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Scontri, bombe e sassi contro la polizia: torna la guerra dei No Tav in Val di Susa

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C’erano migliaia di manifestanti a Chiomonte. Alcuni hanno violato la zona rossa e sono riusciti a entrare nel cantiere provocando scontri con la polizia. In 48 sono stati denunciati.  Gli scontri sono iniziati attorno alle 17. E sono stati duri. Prima il corteo di migliaia di manifestanti (per gli organizzatori 15mila), si divide in due parti: una prosegue lungo la strada consueta, l’altra si disperde nei boschi. Sono quelli che salgono fra le piante che ingaggiano battaglia. Il via viene dato da chi tenta, mentre vengono lanciate pietre, di aprire la pesante cancellata posta a sbarramento del sentiero che da Giaglione conduce al cantiere Tav di Chiomonte. Persone incappucciate, non della Val Susa.

Il varco  aperto dà via libera verso il cantiere. Intanto, nei boschi è una pioggia di lacrimogeni ai quali si risponde lanciando pietre. Un agente viene leggermente ferito.
Forzando la cancellata, i No Tav violano la cosiddetta zona rossa, una fascia di rispetto tra boschi, prati, sentieri e strade carrozzabili in cui è vietato mettere piede. Per questo 48 di loro, tra cui esponenti del centro sociale Askatasuna di Torino, saranno denunciati. Poi il corteo si divide ancora e una parte di esso arriva fino allo sbarramento finale del cantiere: divisi da una rete, da un lato un centinaio di manifestanti, dall’altro i poliziotti che lanciano lacrimogeni.

È lì che si scatena, quando tutto pare finito, il lancio di petardi e bombe carta contro le forze dell’ordine. “Abbiamo raggiunto l’ obiettivo: volevamo raggiungere il cantiere e ce l’ abbiamo fatta” dice poi una storica attivista No Tav.
Violenza dunque, che stona con quanto dicono alcuni del movimento. “La violenza io l’ ho vista da una parte e dall’altra”, dice per esempio Paolo Anselmo che parla in modo pacato ma deciso e che fa parte del gruppo ‘Cattolici per la vita della Valle’.   Mentre Alberto Perino, capo storico del Movimento, aggiunge: “Le cose che sono successe a Roma sono quelle normali di una resistenza popolare”. Lo stesso che però a inizio corteo diceva: “Io spero sia una manifestazione bagnata ma partecipata, fatta con la testa e non con la pancia perché chi oggi tira una pietra, sappia che lo fa solo per fare un regalo a Salvini”. E Alberto Prieri (un altro dei punti di riferimento del movimento): “Noi per prima cosa non vogliamo nuocere alle persone, agli animali e alle piante. Purtroppo essendo molto aperti e liberi, è inevitabile che vi siano infiltrazioni di persone violente. Occorre lavorare perché vi sia sempre una tensione alta ma mai situazioni irreparabili”.

Ieri, però, prima delle bombe carta e dei lacrimogeni è stato il giorno dell’ elaborazione del lutto per il movimento. Della delusione e della rabbia nei confronti del M5S. Sempre Perino: “Questo governo ha fatto quello che hanno fatto gli altri. Ci hanno traditi come tutti gli altri e ce lo aspettavamo”. Ma è mischiandosi al popolo della Valle che si capisce di più. Valerio Colombaroli ha 70 anni e da 31 fa parte del Movimento No Tav. Si commuove raccontando lo stato d’animo con il quale vive questi giorni: “Vede – spiega -, abbiamo avuto degli alti e bassi, sconfitte e vittorie. Ma la vita non deve essere fatta di tradimenti. I 5 Stelle erano il nostro riferimento politico e adesso non posso accettare una pugnalata alle spalle così”.

E poi aggiunge: “Il problema è che loro parlavano di onestà, ma quando vai a Roma tutto cambia. Loro non hanno avuto dignità politica ma spariranno”. Torna a parlare Anselmo: “Il governo ci ha lasciati sconcertati. Prima dei 5 Stelle siamo nati noi e loro si sono appoggiati a noi e noi abbiamo creduto in loro. Adesso siamo allibiti”. Poco importa che Luigi Di Maio scriva su Facebook a caratteri cubitali: ‘Noi non ci arrendiamo! Noi pensiamo al paese, non facciamo regali a Macron’. A Di Maio Perino risponde, tra gli applausi: «Ci avete venduti, come tutti gli altri. Non prendeteci più in giro”.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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Vino nel biberon per errore, bimbo 4 mesi in rianimazione

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Vino bianco al posto dell’acqua per preparare il latte in polvere a suo figlio di quatto mesi. Un errore, è l’ipotesi degli investigatori, commessa da una donna di Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, che ha fatto finire il piccolo in coma etilico. Ricoverato in rianimazione all’ospedale pediatrico di Bari, le sue condizioni sono in lieve miglioramento. A fare insospettire la donna è stato il rifiuto del piccolo che dopo i primi sorsi avrebbe smesso di bere respingendo il biberon. A quel punto la sua mamma si sarebbe accorta di non aver mescolato il latte in polvere con l’acqua.

A farla sbagliare sarebbe stato il colore scuro della bottiglia in cui era contenuto il vino. Subito dopo aver compreso l’errore, la donna ha portato il bimbo al pronto soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi dove il piccolo è arrivato già in coma etilico. Sottoposto a una lavanda gastrica, è stato intubato e trasferito d’urgenza all’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari dove è stato ricoverato nel reparto di rianimazione.

La procura di Brindisi ha avviato un’indagine, ma al momento l’ipotesi prevalente dei carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana è che sia stato un incidente domestico. Dai riscontri dei militari non sono emersi altri elementi. L’affanno dovuto alle incombenze quotidiane, la necessità di preparare in fretta il biberon per il proprio figlio e la bottiglia scura avrebbero portato la donna a sbagliare. E’ stato lo stesso bimbo, rifiutandosi di continuare a bere, a rivelare che quel liquido non era latte. Un segnale subito percepito dalla mamma che si è resa conto in pochi istanti quale fosse il vero contenuto della bottiglia da cui aveva prelevato il liquido credendo fosse acqua.

La corsa in ospedale è stata immediata, dall’abitazione al pronto soccorso del Perrino. Qui il piccolo è stato preso in cura dai medici che con stupore hanno accertato il coma etilico di un bimbo di soli quattro mesi. Un quadro clinico che ha allarmato il personale sanitario e che ha portato al trasferimento del bimbo a Bari dov’è stato sottoposto a specifiche cure. Al momento la prognosi è riservata ma i medici sono fiduciosi perché le condizioni del piccolo migliorano. La notizia ha scatenato tante reazioni anche sui social dove molti manifestano comprensione per “il dispiacere e per quello che sta passando in queste ore la mamma”, auspicando che “il piccolo possa presto riprendersi da questo brutto incidente”.

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