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Addio a Gorbaciov, il leader della distensione

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“Questa sera, dopo una grave e prolungata malattia, Mikhail Sergeyevich Gorbaciov e’ morto”. Poche, scarne parole, per sancire la definitiva uscita di scena dell’uomo che come pochi altri ha segnato i destini dell’umanita’ sul finire del Ventesimo secolo, con conseguenze che in qualche modo continuano a ripercuotersi sul drammatico momento che l’Europa sta vivendo, con il nuovo scontro fra la Russia e l’Occidente. Il comunicato emesso in nottata dalla Clinica ospedaliera centrale di Mosca da’ conto della scomparsa dell’ultimo leader sovietico, ma la sua uscita dalla scena politica e anche dalla memoria delle nuove generazioni, in Russia cosi’ come all’estero, era cominciata da decenni, ed era diventata quasi totale negli ultimi due anni. Da quando cioe’ Gorbaciov, ormai un fragile ultranovantenne malato, era stato costretto ad un pellegrinaggio da un ospedale all’altro, e poi al quasi totale isolamento anche a causa della pandemia da Covid. L’ultima volta che aveva fatto sentire, indirettamente, la sua voce, era stato all’inizio di marzo, due settimane dopo quella che a Mosca e’ chiamata l’operazione militare speciale in Ucraina. A riferire le sue parole era stato il Premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, che lo aveva visitato in clinica. “Non sta bene – aveva detto Muratov – ma mi ha detto che bisogna fare quanto possibile per fermare la minaccia di una guerra nucleare”. Era ancora quella, dunque, la preoccupazione dell’uomo che della distensione con l’Occidente, insieme con le riforme interne all’Urss, aveva fatto la bussola della sua azione di governo, dopo essere arrivato nel 1985 alla guida di un gigante malato, in cui il velo sottile dell’ideologia non poteva piu’ nascondere gli sconquassi di un sistema minato alle fondamenta. La sua ricerca di migliori relazioni con gli Usa e l’Europa occidentale, e gli accordi per la riduzione dell’arsenale nucleare con il presidente Usa Ronald Reagan, lo avevano reso un idolo dei governi e delle opinioni pubbliche straniere, oltre che fargli ottenere il Premio Nobel per la pace. In Occidente avevano preso a chiamarlo Gorby e a lui era stata dedicata una canzone da discoteca. Al suo fianco, a confermare la sua immagine rassicurante, era sempre presente la moglie Raisa, popolare quanto lui. E accanto a lei l’ex leader verra’ sepolto, come lasciato scritto nel testamento, nel cimitero di Novo-Dyevitchiye. Ma sul piano interno Gorbaciov non ha avuto altrettanta fortuna. Per molti russi era l’uomo che proprio con le sue riforme aveva portato al tracollo non solo di un regime repressivo, ma anche di un Paese che proprio sotto l’Urss aveva raggiunto la sua massima potenza e poi si era dissolto per lasciare spazio all’avvento della Russia ultraliberista dell’era Eltsin, quando le condizioni economiche di gran parte della popolazione si erano deteriorate a livelli drammatici e l’economia era finita in mano ad affaristi senza scrupoli e gruppi criminali. I sondaggi condotti fino a due anni fa dal Centro Levada, un istituto statistico russo indipendente, davano Gorbaciov tra gli ultimi posti nella classifica dei personaggi russi piu’ ammirati in patria mentre svettava in cima alla graduatoria Stalin. Potere della nostalgia. Proprio il senso di disfatta e la paura del caos generata in quegli anni sono stati tra i motivi che hanno consentito a Vladimir Putin di raccogliere vasti consensi, presentandosi come il leader che ha saputo riportare ordine nelle strade, benessere economico e un nuovo orgoglio per la grandezza russa. Almeno fino all’inizio dell’operazione in Ucraina, che ha portato al ritorno della guerra fredda che Gorbaciov aveva fatto di tutto per finire. Putin e’ stato il primo a reagire, inviando alla famiglia del defunto “le piu’ profonde condoglianze”. Anche a lui l’ultimo leader sovietico lascia in eredita’ il suo monito: “Fare di tutto per evitare un conflitto nucleare”.

 

Gorbaciov e il Nobel per la Pace per la perestroika

“Il suo ruolo guida nel processo di pace”, il contributo ai cambiamenti nelle relazioni tra Est e Ovest, e soprattutto quella “maggiore apertura portata nella societa’ sovietica che ha contribuito a promuovere la fiducia internazionale”. Queste le motivazioni con cui il Comitato per il Nobel per la pace decise di insignire Mikhail Gorbaciov il 15 ottobre 1990, quando era presidente dell’Urss. “Negli ultimi anni – scrisse il Comitato nel comunicato – vi sono stati fondamentali cambiamenti nelle relazioni tra Est e Ovest. Il confronto e’ stato sostituito da negoziati. Vecchi Stati nazionali europei hanno riconquistato la liberta’. La corsa agli armamenti e’ rallentata e vediamo un processo definito e attivo nella direzione del controllo degli armamenti e del disarmo. Vari conflitti regionali sono stati risolti e si sono infine avvicinati a soluzione. Le Nazioni Unite hanno cominciato a svolgere il ruolo che era stato in origine pensato per loro in una comunita’ internazionale governata dalla legge”. “Questi cambiamenti storici dipendono da vari fattori, ma nel 1990 il comitato per il Nobel vuole onorare Mikhail Gorbaciov per i suoi numerosi e decisivi contribuiti”, si legge infine nella motivazione, che aggiunge: “La maggiore apertura da lui portata nella societa’ sovietica ha contribuito a promuovere la fiducia internazionale”. “In questi momenti e’ difficile trovare le parole: sono commosso”, fu la prima reazione del presidente sovietico rispondendo alle domande dei giornalisti al Cremlino. Gorbaciov sottolineo’ di considerare il Premio “non da un punto di vista personale, ma nell’ambito dell’enorme significato della perestroika”. “Penso che abbia avuto un peso determinante nella decisione sull’assegnazione del Premio”, disse ammettendo che “quando cominciammo la nostra perestroika sapevamo che avrebbe avuto un significato enorme per tutti i Paesi”. Gorbaciov non pote’ recarsi a Oslo il 10 dicembre di quell’anno per ritirare il premio – una medaglia, un diploma e un assegno di quattro milioni di corone svedesi di allora che destino’ all’assistenza ai bambini malati – a causa della crisi interna all’Unione Sovietica e lo ritiro’ solo il 4 giugno del 1991, pochi mesi prima del suo crollo. Le reazioni al Nobel per la pace furono molto piu’ entusiaste in Occidente che non in Urss. “Il presidente dell’Urss e’ stato una coraggiosa forza di pace nel mondo e desidero, anche a nome del popolo americano, congratularmi con lui per l’assegnazione del Premio Nobel per la pace. Gli Stati Uniti continueranno a lavorare con l’Unione Sovietica per promuovere la pace a livello internazionale e regionale”, disse l’allora capo della Casa Bianca George Bush.

 

Gorbaciov e ‘i giorni bui’ della fine dell’Urss

Se fosse stata riformata in tempo, l’Unione Sovietica sarebbe potuta sopravvivere come Unione di Stati sovrani, ma ormai era troppo tardi. Era il 25 dicembre del 2021, meno di un anno fa, quando Mikhail Gorbaciov, ormai malato da tempo, consegno’ quest’ultima riflessione pubblica alla Tass, nel trentesimo anniversario della dissoluzione dell’impero sovietico. Gorbaciov si dimise da presidente dell’Urss il 25 dicembre del 1991. La bandiera rossa sopra il Cremlino fu ammainata e sostituita con il tricolore russo. L’Unione Sovietica cesso’ di esistere lo stesso giorno, anche se formalmente si dissolse il 26 dicembre per ordine del Soviet Supremo. “Furono giorni bui per l’Unione Sovietica, per la Russia e anche per me. Ma non avevo il diritto di agire diversamente”, ricordo’ Gorbaciov, spiegando anche perche’ non uso’ mai la forza per tentare di tenere insieme l’impero: “In primo luogo perche’ avrei smesso di essere me stesso. E poi una decisione del genere avrebbe innescato una guerra civile gravissima e dalle conseguenze imprevedibili. Ero certo che questo scenario dovesse essere evitato a tutti i costi”. “E’ certo comunque – continuo’ Gorbaciov – che il Paese sarebbe potuto sopravvivere anche dopo il tentativo di colpo di stato dell’agosto 1991 come Unione di Stati sovrani. Ma fin dall’inizio sottovalutammo la portata e la profondita’ dei problemi nelle relazioni interetniche e nei rapporti tra il centro e le repubbliche. Ci e’ voluto troppo tempo per capire che l’Unione aveva bisogno di rinnovamento”. Gorbaciov spiego’ che in quei giorni confusi l’obiettivo delle autorita’ sovietiche era “preservare l’Unione e creare una vera federazione con reale sovranita’ per le repubbliche, che avrebbero delegato parte dei loro poteri al centro. Sicurezza, difesa, rete dei trasporti, moneta e diritti umani dovevano rimanere nelle mani delle autorita’ centrali in base alla bozza del trattato della nuova Unione. Sono certo che fosse un’opzione praticabile e che la maggior parte delle repubbliche l’avrebbe sostenuta, ma il tentato golpe travolse questa possibilita’”. “Anche dopo il colpo di stato comunque, quando le repubbliche proclamarono la loro indipendenza e i poteri del Cremlino furono gravemente indeboliti, ero convinto che l’Unione potesse essere preservata. Per questo proposi l’Unione di Stati sovrani”, disse Gorbaciov, ribadendo che un soggetto del genere sarebbe diventato una confederazione con le repubbliche costituenti che avrebbero goduto di poteri ancora piu’ ampi. “Per prima cosa, sarebbero diventati membri delle Nazioni Unite, mentre l’Unione avrebbe mantenuto il seggio nel Consiglio di sicurezza. Le forze armate e le armi nucleari sarebbero rimaste sotto un unico comando. Sono certo che sarebbe stato molto meglio di quello che e’ seguito al crollo dell’Unione Sovietica”.

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La Pasqua più difficile per Kiev, i russi avanzano

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“Gli ucraini si inginocchiano solo in preghiera. E mai davanti agli invasori”. Zelensky prova con le parole a dare vigore alla resistenza ucraina nella terza Pasqua ortodossa di guerra, la più difficile per il Paese in chiara difficoltà sul terreno. “Noi crediamo che Dio abbia un gallone con la bandiera ucraina sulla spalla. E con un tale alleato, la vita sconfiggerà sicuramente la morte”, scandisce convinto Zelensky in un video che lo ritrae in vyshyvanka, la camicia ricamata tipica dei costumi nazionali ucraini, dalla cattedrale di Santa Sofia.

Ma la risurrezione di Kiev tarda ad arrivare: le speranze sono riposte sulle tanto attese armi americane per dare nuova forza alle truppe al fronte. Una forza necessaria anche a guadagnare una posizione più vantaggiosa per negoziare – prima o poi – la pace. Il vertice in programma in Svizzera a giugno servirà a Zelensky per unire gli alleati e fare fronte comune contro Mosca, guardando con particolare interesse alla Cina di Xi Jinping, che intanto è arrivato a Parigi, prima tappa del suo tour europeo. Con l’intenzione – ha affermato il leader cinese in un articolo su Le Figaro – di “lavorare con la Francia e l’intera comunità internazionale per trovare buone strade per risolvere la crisi” in Ucraina.

Domani se ne parlerà all’Eliseo con il presidente francese Emmanuel Macron e la leader della Commissione europea Ursula von der Leyen. Nel frattempo, Vladimir Putin lascia che siano le armi a parlare, mentre partecipa alla funzione pasquale celebrata dal fedelissimo patriarca Kirill alla Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca: le forze russe hanno rivendicato la conquista del villaggio di Ocheretyne, un nodo ferroviario nel Donetsk, a nord-ovest di Avdiivka. L’insediamento è ormai ridotto a un cumulo di macerie, incendi e desolazione, irriconoscibile rispetto alla cittadina che prima della guerra ospitava tremila abitanti. E per le brigate russe restano ormai una trentina di chilometri dalla città di Pokrovsk, centro militare ucraino. Più a nord la situazione non è migliore: le truppe di Mosca stanno assaltando la città chiave di Chasiv Yar, vicino a Bakhmut. Persino per l’intelligence militare ucraina – nelle parole del suo rappresentante Vadym Skibitsky in un’intervista a The Economist – la cattura dell’insediamento è probabilmente solo questione di tempo, ripetendo il tragico destino di Avdiivka.

Che le truppe russe siano avanzate su posizioni vantaggiose nella regione di Donetsk lo ha prima rivendicato il ministero della Difesa di Mosca, e poi confermato l’Isw nei sui aggiornamenti. Il think tank statunitense ha notato il ritiro delle forze ucraine dal nord di Arkhanhelske, a nordovest di Avdiivka. Anche se ipotizza che “le forze ucraine potrebbero aver deciso di scambiare spazio con tempo in attesa dell’arrivo degli aiuti statunitensi in prima linea nelle prossime settimane”. Dal quadro del fronte, emerge chiaramente che l’Ucraina ha poco da festeggiare in questa Pasqua ortodossa, che non ha risparmiato i civili dai bombardamenti sulle città in tutto il Paese. Due persone sono state uccise negli attacchi russi a Pokrovsk, nel Donetsk, mentre una donna è morta in un raid nel Kharkiv. Da parte sua, Kiev ha messo a segno un attacco mirato a un collaborazionista accusato di aver organizzato una camera di tortura per prigionieri ucraini nella Berdyansk occupata, nella regione di Zaporizhzhia. L’intelligence militare ucraina ha infatti riferito che l’uomo, identificato come Yevhen Aleksandrovych Ananievsky, “è stato eliminato” nell’esplosione della sua auto.

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Xi vuole “lavorare con Parigi per risolvere crisi Ucraina”

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In un articolo su Le Figaro all’inizio della sua visita in Francia, Xi Jinping ha espresso l’intenzione di “lavorare con la Francia e l’intera comunità internazionale” per “risolvere la crisi” in Ucraina.

“Ci auguriamo che la pace e la stabilità ritornino rapidamente in Europa e intendiamo lavorare con la Francia e l’intera comunità internazionale per trovare buone strade per risolvere la crisi” in Ucraina, ha scritto il presidente cinese in un articolo sul quotidiano Le Figaro.

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Le accuse del Financial Times: la Russia prepara sabotaggi violenti in Europa

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Mosca sta preparando attentati contro le infrastrutture europee, mettendo a rischio anche la vita di civili. E’ l’allarme lanciato oggi dal Financial Times proprio nel giorno in cui le truppe russe continuano ad avanzare sul campo di battaglia ucraino. Il giornale della City sottolinea che sono state diverse agenzie di intelligence europee ad aver avvisato i loro rispettivi governi sulle nuove minacce russe, anche sulla base di diverse indagini in corso. Secondo le fonti citate dal quotidiano inglese, “la Russia ha già iniziato a preparare più attivamente in segreto attentati dinamitardi e attacchi incendiari per danneggiare le infrastrutture sul territorio europeo, direttamente e indirettamente, senza preoccuparsi apparentemente di causare vittime civili”.

Sebbene gli attacchi degli agenti del Cremlino in Europa siano stati finora sporadici, per il giornale, “aumentano le prove di uno sforzo più aggressivo e concertato”. Una convinzione che trapela da tantissimi esponenti dell’intelligence europea, da quella tedesca a quella inglese, dai servizi francesi, svedesi a quelli cechi e estoni. In particolare, il Ft menziona il capo dei servizi di sicurezza interna tedesca, Thomas Haldenwang, il quale il mese scorso – in una conferenza – ha affermato che il rischio di atti di sabotaggio è “aumentato in modo significativo”.

La Russia, ha aggiunto, ora sembra a suo agio nell’eseguire operazioni sul suolo europeo “con un alto potenziale di danno”. Haldenwang era intervenuto pochi giorni dopo l’arresto di due cittadini russo-tedeschi a Bayreuth, in Baviera, accusati di aver complottato per attaccare siti militari e logistici in Germania per conto della Russia. Un caso simile era accaduto anche nel Regno Unito: a fine aprile, ricorda l’articolo, due uomini sono stati accusati di aver dato fuoco a un magazzino contenente aiuti per l’Ucraina. Per la procura inglese, hanno agito anche loro su mandato di Mosca.

Stessa storia, in Svezia: i servizi di sicurezza di Stoccolma stanno indagando su una serie di recenti deragliamenti ferroviari e sospettano che siano atti di sabotaggio appoggiati da uno Stato ostile. La Russia, inoltre, ha tentato di distruggere i sistemi di segnalamento delle ferrovie ceche, aveva detto il mese scorso, sempre all’Ft, il ministro dei Trasporti ceco. Secondo il servizio di sicurezza interna estone inoltre, sono stati gli uomini dell’intelligence russa ad aver attaccato a febbraio le auto del ministro degli Interni e quelle di alcuni giornalisti. Anche il ministero della Difesa francese ha messo in guardia quest’anno su possibili azioni di sabotaggio da parte della Russia contro siti militari.

“La conclusione ovvia è che c’è stato un reale incremento dell’attività russa”, ha commentato Keir Giles, consulente senior del think tank Chatham House. Un alto funzionario governativo europeo ha inoltre dichiarato al giornale che attraverso i servizi di sicurezza della Nato sono state condivise informazioni su una “chiara e convincente azione russa”, coordinata e su larga scala. Ora, ha concluso, è giunto il momento di “aumentare la consapevolezza e l’attenzione” sulla minaccia della violenza russa sul suolo europeo. Infine, appena giovedì scorso la Nato ha diffuso una nota in cui si affermava che i Paesi alleati sono “profondamente preoccupati” per le recenti “attività ostili” della Russia, di natura ibrida, sull’onda dei casi recenti che hanno portato all’indagine e all’incriminazione di più individui in Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca.

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