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Cronache

Stupro della stazione Circum, i tre giovani arrestati avrebbero tentato di inquinare le prove. È caccia ad altri 4 balordi

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I tre ragazzi arrestati sono stati riconosciuti dalla giovane violentata. Ma non sono gli unici responsabili della violenza o  di altre violenze e molestie in quella zona della stazione della Circumvesuviana. Altri quattro giovani, amici degli arrestati, avrebbero  provato a stuprare altre ragazze qualche settimana  fa. Sempre in quella stazione. Non ci sono però denunce. Ma ci sono questi sette, forse anche 9 balordi. Appunto un branco di violenti di San Giorgio a Cremano finiti nel mirino delle indagini della polizia del commissariato locale che ha fatto un lavoro eccellente in questa delicata inchiesta coordinata dal magistrato Salvatore Prisco.

È questo il filone investigativo sullo stupro di martedì sera nella stazione della Circum: tra i sette aggressori, ci sono anche i tre indagati per la violenza sessuale consumata all’interno dell’ascensore della stazione, arrestati alle prime luci dell’alba di mercoledì. La ragazza violentata, non una ma due volte, oggi, con maggiore tranquillità, assistita dal suo avvocato (Maurizio Capozzo) e aiutata psicologicamente a “digerire” questa fase, sarà sentita dal pm Prisco. Occorre scrivere la denuncia della parte lesa dello stupro; precisare millimetricamente ogni singolo aspetto della violenza e riconoscere ogni componente del branco di balordi criminali che l’hanno stuprata. Ovviamente le responsabilità penali sono personali e ad ognuno dei componenti vanno contestate accuse precise sia rispetto alla violenza di martedì che relativamente a quella di 20 giorni fa.

Dalle testimonianze emerge che erano almeno in sette, la prima volta, a molestare la 24enne di Portici. La ragazza riuscì a scappare. Stesso branco, stesso giorno, avrebbe provato anche con un’altra ragazza. Entrambe le ragazze hanno raccontate di essere state pedinate, inseguite. La 24enne violentata ha raccontato ai poliziotti che “quando ci hanno provato la prima volta, mi hanno seguito fino al pianerottolo di casa, a Portici. Solo di fronte all’ intervento di mia sorella, uno di loro chiese scusa, dicendo di essersi sbagliato”. Poi martedì il sequel più drammatico.

Questa volta il branco si è assottigliato. Non sono in sette, ma in tre, quelli che poi sono stati arrestati per lo stupro dell’ascensore. La Procura ha fermato  Alessandro Sbrescia, Raffaele Borrelli e Antonio Cozzolino, tutti accusati di violenza sessuale di gruppo, con l’aggravante di aver agito contro una persona in condizioni di minorata difesa (di fronte alla fragilità delle condizioni fisiche della vittima) e oggi il gip dovrà convalidare il fermo o rigettarlo.
L’inchiesta è solida. E’ condotta dai pm Cristina Curatoli, Salvatore Prisco, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Raffaello Falcone. I giovani hanno già ammesso di aver consumato un rapporto sessuale di gruppo (anche perché inchiodati da immagini e riconoscimenti), ma ovviamente hanno negato la storia della violenza. Un copione difensivo già letto in mille altre vicende simili. Come è già not che hanno sostenuto che la ragazza fosse consenziente.

Poi però sono caduti  in diverse contraddizioni e le immagini raccontano altro, non un rapporto consenziente. E che ci fosse qualcosa di criminale in quello che avevano fatto lo dimostra anche quel che hanno escogitato dopo la violenza. Si sono tagliati la barba (portavano la barba, usano così oggi nelle fiction Gomorra farsi riconoscere i baby boss). Tentativo puerile di evitare riconoscimenti. Poi ognuno di loro ha cercato un alibi per la serata. Tentativi di depistare le indagini che inducono i pm a fermarli per evitare altre attività di inquinamento. Oggi la convalida.

 

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Tragedia ad Anzola Emilia: uccisa l’ex vigilessa Sofia Stefani, interrogato ex comandante

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Un tragico evento ha scosso la comunità di Anzola Emilia, in provincia di Bologna. Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, è stata uccisa da un colpo di pistola alla testa all’interno della sede del Comando della polizia locale, conosciuta come la ‘Casa Gialla’. Il presunto responsabile del delitto è Giampiero Gualandi, ex comandante dei vigili di Anzola, attualmente sotto inchiesta.

L’incidente è avvenuto poco prima delle 16, in una stanza del comando della polizia locale dove Sofia Stefani e Giampiero Gualandi si erano incontrati. Al momento della tragedia, i due si trovavano soli nella stanza, sebbene nell’edificio fossero presenti altre persone. Le forze dell’ordine stanno conducendo un sopralluogo accurato alla ‘Casa Gialla’ e interrogando i testimoni per ricostruire esattamente quanto accaduto e comprendere la natura del rapporto tra la vittima e il sospettato.

Giampiero Gualandi, ancora in servizio presso il comando di Anzola Emilia, sarà interrogato con l’assistenza di un difensore. Le autorità stanno cercando di chiarire se il colpo di pistola sia stato un tragico incidente o se ci sia stato un movente dietro l’omicidio. Non è ancora chiaro quale fosse la relazione tra Gualandi e Stefani, ma i carabinieri stanno esplorando tutte le possibili piste, inclusa quella di un conflitto personale o professionale.

La notizia ha profondamente colpito la comunità locale, che conosceva bene Sofia Stefani per il suo lavoro come vigilessa. I colleghi della polizia locale e i residenti di Anzola Emilia sono in stato di shock, in attesa di ulteriori sviluppi dalle indagini. Il municipio, situato a pochi passi dal luogo del delitto, è diventato un punto di raccolta per coloro che vogliono esprimere il loro cordoglio e la loro solidarietà alla famiglia della vittima.

La morte di Sofia Stefani rappresenta una tragica perdita e pone interrogativi inquietanti sulla sicurezza e sulle dinamiche interne al comando della polizia locale di Anzola Emilia. Mentre le indagini proseguono, la comunità spera che venga fatta piena luce su quanto accaduto.

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Inchiesta a Genova, interrogatorio Spinelli: gli intricati legami di potere e le promesse mancate

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L’indagine per corruzione che coinvolge importanti figure della politica e dell’economia ligure continua a rivelare dettagli e complicazioni. Durante l’interrogatorio di garanzia, l’imprenditore Aldo Spinelli, posto ai domiciliari insieme al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ha offerto uno spaccato dettagliato delle sue interazioni con le autorità per ottenere favori legati alla proroga trentennale del Terminal Rinfuse.

Spinelli, durante l’interrogatorio guidato dal giudice Paola Faggioni, ha descritto come ha cercato di influenzare le decisioni a suo vantaggio, sottolineando contatti e telefonate con Toti, a cui si rivolgeva per risolvere problemi analogamente a quanto faceva con predecessori come Burlando. L’imprenditore ha ammesso di aver bonificato 40 mila euro al Comitato Toti come riconoscimento per l’interessamento del presidente, anche se sostiene che non ne sia conseguito alcun vantaggio diretto.

La conversazione ha toccato anche la situazione di Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale, a cui Spinelli prometteva un posto di lavoro a Roma da 300 mila euro, illustrando così la rete di promesse e favori che caratterizzano il settore. L’interrogatorio ha anche evidenziato l’accusa verso altri membri influenti dell’autorità portuale, tra cui Rino Canavese, l’unico a votare contro la proroga della concessione, criticato duramente da Spinelli per le sue posizioni.

Le dichiarazioni di Spinelli hanno aperto uno squarcio su una realtà di gestione dei pubblici poteri in cui gli interessi personali e quelli economici sembrano intrecciarsi a discapito della trasparenza e dell’equità. La questione della spiaggia dell’Olmo, che Spinelli sperava di trasformare da libera a privata, è solo un esempio delle molteplici richieste fatte a Toti, tutte rimaste inevasive secondo l’imprenditore.

Questo scenario complesso mostra quanto possano essere intricate le relazioni tra politica, economia e gestione del territorio, soprattutto in contesti dove le risorse economiche si mescolano con le carriere politiche. L’inchiesta, quindi, non solo cerca di fare luce su specifiche accuse di corruzione, ma sottolinea anche la necessità di una maggiore trasparenza e integrità nelle interazioni tra imprenditori e pubblici ufficiali.

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Richiesta urgente di intervento al Ministro della Giustizia per risolvere le disfunzioni del processo telematico a Nola

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Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola ha trasmesso un appello urgente al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, evidenziando gravi disfunzioni nel sistema di processo telematico (PST) utilizzato dai Giudici di Pace nel circondario del Tribunale di Nola. Questa problematica sta impattando negativamente sul regolare svolgimento delle udienze e, di conseguenza, sul diritto di difesa dei cittadini.

La delibera, esecutiva immediata dal 10 maggio, è stata inviata anche a figure chiave nel sistema giudiziario, tra cui il Dirigente CISIA di Napoli, Giovanni Malesci, la Presidente della Corte di Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, e la Presidente del Tribunale di Nola, Paola Del Giudice. La comunicazione segnala la costante e quotidiana inefficienza del sistema, che sta causando notevoli ritardi nelle procedure giudiziarie e aumentando gli arretrati a causa dei continui rinvii d’ufficio.

Il documento illustra una serie di incidenti, tra cui verbali d’udienza irreperibili o caricati solo parzialmente nel sistema, testimonianze non registrate a causa di problemi di connettività, e documenti misallocati nei fascicoli telematici. Tali disfunzioni contrastano con l’obiettivo della riforma “Cartabia” di accelerare i processi e ridurre gli arretrati, rendendo il sistema attuale un ostacolo piuttosto che un facilitatore.

Il Consiglio ha richiesto la formazione di un tavolo tecnico urgente che coinvolga tutti gli operatori del settore giudiziario per formulare un piano d’intervento. Nel frattempo, ha proposto un provvedimento provvisorio che permetta ai Giudici di Pace di gestire le udienze attraverso la verbalizzazione cartacea, come soluzione temporanea al doppio binario, fino a quando le disfunzioni del sistema PST non saranno risolte.

Questo appello sottolinea la necessità di un’immediata revisione delle infrastrutture informatiche nel settore giustizia, per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e il rispetto dei diritti dei cittadini.

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