di Chernobyl).

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Cronache

Carmela Quaranta, strangolata in casa la sera di Pasqua: indagato il compagno per omicidio volontario

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È stata un’amica preoccupata, che non riusciva a contattarla da ore, a dare l’allarme: Carmela Quaranta, 42 anni, operatrice sanitaria e madre di due figlie, è stata trovata senza vita sul pavimento della sua camera da letto, la sera di Pasqua, nella sua abitazione di via Trieste a Mercato San Severino, piccolo centro in provincia di Salerno.

I primi sospetti e il cambio di accusa

Inizialmente si era ipotizzato un malore o un’overdose, ipotesi che aveva portato a una prima contestazione al compagno, un uomo di 56 anni, per morte come conseguenza di altro reato. Ma un esame più attento del medico legale ha svelato segni di strangolamento sul collo della vittima, e questo ha portato alla modifica dell’imputazione: ora l’uomo è indagato per omicidio volontario, furto (il cellulare di Carmela è scomparso) e detenzione di stupefacenti (sono stati trovati alcuni grammi di droga in casa).

Le indagini e i sospetti

L’inchiesta è coordinata dalla Procura di Nocera Inferiore. I carabinieri del Ris stanno passando al setaccio l’abitazione, palmo a palmo, per raccogliere tracce, impronte, elementi biologici e ogni dettaglio utile a chiarire cosa sia accaduto nelle ultime ore di vita di Carmela. Una seconda ispezione tecnica dell’abitazione è prevista per domani.

Il cerchio degli investigatori si è stretto attorno alle persone più vicine alla donna: l’ex marito e il compagno, con cui aveva una relazione da circa un anno, sono stati entrambi interrogati. Le risposte fornite e le discrepanze negli alibihanno portato gli inquirenti ad approfondire in particolare la posizione del 56enne.

Il profilo della vittima

Carmela viene descritta da amici e conoscenti come una donna solare, legatissima alle sue figlie, piena di energia e voglia di vivere. Lavorava in più ambiti, collaborava con un’azienda del settore nutrizionale, la stessa in cui operava anche il compagno indagato.

All’inizio la relazione sembrava felice: nel giugno 2024 Carmela aveva pubblicato una foto con lui sui social. Ma col passare dei mesi, i rapporti si erano incrinati. In particolare, un post pubblicato da lui a febbraio — una frase volgare accompagnata da un teschio e tibie incrociate — oggi assume una luce inquietante.

La ricerca della verità

Carmela si era trasferita da poco a Mercato San Severino, dopo aver vissuto a lungo a Nocera Inferiore. Domani, nella sua casa, torneranno ancora una volta i carabinieri del Ris di Roma. Gli investigatori lavorano per ricostruire le ultime ore di Carmela, cercando riscontri oggettivi che possano dare una svolta al caso. Il mistero della mamma trovata senza vita nel giorno di Pasqua attende ancora risposte.

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Misterbianco, madre lancia la figlia dal terrazzo: arrestata per omicidio aggravato

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Una tragedia sconvolgente ha colpito la comunità di Misterbianco, nell’hinterland di Catania. Anna (nome di fantasia), 40 anni, ha lanciato nel vuoto la figlia di appena sette mesi, Maria Rosa, dal terzo piano della palazzina in cui viveva con la famiglia. La bimba è morta sul colpo, sotto gli occhi disperati del padre, che ha tentato il suicidio subito dopo aver visto la scena.

Una madre fragile, ma mai violenta

Secondo i familiari, Anna era affetta da una profonda depressione post-parto. Dopo la nascita di Maria Rosa, non era mai riuscita ad accettarla, a differenza del primogenito di 7 anni, verso cui nutriva un legame totalizzante. Eppure, nonostante l’evidente disagio psicologico, non era mai stata violenta con la piccola.

Una tragedia inaspettata

Al momento del gesto, in casa erano presenti il marito, la suocera e il figlio maggiore. Nessuno, raccontano, si aspettava una simile esplosione di follia. «A volte era nervosa, ma mai avremmo immaginato che potesse fare una cosa simile», ha dichiarato una cugina. Anche il sindaco di Misterbianco, Marco Corsaro, ha espresso sgomento: «Siamo senza parole. Il compagno è una persona perbene, le è sempre stato accanto».

Il tentativo di suicidio del padre e l’arresto della donna

Dopo aver assistito alla caduta della figlia, l’uomo si è lanciato dalla stessa terrazza nel tentativo di togliersi la vita. Trasportato in ospedale in stato di choc, è ora ricoverato ma fuori pericolo. La donna è stata arrestata dai carabinieridella Tenenza di Misterbianco con l’accusa di omicidio aggravato.

Le fragilità psichiche e il vuoto della prevenzione

Anna era sotto amministrazione di sostegno, decisione presa dal Tribunale di Catania, ed era seguita dai servizi di salute mentale dell’Asp etnea. In passato era stata sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio. Tre mesi fa aveva partecipato a un’udienza davanti al giudice, accompagnata da un legale amico di famiglia. Aveva risposto “in modo impeccabile”, riuscendo a nascondere lo stato di alterazione, tanto che nessun provvedimento fu adottato.

Il padre della donna, un medico molto noto che vive fuori dalla Sicilia, era stato nominato come amministratore di sostegno. Tuttavia, nessuno tra i familiari aveva percepito segnali chiari del crollo psichico in corso. Per precauzione, la suocera si era trasferita in casa per stare vicino alla nuora e ai nipotini.

Una comunità sotto choc

La morte della piccola Maria Rosa ha lasciato sgomenta un’intera comunità. Le indagini proseguono per ricostruire ogni dettaglio e chiarire le responsabilità della rete di supporto. In attesa dell’esito degli esami e delle valutazioni psichiatriche, resta il dolore immenso per una vita spezzata e il peso di domande a cui, forse, sarà difficile dare risposte.

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Oppido Mamertina, denuncia gli stupri subiti da minorenne: la zia la frusta per mesi. Arrestata

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Ha trovato il coraggio di denunciare le violenze sessuali di gruppo subite quando era ancora minorenne, indicando i suoi aggressori: giovani legati alle cosche di Seminara, in provincia di Reggio Calabria. Ma la scelta di rompere il silenzio ha scatenato contro di lei la rabbia della sua stessa famiglia.

Una giovane di Oppido Mamertina, oggi maggiorenne, è stata punita con frustate per mesi dalla zia 78enne, ora agli arresti domiciliari su disposizione del gip del Tribunale di Palmi. La donna l’ha segregata in una stanza, tappandole la bocca con un foulard per impedirle di urlare, e l’ha colpita con una corda, come forma di “punizione” per aver denunciato.

La denuncia “inimica” la ’ndrangheta

Dalle intercettazioni ambientali emerge che la zia avrebbe voluto punirla perché la sua testimonianza aveva compromesso i rapporti con le famiglie di ’ndrangheta del territorio. La Procura aveva chiesto anche l’arresto del cugino 47enne, figlio dell’anziana, ma il giudice ha disposto solo il divieto di avvicinamento.

Sei condanne e un nuovo processo

La ragazza è una delle due minorenni abusate dal branco. A marzo scorso, sei dei responsabili sono stati condannati a pene comprese tra 5 e 13 anni. Un secondo processo per altri imputati, all’epoca minorenni, inizierà il 15 maggio davanti al Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria.

I tentativi di zittirla: psichiatra compiacente e istigazione al suicidio

Dopo la denuncia, la famiglia ha fatto di tutto per farla ritrattare. Avevano persino fissato un incontro con uno psichiatra per farla dichiarare incapace. Due suoi fratelli, oggi in carcere, l’avevano addirittura spinta, insieme alla madre che la difendeva, a buttarsi dalla finestra per “lavare la vergogna” inflitta alla famiglia.

La verità emersa dalle intercettazioni

Le indagini sono partite per caso, grazie a intercettazioni telefoniche legate ad altri reati commessi dagli stessi aggressori. La prima vittima identificata aveva denunciato, dando forza e ispirazione anche alla seconda ragazza, che oggi lotta non solo contro i suoi aggressori, ma anche contro chi avrebbe dovuto proteggerla.

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