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Lady camorra Maria Licciardi latitante e tutti i nomi degli arrestati nell’inchiesta sull’Ospedale San Giovanni Bosco in mano ai boss

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Gestivano il contrabbando e le  estorsioni. Avevano il monopolio dell’usura. Controllavano lo spaccio di droga fin dagli anni ’80. Ma i clan della camorra dell’Alleanza di Secondigliano erano non solo i dominus criminali dell’economia del vizio. Non solo questo. Loro, i boss delle cosche della federazione camorristica di Secondigliano, controllavano anche il funzionamento dell’ospedale San Giovanni Bosco: l’ospedale delle formiche in corsia, delle aggressioni ai medici e agli infermieri, del parcheggio abusivo gestito da parcheggiatori sentinelle della camorra.

Ma non si limitavano a questa bassa manovalanza di una camorra stracciona e sanguinaria. No, c’era un pezzo della mafia di Secondigliano che si occupava e ingeriva in assunzioni, appalti, relazioni sindacali. Un’intesa mafiosa siglata dalle cosche dei Contini , dei Mallardo e dei Licciardi, che si erano uniti in nome anche di legami di sangue e che nel corso degli anni avevano assunto il controllo monopolistico della sanità in quell’ospedale di Napoli. Quello che riferiamo non sono propalazioni giornalistiche scandalistiche, ma l’amara realtà messa nero su bianco dalla magistratura antimafia di Napoli. Con le indagini meticolose, scientifiche, fatte di analisi, raccolta di prove, intercettazioni telefoniche ed ambientali, filmati effettuate dai carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Napoli che dimostrano come lo Stato avesse se non appalto questi servizi alla camorra almeno ne subiva quasi supinamente, in maniera oseremmo dire acquiescente l’esercizio da parte delle cosche.

Il colpo ai clan dell’Alleanza di Secondigliano, un cartello di gruppi criminali che per 30 anni ha avuto un ruolo importante nella gestione degli affari illeciti a Napoli e in provincia è durissimo. Sono 126 le misure cautelari eseguite, altre 86 notificate  in carcere a persone già detenute per altre cause. Poi c’è stata il contestuale sequestro di beni per 130 milioni di euro a questi mafiosi. Non è stato facile operare per gli investigatori : hanno dovuto rimuovere gli ostacoli anche fisici per poter entrare in ville fortini a fare arresti e perquisizioni. Hanno dovuto sconfiggere anche complicità interne ad apparati dello Stato che passavano notizie di indagini e di possibili retate ai camorristi.

Per entrare in alcune di queste enclave di camorra, i carabinieri si sono servizi degli uomini del Gis, reparto di élite dell’Arma. Anche in questo caso la camorra dimostra di essere donna. Sono le donne a comandare. Fra le donne che avrebbero avuto un ruolo di primo piano nelle decisioni di vertice dell’Alleanza di Secondigliano, ce ne sono 5, e tra queste c’è anche Maria Licciardi, detta la piccerella ovvero la piccolina, per la sua corporatura esile.

Lady camorra era stata  arrestata dopo due anni dilatitanza nel 2001 e poi scarcerata nel 2009. Questa volta però è stata brava, almeno per il momento è sfuggita alla cattura.
Nelle oltre 2mila pagine dell’ordinanza di custodia cautelare si comprende la pervasività dei clan: fra gli indagati c’è anche un dipendente infedele del Tribunale di Napoli che avrebbe consentito a una delle 5 signore del crimine di conoscere in anticipo l’elenco delle persone da arrestare in un blitz contro la camorra. Tra i fiancheggiatori anche un noto penalista napoletano.

Ma quello che sconcerta di più è la gestione dell’ospedale San Giovanni Bosco dove la camorra del clan Contini lucrava pure sui morti: 500 euro per falsificare i documenti e attestare che il deceduto era vivo prima di lasciare l’ospedale. Era così che i parenti potevano portarsi via la salma in ambulanza e farsi poi attestare la morte una volta a casa. Ma questo spaccato disgustoso della sanità è stato certificato a ripetizione in questi mesi con analisi, video e commenti da Luca Abete, coraggioso e “scorrettissimo” inviato di Striscia La Notizia, cui vanno i complimenti per un lavoro giornalistico eccellente.

 

Ecco tutti i nomi degli arrestati in ordine alfabetico:

 

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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Vino nel biberon per errore, bimbo 4 mesi in rianimazione

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Vino bianco al posto dell’acqua per preparare il latte in polvere a suo figlio di quatto mesi. Un errore, è l’ipotesi degli investigatori, commessa da una donna di Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, che ha fatto finire il piccolo in coma etilico. Ricoverato in rianimazione all’ospedale pediatrico di Bari, le sue condizioni sono in lieve miglioramento. A fare insospettire la donna è stato il rifiuto del piccolo che dopo i primi sorsi avrebbe smesso di bere respingendo il biberon. A quel punto la sua mamma si sarebbe accorta di non aver mescolato il latte in polvere con l’acqua.

A farla sbagliare sarebbe stato il colore scuro della bottiglia in cui era contenuto il vino. Subito dopo aver compreso l’errore, la donna ha portato il bimbo al pronto soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi dove il piccolo è arrivato già in coma etilico. Sottoposto a una lavanda gastrica, è stato intubato e trasferito d’urgenza all’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari dove è stato ricoverato nel reparto di rianimazione.

La procura di Brindisi ha avviato un’indagine, ma al momento l’ipotesi prevalente dei carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana è che sia stato un incidente domestico. Dai riscontri dei militari non sono emersi altri elementi. L’affanno dovuto alle incombenze quotidiane, la necessità di preparare in fretta il biberon per il proprio figlio e la bottiglia scura avrebbero portato la donna a sbagliare. E’ stato lo stesso bimbo, rifiutandosi di continuare a bere, a rivelare che quel liquido non era latte. Un segnale subito percepito dalla mamma che si è resa conto in pochi istanti quale fosse il vero contenuto della bottiglia da cui aveva prelevato il liquido credendo fosse acqua.

La corsa in ospedale è stata immediata, dall’abitazione al pronto soccorso del Perrino. Qui il piccolo è stato preso in cura dai medici che con stupore hanno accertato il coma etilico di un bimbo di soli quattro mesi. Un quadro clinico che ha allarmato il personale sanitario e che ha portato al trasferimento del bimbo a Bari dov’è stato sottoposto a specifiche cure. Al momento la prognosi è riservata ma i medici sono fiduciosi perché le condizioni del piccolo migliorano. La notizia ha scatenato tante reazioni anche sui social dove molti manifestano comprensione per “il dispiacere e per quello che sta passando in queste ore la mamma”, auspicando che “il piccolo possa presto riprendersi da questo brutto incidente”.

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