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Piacenza, l’autopsia su Aurora Tila smentisce l’ipotesi del suicidio: il 15enne accusato di omicidio

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La morte di Aurora Tila, la tredicenne precipitata dal balcone del terzo piano il 25 ottobre scorso, assume contorni sempre più inquietanti. L’autopsia eseguita dal medico legale Giovanni Cecchetto dell’Università di Pavia ha rilevato lesioni incompatibili con il suicidio, facendo emergere la possibilità di una spinta all’indietro che avrebbe provocato la caduta.

Un quadro che coincide con le conclusioni del Tribunale per i Minorenni di Bologna, che ha disposto l’arresto del 15enne ex fidanzato di Aurora con l’accusa di omicidio volontario. Il ragazzo, attualmente detenuto in un carcere minorile, nega ogni responsabilità.

Le lesioni sul corpo di Aurora: segni di violenza prima della caduta

L’autopsia ha individuato tre elementi chiave che mettono in dubbio l’ipotesi del suicidio:

  • Lividi sulle nocche, probabilmente causati da pugni ricevuti.
  • Ecchimosi su un braccio, segno di una possibile aggressione e di uno strattonamento violento.
  • Lesioni sulla parte posteriore del cranio, che suggeriscono una caduta all’indietro invece che un lancio volontario nel vuoto.

Secondo gli esperti, se Aurora avesse scelto di togliersi la vita, si sarebbe lanciata in avanti. Il fatto che sia caduta all’indietro rafforza la tesi della spinta da parte di un’altra persona.

Tre testimoni e una ricostruzione shock

Ad aggravare la posizione del 15enne ci sono almeno tre testimoni, ascoltati dai carabinieri del nucleo investigativo di Piacenza.

Due operai, che si trovavano su un ponteggio nelle vicinanze, avrebbero visto la scena. Un terzo testimone, invece, avrebbe udito le urla disperate di Aurora, che era aggrappata alla ringhiera mentre il ragazzo le colpiva le mani con i pugni per farla cadere.

Un atto di violenza estrema, che se confermato porterebbe a una nuova tragica pagina di femminicidio, con una vittima di soli tredici anni.

Un rapporto tossico e segnali ignorati

L’ombra della violenza psicologica e fisica aleggiava da tempo nella vita di Aurora.

“Sapevo che avevano un rapporto conflittuale. Aurora mi raccontava che lui la umiliava, le diceva che non era bella, che era uno stecchino, che tutti la deridevano”, ha raccontato la madre Morena Corbellini.

La donna non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio e aveva conservato messaggi e screenshot delle aggressioni subite dalla figlia. In quelle conversazioni, Aurora raccontava episodi di strattonamenti, furti di cellulare e aggressioni fisiche.

Fino alla decisione di lasciarlo.

Una scelta che, forse, ha scatenato la reazione estrema del ragazzo.

La profanazione del memoriale: angioletti e fiori rubati

A rendere ancora più dolorosa questa vicenda è la scoperta di atti di vandalismo al piccolo sacrario dedicato ad Aurora, nel palazzo dove viveva con la madre e la sorella, in via IV Novembre a Piacenza.

Qualcuno ha rubato l’angioletto di ceramica, un orsetto di cristalli e persino un vaso con tre rose bianche. Segni di un’intollerabile mancanza di rispetto, che aggiungono ulteriore sofferenza alla famiglia.

Una madre che cerca giustizia

“Cinquanta pagine che parlano chiaro”, ha detto l’avvocata Anna Ferraris, che assiste la madre di Aurora.

Il dossier dell’autopsia confermerebbe l’estremo tentativo della ragazza di restare aggrappata alla ringhiera, mentre qualcuno cercava di farla cadere con la forza.

Ora la famiglia attende la verità giudiziaria, nella speranza che Aurora non venga ricordata come un’altra vittima dimenticata di un femminicidio annunciato.

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Cronache

Inchiesta Doppia Curva, altri 7 arresti: ombre su Inter, Milan e il ruolo di Zanetti. Rapporti tra curva e dirigenza sotto i riflettori

L’inchiesta Doppia Curva porta a nuovi arresti tra gli ultrà di Inter e Milan. Emergono rapporti tra Bellocco, Beretta, Scarfone e il vicepresidente Zanetti.

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La nuova tranche dell’inchiesta Doppia Curva ha portato oggi all’arresto di sette persone legate alle tifoserie organizzate di Inter e Milan, rivelando una rete di intrecci tra criminalità organizzata, imprenditoria e ambienti dirigenziali calcistici.

Il ruolo di Antonio Bellocco e la rete di contatti

Nel provvedimento cautelare si legge dell’esistenza di un rapporto diretto tra Antonio Bellocco, figura di spicco della curva Nord e affiliato alla ’ndrangheta, e la società Inter. Bellocco, ucciso nel settembre scorso da Andrea Beretta, ex capo ultrà interista oggi collaboratore di giustizia, avrebbe avuto “concrete entrature” nella multinazionale QFort, attiva nella produzione di infissi e dichiarata estranea all’inchiesta.

Il legame passava attraverso Davide Scarfone, oggi in carcere, amministratore unico della QFort Como srl e rappresentante di altre due società del gruppo. Scarfone era vicino sia a Bellocco che a figure centrali della curva Sud del Milan, come Luca Lucci e Marianna Tedesco, già coinvolti nel maxi blitz del settembre 2023.

L’evento QFort e la presenza di Zanetti

Secondo le intercettazioni, Bellocco si era attivato per ottenere la partecipazione del vicepresidente dell’Inter Javier Zanetti a un evento organizzato da QFort l’11 novembre 2023, rilevante per gli affari di Scarfone. Il 17 novembre Zanetti partecipò effettivamente all’iniziativa, su quella che viene descritta dal gip come “espressa volontà di Bellocco”, per rafforzare il prestigio di Scarfone.

Durante l’evento, Zanetti avrebbe elogiato pubblicamente l’imprenditore, che a sua volta si sarebbe vantato del riconoscimento ricevuto. Beretta, interrogato, ha ammesso di aver contattato Zanetti direttamente: “C’era proprio un rapporto di amicizia con Javier”.

Minacce e usura: gli affari sporchi del clan

Scarfone, sempre secondo l’ordinanza, avrebbe anche minacciato un imprenditore comasco, costretto a subire tassi usurari fino al 400% per prestiti ricevuti dal clan Bellocco. Un quadro che, per la magistratura, dimostra la pervasività dei legami tra criminalità e mondo ultras, con gravi implicazioni per le società calcistiche coinvolte.

La sanzione della Figc a Zanetti

La Figc ha recentemente multato Javier Zanetti per 14.500 euro, dopo aver analizzato gli atti dell’inchiesta. Una sanzione che certifica l’interesse della giustizia sportiva per i rapporti intercorsi tra la dirigenza nerazzurra e ambienti ultrà poi finiti in carcere.

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Inchiesta Doppia Curva, altri arresti per usura ed estorsione con finalità mafiosa legati alle tifoserie di Inter e Milan

Nuovi sviluppi nell’inchiesta Doppia Curva: sette arresti per usura ed estorsione, coinvolto Mauro Russo, ex socio di Maldini e Vieri. Contestata l’aggravante mafiosa.

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L’inchiesta Doppia Curva della Procura di Milano si allarga: altri sette arresti sono stati eseguiti nelle scorse ore per reati di usura ed estorsione legati al mondo del tifo organizzato. Per alcuni degli indagati la magistratura contesta l’aggravante della finalità mafiosa, per aver favorito la potente cosca calabrese dei Bellocco, uno dei clan più influenti della ‘ndrangheta.

Ai domiciliari Mauro Russo, legato ai parcheggi di San Siro

Tra i nomi finiti in manette figura anche Mauro Russo, personaggio noto per essere stato socio in affari con due ex stelle del calcio italiano: Paolo Maldini e Christian Vieri, entrambi completamente estranei alle indagini in corso. Russo è accusato di aver estorto 4mila euro al mese all’imprenditore Gherardo Zaccagni, ex gestore dei parcheggi dello stadio di San Siro, per un totale stimato in circa 60mila euro.

Secondo quanto riportato nell’ordinanza del gip Domenico Santoro, Russo avrebbe svolto attività opache anche in altri ambiti calcistici, come la tentata acquisizione dei parcheggi dello Stadio San Nicola di Bari. In quell’occasione, secondo gli inquirenti, avrebbe cercato di ottenere il via libera da parte di famiglie mafiose locali, confermando un modus operandi consolidato.

Rapporti con società di calcio e istituzioni: un sistema da decifrare

Il giudice Santoro sottolinea nella misura cautelare come Mauro Russo sia in grado di intessere relazioni trasversali, che vanno dal mondo delle curve a quello delle istituzioni, passando per ambiti societari legati al calcio professionistico. Una rete definita “chiaramente evocativa della sua capacità di reiterare condotte analoghe” a quelle oggetto dell’indagine.

Questi nuovi arresti arrivano dopo quelli dei capi ultras di Inter e Milan, già coinvolti nella prima fase dell’inchiesta. Il quadro che emerge è quello di un sistema radicato e tentacolare, dove il confine tra tifo organizzato, business e criminalità appare sempre più sfumato.

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Caso dei turisti israeliani cacciati da un ristorante: indaga la Procura, bufera su Napoli

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Finisce in Procura il caso dei due turisti israeliani che sarebbero stati allontanati per motivi razziali dal ristorante “Taverna Santa Chiara”, nel cuore del centro storico. Un video, registrato con uno smartphone e diventato virale sui social, mostra l’alterco tra la titolare del locale, Nives Monda, e la coppia di clienti, Geula e Raul Moses, cacciati perché “sionisti”, come dichiarato dalla stessa ristoratrice. Ora sul caso indaga la Digos della Questura e il comando provinciale dei Carabinieri, con due informative in arrivo sulla scrivania del procuratore Nicola Gratteri.

Il video e la denuncia

Il filmato, che dura meno di due minuti, documenta la parte finale di uno scontro acceso. Una verità parziale? In questo pezzo di video la sognora Monda invita i due clienti ad uscire dal ristorante, dichiarando di non voler servire cittadini israeliani e definendo Israele uno “Stato genocida e di apartheid”. Che cosa si siano detti prima non è dato sapere. La coppia di israeliani ha denunciato l’episodio ai Carabinieri della caserma Pastrengo, ipotizzando il reato di incitamento all’odio razziale. Si tratta di una ipotesi loro che dev’essere però suffragata da prove. «Ci ha cacciati – dicono – solo perché venivamo da Israele – ha raccontato Geula – e ha urlato che avevamo ucciso 55mila bambini. Abbiamo registrato solo la parte finale per paura che degenerasse».

La replica della titolare

Nives Monda respinge le accuse e sostiene di essere stata vittima di un “episodio intimidatorio”, aggiungendo di aver ricevuto una valanga di minacce e insulti sui social. «È in corso contro di me una campagna d’odio», ha dichiarato.

L’intervento delle istituzioni

Il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, ha espresso «solidarietà ai due turisti a nome dell’intera amministrazione comunale», ribadendo che episodi del genere sono inaccettabili in una città da sempre accogliente e aperta. Sulla stessa linea il prefetto Michele di Bari e l’assessore al Turismo, Teresa Armato, che ha incontrato personalmente la coppia: «La guerra non deve generare odio tra i popoli. Napoli deve restare città di pace, dialogo e ospitalità». Ovviamente si tratta di attestazioni di solidarietà che prescindono dal fatto che c’è una inchiesta e che potrebbe n0n essere del tutto vero quel che i turisti sostengono.

Le reazioni politiche

Durissima la posizione di Severino Nappi, capogruppo della Lega in Consiglio regionale: «Chiediamo al sindaco Manfredi di intervenire e chiudere quel locale. È un esercizio di razzismo che getta discredito sulla città e offende i valori della democrazia. Non si può confondere la politica di un governo con la vita privata di due turisti».

Un caso che divide

L’episodio ha generato un’ondata di reazioni, dividendo l’opinione pubblica e infiammando il dibattito tra chi denuncia l’antisemitismo e chi parla di libertà di espressione. Intanto, la giustizia farà il suo corso, mentre Napoli è chiamata a ribadire i valori che ne fanno una capitale dell’accoglienza.

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