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Cronache

L’accusa di corruzione a Siri è fondata sulle intercettazioni del telefono di Arata che riserveranno molte altre sorprese

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Una conversazione tra l’imprenditore Paolo Arata (responsabile nuove fonti energia della Lega ed ex deputato di Fi) e suo figlio Francesco (Federico e un altro figlio economista in servizio a Palazzo Chigi come consigliere di Giorgetti) captata dagli investigatori della Dia nel settembre 2018. C’è una «cimice» inserita nel telefonino di Arata. Su questa intercettazione – trasmessa per competenza dai magistrati di Palermo ai colleghi di Roma – si fonda l’accusa di corruzione contro il sottosegretario ai Trasporti e senatore leghista Armando Siri.

L’accusa è corruzione. Per aver incassato una mazzetta di 30 mila euro o per doverla incassare (per la corruzione basta la promessa) in cambio del suo interessamento per inserire nel DEF 2018 (in via di approvazione) norme per far retroagire l’attribuzione di risorse ad aziende che producono energia green.

Sulla trascrizione del colloquio gli inquirenti capitolini chiederanno al tribunale del Riesame di confermare il sequestro di cellulari e computer di Arata, presi una settimana fa durante le perquisizioni. È questo il punto cruciale di un’inchiesta che sembra destinata ad allargarsi. Perchè non solo esiste questa intercettazione (qualcuno l’ha messa in dubbio), ma ce ne sono altre che andrebbero investigate con serietà, approfondite. È evidente che sia l’intercettazione che riguarda Siri, sia quelle che riguardano altri non sono sentenze di condanna per corruzione ma fonti di prova da usare per capire se poi Siri davvero ha commesso reati. L’intercettazione però c’è. Chi dice il contrario sostiene il falso. Per quale motivo? In buona fede? In queste contesti sono sempre all’opera gli avvelenatori.

Il contesto della intercettazione. Fine estate 2018. Padre e figlio, gli Arata discutono di affari. Paolo Arata (altra accusa) è in affari con Vito Nicastri: la procura di Palermo ha chiesto il 22 aprile 12 anni di carcere per lui perchè avrebbe agevolato tra le altre cose la latitanza di Matteo Messina Denaro.

 

Mentre parlano padre e figlio non immaginano di essere ascoltati. Paolo Arata spiega al figlio i rapporti con Siri, le richieste per farlo intervenire su provvedimenti di legge che riguardano gli impianti eolici per cui loro hanno svariate società e in particolare gli incentivi che loro non possono ottenere se certe norme fanno retroagire le richieste di incentivi.

Parla esplicitamente di 30 mila euro che ha dovuto impegnare. Il senso del colloquio per i magistrati è chiaro: quei soldi sono il “costo” per garantirsi l’impegno del politico del Carroccio. Per i magistrati basta a procedere contro Siri. Ed è per questo che nel decreto di perquisizione esplicitano esattamente il contenuto dell’intercettazione. Sono gli inquirenti a confermare che “l’interpretazione di quanto affermato da Paolo Arata nell’intercettazione è univoca”. Per essere chiari. Nel decreto di perquisizione di casa Arata non c’è alcun dubbio che i magistrati che l’hanno ordinata si riferiscono proprio al rapporto di Arata con Siri.
Sono elementi necessari e sufficienti per ordinare la perquisizione e per scrivere nel provvedimento:

“Siri è indagato in qualità di pubblico ufficiale, per l’ esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, asservendoli a interessi privati – tra l’altro proponendo e concordando con gli organi apicali dei ministeri competenti per materia – l’inserimento in provvedimenti normativi di competenza governativa di rango regolamentare e di iniziativa governativa di rango legislativo, ovvero proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto “minieolico” – riceveva indebitamente la promessa e/o la dazione di 30.000 da parte di Paolo Franco Arata amministratore della Etnea srl, della Alqantara Srl, dominus della Solcara srl (amministrata dal figlio Francesco Arata) e dalla Solgesta srl (amministrata dalla moglie Alessandra Rollino) imprenditore che da tali provvedimenti avrebbe tratto benefici di carattere economico”.

Che poi Siri non sia stato capace di inserire quelle norme nel Def è altro capitolo. Perchè non ci è riuscito? Forse Siri aveva solo millantato di inserire quelle norme? A quanto pare Siri avrebbe tentato di inserire queste norme ma non ci sarebbe riuscito perché le sue pressioni indebite furono condotte su funzionari del ministero dello Sviluppo Economico (retto da Luigi Di Maio) che lo avrebbero dissuaso, glielo avrebbero impedito anche perchè era tecnicamente impossibile inserire le norme. E questo i funzionari del ministero lo avrebbero confermato nel corso di interrogatori.

Nelle conversazioni intercettate Arata si vanta anche di aver brigato affinché Siri avesse un posto nel governo gialloverde e per questo il pubblico ministero Mario Palazzi evidenzia nel decreto il fatto che “Arata è stato sponsor per la nomina proprio in ragione delle relazioni intrattenute”. Cioè, ma qui siamo nel campo delle ipotesi, siccome Arata e Siri avevano relazioni, questi lo avrebbe sponsorizzato affinché entrasse al Governo.
L’imprenditore si occupava delle relazioni con i politici anche per conto di Vito Nicastri il “re dell’ eolico”, arrestato per i presunti legami di cui abbiano detto con il padrino di mafia Matteo Messina Denaro. A Nicastri nel 2017 hanno confiscato beni per un valore di oltre un miliardo di euro.
Anche in questo caso sono le intercettazioni a rivelare come i due fossero in realtà soci di numerose aziende specializzate nelle «rinnovabili».
Le nuove verifiche mirano a ricostruire l’intera rete di rapporti di Arata anche tenendo conto che il “gruppo Arata-Nicastri”», come lo definiscono i magistrati palermitani “alla fine del 2018 ancora incassava i fondi a sostegno del mini-eolico dal Gse, Gestore dei servizi energetici, società per azioni interamente controllata dal ministero delle Finanze”.

Sulla base di questi atti e di queste investigazioni sarà difficile per Matteo Salvini tenere il punto sulle richieste di Luigi di Maio che ha fatto sapere al suo collega vicepremier che entro lunedì massimo Siri sloggerà da Palazzo Chigi. Non perchè è colpevole (quello lo diranno i giudici) ma perché non possono esserci ombre di mafia su Palazzo Chigi.

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Corruzione, il sindaco Marco Bucci: non so nulla, andiamo avanti

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“Ovviamente siamo garantisti, quindi sino a quando le cose non si sapranno, non ci esprimiamo. Io non so assolutamente nulla di quello che è successo. Ho letto solo le notizie e non ho ancora capito. Quello che so è che abbiamo fatto il lavoro come deve essere fatto. Penso che è stato dimostrato da tante cose. Continuiamo andare avanti. C’è una città da portare avanti con un piano strategico ben preciso e 7 miliardi da investire. Su questo si va avanti a velocità forse ancora maggiore”. Così il sindaco di Genova Marco Bucci sulla inchiesta per Corruzione che ha portato agli arresti domiciliari per il presidente ligure Giovanni Toti.

“Il messaggio è che bisogna fare le cose, farle ancora meglio e ovviamente stare attenti che non ci sia nessun tipo di inquinamento – ha aggiunto Bucci -. Dico solo che noi faremo tutto possibile perché non si blocchino le istituzioni, anzi deve essere un messaggio per andare avanti”.

“Poi io sono garantista, ovviamente e quindi voglio aspettare tutti i gradi di giudizio. E comunque, in ogni caso, piena fiducia nella magistratura – ha aggiunto il sindaco -. Io commento quello che è la mia parte, cioè quella della città e quello che le nostre amministrazioni devono fare per la città, che continuerà non solo alla stessa velocità di prima, con la stessa tenacia di prima e la stessa forza di prima, ma forse ancora di più, proprio per dimostrare che le cose si devono fare bene. Dal punto di vista umano non può far altro che dispiacermi, però magari poi non c’è nulla, quindi è inutile fare questi commenti adesso perché hanno poco senso. Quello che ha senso adesso è dire che bisogna portare avanti le cose e farle nel modo migliore possibile”.

“Vi ricordate quanto avevo detto dopo il crollo del Morandi? Quel giorno ho detto che la città non è in ginocchio. Anche adesso nessuno di noi è in ginocchio, Anzi, siamo in piedi e con ancora maggiore energia, perché vogliamo dimostrare che le cose si fanno bene”.

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Corruzione, arrestato il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti

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Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti è agli arresti domiciliari nell’ambito di una inchiesta della Dda genovese e della guardia di finanza. L’accusa è di corruzione.

Al Presidente della Regione Liguria si contesta di avere accettato da Aldo Spinelli e Roberto Spinelli le promesse di vari finanziamenti e ricevuto complessivamente 74.100 euro a fronte di più impegni : quelli di “trovare una soluzione” per la trasformazione della spiaggia di Punta Dell’Olmo da “libera” a “privata”;agevolare l’iter di una pratica edilizia relativa al complesso immobiliare di Punta Dell’Olmo di interesse di Aldo Spinelli e Roberto Spinelli e pendente presso gli uffici regionali; velocizzare e approvare la pratica di rinnovo per trent’anni della concessione del Terminal Rinfuse alla Terminal Rinfuse Genova S.r.l. (controllata al 55% dalla Spinelli.) pendente innanzi al Comitato di Gestione dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, approvata il 2.12.2021; assegnare a Spinelli gli spazi portuali ex Carbonile ITAR e Carbonile Levante (assegnazione avvenuta rispettivamente in data 7.6.22 e in data 19.12.22); assegnare a Spinelli un’area demaniale in uso al concessionario Società Autostrade (ASPI), 3 ; agevolare l’imprenditore nella pratica del “tombamento” di Calata Concenter (approvata dal Comitato di Gestione in data 29.7.2022).

Ai domiciliari anche il terminalista genovese Aldo Spinelli. In carcere invece l’ex presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale Paolo Emilio Signorini, oggi amministratore delegato di Iren. Secondo l’inchiesta che ha portato ai domiciliari il presidente della Regione Liguria, coordinata dai pm Federico Manotti e Luca Monteverde, l’imprenditore avrebbe dato soldi a Toti per ottenere in cambio favori come la concessione a Spinelli per le aree del terminal Rinfuse.

 

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Sequestro conservativo da quasi 6 milioni di Euro ad una società nel Casertano

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Alla società Marina di Castello s.p.a. è stato notificato un decreto di sequestro conservativo ante causam di quasi 6 milioni di euro, eseguito dai Finanzieri del Comando Provinciale di Caserta. Questa azione è il culmine di un’indagine condotta dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Mondragone, sotto la supervisione della Procura Contabile partenopea, e mirata a verificare la regolarità delle concessioni demaniali marittime rilasciate dal Comune di Castel Volturno, in particolare per quanto riguarda i canoni demaniali.

Il cuore dell’indagine si concentra sulla società Marina di Castello s.p.a., che aveva ottenuto una concessione demaniale agevolata nel 2003 per realizzare un’area protetta per il bird watching e un ampliamento di un campo da golf, inizialmente a beneficio della comunità locale.

Tuttavia, le investigazioni hanno rivelato che la società non ha mai versato regolarmente i canoni dovuti al Comune di Castel Volturno né le somme aggiuntive alla Regione Campania. Inoltre, si è scoperto che l’area concessa è stata utilizzata per scopi privati, causando un danno stimato di circa 6 milioni di euro alle autorità interessate.

Di fronte a questa serie di illeciti, è stato emesso un decreto di sequestro conservativo, confermato in sede di giudizio di convalida. Tale provvedimento prevede il blocco di tutti i beni mobili e immobili della società Marina di Castello s.p.a. per un valore totale di 5.972.040,98 euro, al fine di garantire il soddisfacimento del credito accertato.

Questa azione non è solo un atto di giustizia, ma testimonia anche l’impegno costante della Corte dei Conti e della Guardia di Finanza nel contrastare fenomeni dannosi per il bilancio pubblico e per la corretta concorrenza. L’obiettivo è il recupero delle risorse pubbliche, al fine di restituirle alla collettività e assicurare un ambiente economico più equo e trasparente per tutti.

Come sempre spieghiamo, trattasi di una indagine e non di una sentenza, pertanto la società in questione e chiunque altro implicato in questa vicenda è da considerare innocente fino a sentenza definitiva.

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