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Caso Diciotti, Salvini è già in campagna elettorale per le europee e recita un copione. Di Maio non vuole essere una comparsa e grazie a Conte si è quasi smarcato, ma…

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È un incrocio difficile quello impegnato da Luigi Di Maio, capo politico del M5S. C’è la questione Diciotti. C’è da decidere che cosa fare rispetto alla richiesta di processare il ministro dell’interno Matteo Salvini arrivata dal Tribunale dei Ministri di Catania. C’è da avviare il reddito di cittadinanza. Ci sono nodi importanti come l’affaire Tav (si fa o non si fa?), la revoca della Concessione ad Autostrade, la ricostruzione del Ponte Morandi, le ricostruzioni ferme al palo delle zone terremotate, le elezioni europee… Nel governo gialloverde a due gambe c’è un partito monolite (la Lega) dove il capo (Salvini) decide e gli altri ascoltano ed eseguono la linea politica. E c’è un Movimento dove c’è il capo politico ma c’è democrazia interna, dibattito anche molto crudo, si discute, ci sono differenze, fibrillazioni e ci sono anche parlamentari messi alla porta quando si “distinguono” troppo rispetto ad una linea politica adottata a maggioranza.

Luigi Di Maio sta provando a mediare col gruppo dirigente rispetto alla richiesta di processo a Salvini. Su nave Diciotto il leader leghista sta costruendo mediaticamente la campagna elettorale delle europee. Lui sarà il custode e il difensore delle frontiere italiane dall’invasione dei migranti, gli altri (tutti, compresi quelli che lo vogliono processare e quelli che l’hanno mandato a processo col loro voto) saranno quelli che lo vogliono fermare. Questo sarà il copione della recita a soggetto di una lunga campagna elettorale già partita. Di Maio l0 ha capito ma deve essere capace di far digerire questa situazione al gruppo dirigente del M5S che si dimena in dibattiti.

Al vertice con i senatori della Giunta delle immunità c’è stata una riunione interlocutoria prima di ufficializzare la linea sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini per il caso Diciotti. “Abbiamo mangiato benissimo ora vado a prendere un caffè da Conte” ha detto Di Maio prima di recarsi a Palazzo Chigi ai giornalisti che allungavano un microfono sperando in una dichiarazione ufficiale. “È la prima riunione, studieremo le carte”, spiega un esponente M5S mentre un suo collega di Palazzo Madama osserva: c’e’ anche una parte tecnica da esaminare”.

Dal premier Giuseppe Conte – di rientro da Cipro in fretta – il vicepremier Luigi Di Maio ha incontrato il suo omologo vicepremier Matteo Salvini. È stato esaminato il dossier Sea Watch e si è parlato del caso Diciotti. Sul tavolo, ovviamente, c’era  il voto del Senato sull’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini che prima ha chiesto di andare a processo per dimostrare l’infondatezza delle tesi dei magistrati del tribunale dei Ministri. Poi d’un tratto ha cambiato idea ed ha richiesto agli avvocati di non autorizzare il processo.  Dopo un’ora di vertice a Palazzo Chigi Conte, Salvini e  Di Maio sono andati via senza rilasciare dichiarazioni. Chi può togliere le castagne dal fuoco al Governo e al M5S è il professor Conte. Che ha già offerto ai due soci di maggioranza del Governo la soluzione. Tutte le decisioni sulla questione Diciotti e altre consimili questioni relative al fenomeno migranti sono frutto della direzione politica del Governo. E collegialità delle decisioni a parte, il responsabile della linea e l’interprete non è un ministro ma il suo capo, il capo del Governo. Giuseppe Conte il Mite dà ogni giorno prova di essere un grande mediatore ma di avere anche fiuto politico. Anche questa volta ha subodorato in anticipo i rischi seri per la tenuta del governo se Salvini continua a tirare la corda. Vedremo nelle prossime ore come Conte toglierà le castagne dal fuoco ai suoi amici del M5S, contraenti di un contratto di Governo cui occorrerà farei un tagliando dopo le elezioni europee.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Un video per raccontare la lotta al tumore ovarico

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Le donne colpite dal tumore ovarico raccontano, condividono le loro paure, le loro speranza e allo stesso tempo chiedono maggiore attenzione verso questa grave patologia. L’iniziativa è realizzata dalle donne dell’associazione ALTo attraverso un video che da oggi, in occasione della Giornata mondiale contro il tumore ovarico, è disponibile su You Tube.

Il tumore ovarico è il settimo tumore più comune tra le donne a livello mondiale e costituisce l’ottava causa di morte per cancro femminile. Solo in Italia sono circa 6mila le donne che ogni anno ricevono una diagnosi di tumore ovarico. “Ogni donna che combatte contro il cancro ovarico ha una storia unica da raccontare e attraverso questo video vogliamo dare loro voce – spiega Maria Teresa Cafasso, presidente dell’Associazione ALTo – vogliamo mostrare al mondo intero la loro forza e determinazione e allo stesso tempo sensibilizzare sull’importanza della conoscenza precoce, dell’accesso ai trattamenti e della necessità di approvare nuovi farmaci per la cura delle frequenti recidive che spesso colpiscono le donne affette da questa malattia”.

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Nell’inchiesta su Toti l’ombra di una talpa

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Nell’inchiesta sul presunto comitato d’affari e corruzione che ha portato all’arresto (ai domiciliari) del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti spunta l’ombra di una talpa. E’ un aspetto su cui lavorano gli investigatori della guardia di finanza, coordinati dai pm Federico Manotti e Luca Monteverde, alla luce di quanto emerso dalle intercettazioni ambientali.

E’ il 30 settembre 2020. I fratelli Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa, iscritti a Forza Italia in Lombardia e da ieri sospesi dal partito, vengono a Genova per incontrarsi con alcune persone della comunità riesina. A quell’incontro si avvicina un uomo con la felpa e il cappellino.

“Viene riconosciuto in Umberto Lo Grasso (consigliere comunale totiano). Che dice a Italo Testa: “Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono …. Stanno indagando”. In tutta risposta Italo Maurizio Testa afferma: “si lo so, non ti preoccupare …. L’ho stutato (“spento” in dialetto siciliano, ndr)”. Questa condotta, scrive il giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni, “appare in tal modo integrare il delitto di favoreggiamento personale, avendo il predetto – avvisando i fratelli Testa a non parlare al telefono essendo in corso indagini (“stanno indagando”) – fornito un aiuto in favore dei predetti ad eludere le investigazioni a loro carico”.

Ma chi ha avvisato Lo Grasso? Una ipotesi è che vi sia appunto una talpa visto che Stefano Anzalone, totiano anche lui e indagato nell’inchiesta, è un ex poliziotto che ha dunque agganci tra le forze dell’ordine. L’altra ipotesi è che si possa trattare di una sorta di millanteria dello stesso Anzalone che dopo le elezioni voleva togliersi di torno i fratelli Testa e non onorare le promesse fatte in cambio dei voti.

Tutti gli indagati citati in questo articolo sono da considerare presunti innocenti.

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