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Politica

Alessandro Sallusti: «Mio nonno fucilato dai partigiani, ma quella non è la mia storia»

Il direttore de Il Giornale racconta per la prima volta al Corriere della Sera la storia familiare che ha segnato la sua vita, nel nuovo libro “L’eresia liberale” in uscita per Rizzoli. 

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Alessandro Sallusti (le foto sono di Imagoeconomica), in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, parla per la prima volta apertamente della storia del nonno Biagio Sallusti, ufficiale dell’esercito italiano fucilato dai partigiani nel dopoguerra. «Non so se fosse davvero fascista. Certo non era un gerarca, ma si schierò con la parte sbagliata della storia», ammette il giornalista. E aggiunge: «Per nulla al mondo rinnegherei la memoria di mio nonno. Sono onorato di essere suo nipote. Ma non c’entro nulla con quello che fece».

La scoperta a scuola e il silenzio di casa

Sallusti racconta che da bambino in casa si parlava pochissimo di suo nonno, solo risposte vaghe: «È morto in guerra». La verità arriva un giorno a scuola, quando sfoglia un libro di storia delle medie e trova una lettera scritta da un condannato a morte: «Ho riconosciuto subito la firma, era mio nonno Biagio». Accanto a quella, un’altra lettera, quella del partigiano Giancarlo Puecher, che Biagio Sallusti aveva fatto condannare a morte. Due uomini su fronti opposti, accomunati dalle stesse parole: «Pacificare, riunire, ricostruire».

La memoria e la vendetta mancata

Il nonno, racconta Sallusti, «riuscì a salvare tre dei quattro condannati», ma per quella decisione la famiglia subì una feroce rappresaglia: «Mia nonna fu violentata, la casa distrutta, mio padre e i suoi fratellini ridotti alla fame». È sua madre Carla a raccontargli lentamente tutto. «Ringrazio Dio e mio padre per avermi protetto dalla tentazione di vendicarmi. Quella non era la mia storia».

ALESSANDRO SALLUSTI

Il baule sul terrazzo e il tentativo di salvare Mussolini

Un giorno, parlando con la nonna, Sallusti scopre un baule che lei apriva una volta l’anno: «C’erano il pigiama, il pettine, la scacchiera, il sapone, la divisa del nonno. Tutto quello che ci hanno restituito». E anche il racconto dell’ultimo disperato tentativo di Biagio di salvare Mussolini: «Voleva farlo fuggire in barca verso la Svizzera, ma i tedeschi non acconsentirono. Tornò a casa e disse: “Lina, è tutto finito”».

La vita prima del giornalismo

Sallusti racconta anche del padre, che «non parlava mai della tragedia vissuta». Visse nella povertà, si fece da solo, diventando direttore generale in una ditta di trasporti. Alessandro, a sua volta, lavorò come benzinaio, fattorino e mozzo sui battelli del Lago di Como: «Non ho imparato a fare quei mestieri, ho imparato a lavorare». E fece anche il militare nel battaglione San Marco: «Con me c’erano anche delinquenti abituali. Lì ho imparato la vita vera».

Giorgia Meloni, Berlusconi, Renzi e Feltri

Sallusti giudica Giorgia Meloni «una vera novità», ma ammette: «Finora ha fatto poco. Ha bisogno di dieci anni». Su Berlusconi: «Era tutto: statista, imprenditore, puttaniere. Sognava di governare con Renzi». E rivela: «Mi mostrò un appunto con un piano: Forza Silvio al 16%, Forza Renzi al 26%. Voleva farlo davvero».

Su Vittorio Feltri: «I suoi rapporti con me sono pessimi, i miei con lui ottimi. Ho avuto la fortuna di lavorare con il Maradona del giornalismo». Su Renzi: «Mi ha deluso. Non ci trovo nulla di male se si fa pagare, ma un ex premier non scrive un libro contro la premier in carica».

Il caso Boffo e la storia con Daniela Santanché

Sull’affaire Boffo, Sallusti risponde: «Lo rifarei. Non era una bufala. Era stato davvero condannato. Non ci ha mai querelati». E sul suo passato sentimentale: «Non rinnego le donne della mia vita. Né Daniela, né le mie due mogli. Ora sono felice con la mia compagna».

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Politica

Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Politica

Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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