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Politica

Il programma del governo giallo e rosso è bellissimo, il problema è fare le cose che si promettono

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La bozza di programma del futuro governo giallo e rosso è una lista di 26 impegni. Per ora generici, titoli, così da poter essere interpretati in molti modi. Quel che segue è il tentativo di inserirli in un contesto che tenga conto della realtà e delle posizioni passate dei contraenti. La “lotta al gioco d’ azzardo” potrebbe essere un pallino di di Mio e basta, quanto al “divieto di vendita di armi” a Paesi belligeranti presenti nei 20 punti di Luigi Di Maio non s’è visto più nulla.
Pd e 5 Stelle si giocano molto se non tutto del loro futuro in questo governo. Più dura, più fanno cose, più danno chance al Paese, più ne avranno loro.  Nel programma si parla di “politica economica espansiva” (cioè il deficit aumenterà) ma “senza compromettere l’equilibrio di finanza pubblica”. E però non sono due dichiarazioni in contraddizione tra loro perchè in linea generale, il deficit del 2020 dovrebbe chiudere all’ 1,6% lasciando che l’ Iva aumenti e attorno al 3% non facendolo: la scelta di dove fermare il disavanzo, in accordo con Bruxelles, dirà cosa sarà in grado di fare l’ esecutivo. La recessione nell’Eurozona, e il nuovo Quantitative easing della Bce, potrebbero spingere la Ue a concedere qualcosa: i giallo-rossi ci puntano per gli “investimenti per rafforzare la coesione sociale” e per ” superare l’eccessiva rigidità dei vincoli europei in materia di bilancio pubblico”. Ammesso che l’Iva non sia un problema, andrebbero poi trovate le risorse per le priorità indicate dai partiti: dalla riduzione del cuneo fiscale (cioè le tasse sul lavoro) a “maggiori risorse per scuola, università, ricerca e welfare”, dal “sostegno alle famiglie e ai disabili” alla “emergenza abitativa’. Le risorse, par di capire, arriveranno anche da tagli di spesa: il programma sostiene che “occorre razionalizzare la spesa pubblica, con una efficace opera di spending review e rivedendo il sistema di tax expenditures” (traduzione: meno detrazioni e deduzioni).
Un po’ di soldi potrebbero venire anche dalla web tax sui giganti di Internet, finora fermata da resistenze interne (Renzi, Salvini) ed europee.
Ambiente. È la priorità-manifesto del programma: il Green New Deal. In pratica, “tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell’ ambiente, il ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto dei cambiamenti climatici”. È sugli investimenti “verdi”, peraltro, che il governo intende chiedere flessibilità all’ Ue: tra questi rientrano “le politiche sul dissesto idrogeologico, per la riconversione delle imprese, per l’ efficientamento energetico”, eccetera.
Il paragrafo “Ambiente” contiene anche implicitamente, secondo i 5 Stelle, il no alle trivelle e agli inceneritori che era esplicito nei 20 punti presentati a Conte dal Movimento.
Quanto a Di Maio, ieri sera l’ha messa così: “Non  possiamo parlare solo di divieti, lo dico con molta franchezza, se vogliamo parlare di ambiente dobbiamo parlare di tassazione”. Come dire rendere conveniente essere verdi. Insomma incentivi ai prodotti “verdi”, tasse per gli altri.
Giustizia. Capitolo fondamentale, ma scritto in modo assai generico. Gli obiettivi sono i soliti, cioè rendere i processi più veloci (verrà ripresa la riforma Bonafede bloccata da Salvini) e riformare i criteri di elezioni del Csm dopo lo scandalo Palamara: già qui inizieranno i problemi, ma mai come quelli sulla riforma della prescrizione che entra in vigore a gennaio. Tra i buoni propositi, “potenziare l’ azione di contrasto alle mafie e all’evasione fiscale”: possibile che si agisca sui limiti al contante. Anche qui generici impegni perchè sarebbe assai strano che uno non fosse contro la mafia o non voglia mettere in galera i corrotti. Il problema è come farlo. Con slogan o con leggi?
Immigrazione. Serve “una forte risposta europea” per gestire i flussi: risposta che comprende tanto la riforma del Trattato di Dublino sui rifugiati che il tema, più controverso, dei migranti economici.
La formulazione è un po’ sul “modello Minniti”: c’ è la lotta “al traffico illegale di persone e all’ immigrazione clandestina”, ma pure “i temi dell’ integrazione” così dimenticati da Salvini al Viminale. Non è chiaro, però, quale sarà la risposta alle navi delle Ong che chiedono di sbarcare: sul tema si citano solo “le recenti osservazioni formulate dal presidente della Repubblica” sui decreti sicurezza. Sull’ immigrazione, però, il Colle ha sollevato solo il tema della congruità delle multe (oltre, più in generale, a ricordare il diritto del mare che impone di salvare chi si trovi in difficoltà).
Lavoro. Niente cenni alla lotta alla “precarietà”. In sostanza non si dovrebbe andare oltre la stretta ai contratti temporanei del decreto Dignità.
C’ è invece l’introduzione di un “salario minimo” (sul come, però, Pd e M5S divergono), una legge sulla rappresentanza sindacale e una sulla parità salariale di genere (evocate da anni), l’equo compenso ai professionisti e le tutele per i rider (già entrate nel dl imprese).
Infrastrutture. Al netto delle enunciazioni generiche, il punto forte è la “revisione delle concessioni autostradali”. Tradotto: verrà difeso il nuovo sistema tariffario voluto dall’ Authority dei trasporti contestato dalle società (la revoca ai Benetton, invisa ai dem, non compare). Capitolo grandi opere: per le “nuove” andranno valutati “gli impatti sociali e ambientali”. In bilico il futuro dell’ analisi costi-benefici: al Pd non piace e il M5S ha perso interesse alla cosa.
Ci sono anche norme estemporanee nella bozza: l’ ultimo punto, ad esempio, dice che il governo deve darsi da fare per Roma (un assist a Virginia Raggi). Poi c’ è un accenno ai “beni comuni” tra cui l’ acqua pubblica (cavallo di battaglia grillino) e uno all’ autonomia differenziata per le Regioni da realizzare salvando “il principio di coesione nazionale e di solidarietà”. Infine un vecchio cavallo di battaglia, anche del Fatto, mai realizzato: una legge sul conflitto di interessi legata a una riforma del settore radio-tv (e dire che B.
era pronto a dare una mano).

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Napoli laboratorio politico: consiglieri e assessori pronti a candidarsi alle regionali, Manfredi prepara il rimpasto

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Alle elezioni regionali d’autunno la città di Napoli potrebbe trasformarsi in un vero e proprio laboratorio politico. Almeno dieci consiglieri comunali e tre assessori dell’attuale amministrazione guidata dal sindaco Gaetano Manfredisono pronti a scendere in campo, con lo stesso Manfredi che guarda già al rimpasto di Giunta dopo il voto. Si preannuncia dunque una rivoluzione politica tra gli scranni di Palazzo San Giacomo e nei futuri equilibri regionali.

Il fronte progressista: la coalizione plurale e l’ipotesi Fico

Nel campo del centrosinistra, il candidato alla presidenza della Regione Campania potrebbe essere Roberto Fico, ex Presidente della Camera. Una candidatura che ha il sostegno del Movimento 5 Stelle, del Partito Democratico e di Manfredi stesso, garante di una coalizione plurale. Il nome di Fico rassicura sia per il suo profilo istituzionale, sia per la capacità di dialogo trasversale: d’altronde fu incaricato dal presidente Sergio Mattarella di tentare due esplorazioni di governo.

Manfredi accompagnerà la candidatura con un’agenda politica centrata su Napoli e la sua area metropolitana, che rappresentano il 60% del peso elettorale regionale. Ogni partito presenterà la sua lista, e in caso di vittoria del centrosinistra, il risultato determinerà anche la spartizione degli incarichi.

I nomi nella lista del presidente e i candidati dei partiti

Nella lista del Presidente, che sarà il contenitore civico a sostegno della coalizione, correranno diversi volti noti dell’amministrazione Manfredi. Tra i sicuri candidati ci sono:

  • Nino Simeone, presidente della commissione Infrastrutture;

  • Walter Savarese d’Atri, in ticket con Angela Cammarota;

  • Fulvio Fucito, in uscita dalla lista Manfredi sindaco;

  • Roberto Minopoli, in quota centrista.

Tra gli assessori, Edoardo Cosenza (Infrastrutture) potrebbe sostenere Simeone, mentre la candidatura della vicesindaca Laura Lieto appare poco probabile, vista la sua centralità nei progetti urbanistici.

Il M5S dovrebbe candidare Luca Trapanese (Politiche sociali), Emanuela Ferrante (Sport), e i consiglieri Salvatore Flocco e Claudio Cecere. Ci pensa anche Enza Amato, presidente del Consiglio comunale.

Nel Pd spinge Salvatore Madonna, vicino a Mario Casillo, mentre Avs schiererà Rosario Andreozzi e Luigi Carbone, affiancato da Roberta Gaeta. In campo anche Pasquale Sannino per il Psi e un possibile ticket moderato tra Annamaria Maisto e Armando Cesaro.

Il centrodestra tra incertezze e scommesse

Sul fronte opposto, Forza Italia dovrebbe puntare su Salvatore Guangi, con forti pressioni su Catello Maresca, ex magistrato e nome spendibile anche per ruoli di vertice, sponsorizzato dal deputato Cosimo Silvestro. La Lega schiererà Domenico Brescia e Bianca D’Angelo, moglie dell’ex parlamentare Enzo Rivellini. Ancora nessun nome certo per il candidato presidente.

L’effervescenza politica napoletana, trasversale agli schieramenti, preannuncia una campagna elettorale caldissima e piena di incroci tra Palazzo San Giacomo e la futura sede del Consiglio regionale.

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Politica

Gianni Petrucci: “Non mi candido, ma il Coni ha bisogno di cambiare rotta”

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L’ex presidente del Coni rompe gli indugi in un’intervista al Corriere della Sera: “Serve più dialogo con la politica e meno autoreferenzialità. E vi dico chi dovrebbe entrare in Giunta”

A un mese esatto dalla chiusura delle candidature per la successione a Giovanni Malagò alla presidenza del Coni, Gianni Petrucci, storico numero uno dello sport italiano per 14 anni e attuale presidente della Federbasket, rompe il silenzio e interviene nel dibattito con la sua consueta schiettezza.

“Non mi candido, ma voglio dire la mia”

«Non mi interessa la presidenza, né un ruolo di vice, né la Giunta. Ho già dato. Sono uno spirito libero e posso permettermi di dire quello che penso e che provo», chiarisce subito Petrucci. Una risposta definitiva? «Sì, soprattutto se le cose vanno avanti come stanno andando: male».

“Rapporto col governo da ricostruire”

Petrucci denuncia una classe dirigente sportiva troppo autoreferenziale e in contrasto permanente con la politica: «Il Coni non è più quello di una volta. Ora la cassa la tiene lo Stato, e con lo Stato bisogna dialogare. Soprattutto le piccole e medie federazioni, che vivono di contributi pubblici».

Contesta anche i trionfalismi: «Non sono i dirigenti a vincere medaglie, ma atleti, tecnici, società e lo Stato che li finanzia. Dobbiamo essere meno presuntuosi e capire che la nostra autonomia è di secondo grado».

“Il prossimo presidente? Serve discontinuità”

Chi si candiderà dovrà “ripassare Einstein”, dice ironico: «Bisogna cambiare quando necessario. Basta guerre con la politica. Serve autorevolezza e pesi massimi in Giunta».

E qui Petrucci fa nomi e cognomi: «Gravina o Marotta vicepresidente, e in Giunta Binaghi e Barelli, dirigenti di federazioni che funzionano. Come puoi pensare a un Coni forte senza di loro?».

“Buonfiglio? Ha coraggio, ma serve un altro profilo”

Senza citarlo apertamente, Petrucci mette in discussione la candidatura di Luciano Buonfiglio, presidente della Canoa e sponsorizzato da Malagò: «Conosco il curriculum degli ex presidenti del Coni in rapporto al suo. Se ha i voti, buon per lui. Ma il concetto che il presidente debba essere “uno dei nostri” è provinciale. Dobbiamo aprirci».

“Abodi? Servono impianti. E un piano quadriennale”

Al ministro dello Sport Petrucci chiede «un programma chiaro e aiuti per gli impianti, che sono in condizioni disastrose». E su Diana Bianchedi taglia corto: «Mi sembra già dimenticata». Su Luca Pancalli: «Ci sono rimasto male quando non ci ha dato i paralimpici, ma vedremo il programma».

“Malagò promosso sul piano umano, ma…”

Il giudizio su Malagò è diplomatico: «Promosso per il rapporto umano e per la sua conoscenza dello sport, ma sul piano politico mi astengo». E chiude con una battuta sul padre del presidente uscente: «Un grandissimo dirigente sportivo. Da lui ho comprato un’auto nuova, non usata».

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Cronache

Molestie al Concertone del Primo Maggio, Piantedosi: “Espelleremo i tre studenti tunisini”

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Il Concertone del Primo Maggio a San Giovanni è stato macchiato da un grave episodio di violenza sessuale. Tre studenti tunisini — due di 25 anni iscritti al Dams, e uno di 22 che studia Ingegneria a Roma Tre — sono stati arrestati con l’accusa di molestie sessuali di gruppo nei confronti di una ragazza italiana di 25 anni originaria di Caserta. Il fatto ha provocato una bufera politica e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato l’avvio della procedura di espulsione: «Per i tre cittadini stranieri è stato chiesto il nulla osta al magistrato per procedere all’espulsione», ha dichiarato.

Convalidato l’arresto, ma solo obbligo di firma

I tre sono stati giudicati per direttissima presso il tribunale di Piazzale Clodio. Nonostante la richiesta di custodia cautelare della Procura, il giudice ha convalidato l’arresto ma ha disposto l’obbligo di firma in attesa del processo. Una decisione che ha innescato una vasta ondata di reazioni politiche e sociali, con prese di posizione molto dure da parte di esponenti della maggioranza e dell’opposizione.

La politica si divide: accuse incrociate tra destra e sinistra

La ministra per la Famiglia Eugenia Roccella (FdI) ha accusato il centrosinistra di non aver preso posizione: «Dispiace che non ci sia stata una condanna corale». Il senatore Maurizio Gasparri (FI) ha parlato di «sinistra ipocrita», mentre Filippo Sensi (Pd) ha replicato in modo durissimo su X: «Perché i 3 molestatori siano liberi stento a capirlo. Le polemiche della destra mi fanno schifo».

“Serve un segnale chiaro”: l’intervento dei sindacati

I sindacati Cgil, Cisl e Uil, organizzatori dell’evento, hanno definito l’episodio «grave e intollerabile», soprattutto perché avvenuto durante una manifestazione per i diritti e le libertà. Dura anche la reazione della capogruppo di Italia Viva al Senato, Raffaella Paita, che ha ricordato come il caso richiami per dinamiche il famigerato “taharrush gamea” verificatosi a Milano a Capodanno.

Salvini e la Lega: espulsione immediata e nuova legge

Il vicepremier Matteo Salvini ha invocato l’immediata espulsione dei tre stranieri, mentre Laura Ravetto (Lega) ha rilanciato la proposta di legge per inasprire le pene in caso di violenza di gruppo, definendola una pratica legata a «subculture incompatibili con i valori occidentali». Il capogruppo leghista al Campidoglio Fabrizio Santori ha chiesto al sindaco di Roma Roberto Gualtieri di spostare il Concertone da Piazza San Giovanni, definendolo «dannoso per un luogo di alto valore storico e religioso».

La testimonianza della vittima: tra urla e solidarietà

Infine, è stato smentito il racconto secondo cui la folla sarebbe rimasta indifferente. Secondo la testimonianza della stessa vittima, molte persone hanno collaborato con le forze dell’ordine per rintracciare i tre sospettati e l’hanno confortatadopo l’aggressione. La ministra del Turismo Daniela Santanchè ha parlato di un’«indifferenza agghiacciante», ma il racconto della ragazza offre uno scenario più sfumato, sebbene l’episodio resti gravissimo e abbia lasciato un segno profondo sull’opinione pubblica.

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