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Economia

La scure dei dazi, Trump colpisce anche l’agroalimentare

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La scure dei dazi di Donald Trump si abbatte su Canada, Messico e Cina. Scattano infatti, a meno di ripensamenti dell’ultima ora, le tariffe che il presidente americano minaccia da settimane contro tre dei suoi maggiori partner commerciali. Colpevoli, a suo avviso, di non aver fatto abbastanza per fermare il flusso di fentanyl e migranti verso gli Usa. Dal 2 aprile, invece, il presidente ha annunciato di voler colpire anche i prodotti agricoli. Sul suo social Truth, il presidente ha avvisato i “grandi agricoltori americani” di prepararsi a un aumento dalla domanda dei loro prodotti, per i quali non scatterà alcuna nuova tassa. Trump non ha offerto dettagli sui settori che saranno colpiti o se ci saranno delle eccezioni. Non è neanche chiaro se rientrano nei dazi reciproci che intende imporre a tutti i partner commerciali, Ue compresa.

Mentre le trattative dietro le quinte continuano per scongiurare le tariffe, Ottawa e Città del Messico sperano in un ripensamento in extremis che eviti l’entrata in vigore di tariffe al 25%. Pechino invece ha già minacciato ritorsioni nel caso in cui i dazi venissero raddoppiati al 20%. “Se gli Usa insistono nell’imporre dazi unilaterali e annunciano formalmente misure rilevanti, la Cina adotterà sicuramente contromisure forti e potenti”, fanno sapere fonti informate al Global Times, tabloid del Quotidiano del Popolo, spiegando che le risposte “includeranno probabilmente sia tariffe sia una serie di misure non tariffarie, e i beni agricoli e alimentari Usa saranno molto probabilmente elencati”. Trump sembra intenzionato a tirare dritto contro Pechino che, a differenza di Canada e Messico, non ha fatto aperture all’amministrazione. Alla minaccia di dazi, infatti, Ottawa ha risposto creando uno ‘zar per il fentanyl’ e ha stanziato ulteriori risorse contro il crimine organizzato.

Il Messico invece ha dispiegato truppe al confine e consegnato agli Stati Uniti alcuni boss dei cartelli del narcotraffico incluso Caro Quintero, il fondatore del cartello di Guadalajara che ha ucciso l’agente della Dea – la Drug Enforcement Administration – Enrique ‘Kiki’ Camarena. Pechino invece non si è mossa e, nonostante i contatti fra i due governi, un colloquio telefonico fra Trump e il presidente cinese Xi Jinping non si è ancora tenuto. Proprio guardando a Xi, Trump ha annunciato un accordo con il colosso dei semiconduttori taiwanese Tsmc. La società investirà 100 miliardi di dollari in quattro anni negli Usa per la costruzione di impianti per i chip, essenziali nella corsa all’intelligenza artificiale nella quale gli Stati Uniti vogliono il dominio. Tsmc è il maggiore produttore al mondo di semiconduttori e produce i suoi chip più avanzati solo a Taiwan, l’isola al centro delle ambizioni espansionistiche della Cina.

Questo ha fatto sì che nel corso degli anni salisse la pressione sulla società per diversificare la produzione. Nel 2020 Tsmc ha aperto un suo impianto in Arizona e nel 2022 ha ricevuto 6,6 miliardi di dollari dal Chips Act, la legge voluta da Joe Biden per rilanciare l’industria dei semiconduttori negli Stati Uniti e aspramente criticata da Trump che ritiene i dazi più efficaci. Da quando ha assunto l’incarico il presidente americano ha fatto del rilancio della manifattura negli Stati Uniti il suo cavallo di battaglia ed è apparso al fianco di manager di molte società che hanno annunciato investimenti miliardari negli Stati Uniti, incluse Apple e OpenAI, la rivale di xAI di Elon Musk.

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Economia

Nagel incontrerà soci e istituzioni per ops su Banca Generali

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A una settimana dal cda di Mediobanca che ha approvato l’offerta pubblica di scambio su Banca Generali, nei prossimi giorni – da quanto si apprende – i vertici della banca guidati dall’amministratore delegato Alberto Nagel (foto Imagoecnomica) spiegheranno ad azionisti, istituzioni e dipendenti le ragioni industriali e i dettagli dell’operazione che recide il legame con Generali per dare vita a un polo italiano nella gestione del risparmio. Intanto Mediobanca ha pubblicato il documento informativo relativo ad operazioni di maggiore rilevanza con parte correlata.

Dal documento emerge che il comitato parti correlate, che si è riunito domenica scorsa prima del cda che ha approvato l’offerta, ha espresso parere favorevole sull’interesse della banca al compimento dell’operazione, nonché sulla relativa convenienza e correttezza sostanziale delle relative condizioni. Il sì del comitato composto da quattro consiglieri, è arrivato con l’astensione del presidente Sandro Panizza, che è stato eletto nel board nella lista di Delfin – azionista di Mediobanca con il 19,8% – , votata anche dal gruppo Caltagirone (7,3%).

“Panizza, pur comprendendo le ragioni industriali alla base dell’operazione, ha ritenuto di astenersi in considerazione del ridotto tempo disponibile per l’analisi di un’operazione così trasformativa per la banca, avuto riguardo a talune ipotesi industriali del management poste a base della valutazione e taluni assunti valutativi dell’advisor finanziario”. Così il documento di Mediobanca spiega l’astensione del presidente del comitato parti correlate sull’ops su Banca Generali.

Nel documento sono soprattutto esposti i benefici che, verosimilmente, i vertici della banca spiegheranno negli incontri delle prossime settimane a tutti gli stakeholder. In particolare, “Mediobanca ritiene che l’integrazione con l’Emittente, che darebbe vita ad un leader nel Wealth Management in Italia, sia nell’interesse di tutti gli stakeholders e del sistema finanziario italiano nel suo complesso: – gli azionisti di Banca Generali beneficerebbero di una rilevante possibilità di valorizzazione del proprio investimento, atteso che Mediobanca riconoscerà un corrispettivo superiore al massimo storico delle quotazioni di borsa di Banca Generali con un premio”; “gli azionisti di Mediobanca beneficerebbero di un significativo potenziale di creazione di valore derivante da sinergie di costo, di ricavo e di funding, unitamente ad una migliore diversificazione del rischio e del quality of earnings, oltre che a una maggiore generazione di capitale e conseguente capacità di distribuire dividendi; – i clienti di Banca Generali beneficerebbero del posizionamento distintivo di Mediobanca nel Private & Investment Banking” mentre “i clienti del gruppo Mediobanca beneficerebbero a loro volta della maggiore scala operativa del gruppo integrato, nonché della combinazione delle curve di esperienza e best practices; – i dipendenti dei gruppi di Banca Generali e di Mediobanca beneficerebbero della significativa combinazione di due realtà bancarie costruite secondo gli stessi fondamenti di cultura manageriale”; “i consulenti finanziari entrerebbero a fare parte di un campione nazionale con una posizione di leadership in molti ambiti di operatività, con un brand unico”.

Infine “il sistema finanziario italiano potrebbe contare su un operatore finanziario di alto profilo, leader in segmenti strategici dei servizi finanziari, con un progetto industriale distintivo, prospettive di crescita significative e creazione di valore per tutti gli stakeholders, con beneficio sia per il Gruppo Assicurazioni Generali, che fruirebbe di un partner bancario con accresciuta capacità distributiva e potenziale di crescita, sia per tutti gli azionisti di Banca Generali che riceveranno azioni Assicurazioni Generali qualora aderissero all’Offerta”.

Se Alberto Nagel riuscirà a convincere gli stakeholder e in particolare gli azionisti, chiamati a esprimersi nell’assemblea del 16 giugno, Mediobanca stima che “l’aggregazione tra Emittente e Offerente potrà consentire la piena valorizzazione delle potenzialità di entrambi, con un’elevata capacità di creazione di valore a beneficio degli azionisti, dei clienti, dei dipendenti e di tutti gli stakeholders. In particolare come è stato già indicato quando lunedì è stata comunicato l’ops, “facendo leva sulla maggiore massa critica del gruppo nel medesimo ambito di operatività, si generano significative economie di scala ed una migliorata efficienza operativa, con sinergie di costo lorde stimate a regime per circa 150 milioni”.

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Economia

Trump: non rimuoverò Powell prima della scadenza

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Donald Trump ha dichiarato in un’intervista a Nbc che non rimuoverà Jerome Powell (foto in evidenza Imagoeconomica) dalla carica di presidente della Fed prima della scadenza del suo mandato, prevista per maggio 2026, definendo il banchiere centrale una persona “completamente rigida” e ripetendo gli appelli alla Fed ad abbassare i tassi di interesse.

rump ha affermato che Powell non è un suo fan, ma si aspetta che la Fed abbassi i tassi di interesse a un certo punto. “Beh, dovrebbe abbassarli. E a un certo punto lo farà. Preferirebbe di no perché non è un mio fan”, ha detto, sostenendo di non piacere a Powell perché lo ritiene una persona totalmente rigida e incapace. Alla domanda se avrebbe rimosso Powell prima della fine del suo mandato come presidente nel 2026, Trump ha rilasciato la sua smentita più decisa, dicendo: “No, no, no… perché dovrei farlo? Potrò sostituire quella persona tra poco tempo”.

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Economia

Sncf sfida Trenitalia e Italo: “Porteremo 10 milioni di nuovi passeggeri sull’alta velocità italiana”

La francese Sncf vuole entrare nel mercato AV italiano con 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Investimento da 800 milioni e 300 assunzioni.

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L’operatore francese chiede spazio per 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Ma le trattative con Rfi sono complicate: “Binari saturi, serve razionalizzare”

Milano–Roma–Napoli, ma anche Torino–Venezia: sono queste le direttrici su cui Sncf, il colosso ferroviario francese, punta per rompere il duopolio Trenitalia-Italo nell’alta velocità italiana. Dopo i primi contatti nel 2022, il debutto dei treni francesi è atteso per l’estate del 2027, ma le difficoltà non mancano.

In una lunga intervista al Corriere della Sera, Caroline Chabrol (le foto sono di Imagoeconomica), direttrice generale di Sncf Voyages Italia, racconta le ambizioni del gruppo: “Non vogliamo sottrarre clienti alle aziende esistenti. Il nostro obiettivo è intercettare milioni di italiani che oggi non viaggiano in treno”.

Da Milano a Parigi: +10% di passeggeri, nonostante la frana

Sncf è già presente in Italia con il collegamento Milano–Torino–Parigi, interrotto a lungo per una frana e recentemente ripristinato. “Nonostante il viaggio sia passato da 7 a 9 ore, la domanda è rimasta alta. Le prenotazioni estive 2025 sono aumentate del 10%”, spiega Chabrol.

Con tre frequenze giornaliere, si stimano circa 700mila passeggeri all’anno. Proprio questi volumi hanno spinto la società a investire sull’alta velocità nazionale: “Abbiamo ordinato 15 nuovi TGV M a due piani adattati alle infrastrutture italiane”.

CAROLINE CHABROL DIRETTRICE SNCF VOYAGES ITALIA

Trattative difficili con Rfi: “Ci avevano dato due viaggi, poi solo uno”

Sncf ha chiesto 13 frequenze giornaliere a Rfi: 9 tra Torino–Milano–Roma–Napoli, 4 tra Torino e Venezia. Ma, secondo la dirigente, “le trattative sono state frustranti: all’inizio ci avevano dato due viaggi a direttrice, poi sono scesi a uno. Non è sostenibile”.

Sullo sfondo c’è anche un’indagine dell’Antitrust italiano, che sospetta un possibile “abuso di posizione dominante” da parte di Rfi nell’ostacolare l’ingresso di Sncf. La società che gestisce i binari respinge ogni addebito.

Un piano industriale da 800 milioni e 300 nuove assunzioni

Sncf stima 10 milioni di passeggeri all’anno, con una potenziale sottrazione del 30% agli operatori attuali, ma la strategia resta quella di “aumentare lo switch modale”, spingendo chi oggi viaggia in auto, aereo o autobus a passare al treno.

Ogni treno in doppia composizione potrà trasportare 1.300 passeggeri, con tariffe non ancora definite, anche se si smentisce l’intenzione di diventare una low cost: “Guardiamo anche al segmento corporate”, precisa Chabrol.

Il piano prevede 800 milioni di investimento e 300 assunzioni in Italia, tra macchinisti, capitreno, manutentori e addetti operativi.

“Binari saturi, il modello multi-frequenza non regge più”

La sfida non sarà solo con Trenitalia e Italo, ma anche con la capacità della rete ferroviaria. “I binari sono saturi, e questo sta causando ritardi. Il modello di alta frequenza non è più sostenibile. Serve una razionalizzazione dell’offerta”, dice Chabrol.

Sncf pagherà circa 50 milioni di euro l’anno a Rfi per l’uso dell’infrastruttura, ma chiede in cambio condizioni eque per garantire concorrenza. “Portiamo valore a tutto il sistema, anche all’Italia”, conclude.

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