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Cronache

Imprenditore scomparso a Modena, un arresto per omicidio

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Non è stato un allontanamento volontario, non un sequestro di persona, ma un omicidio. Salvatore Legari, imprenditore edile 54enne padre di due figli originario di San Pancrazio Salentino (Brindisi), è stato ucciso e il suo corpo fatto sparire. All’alba, le ipotesi avanzate dalla procura di Modena, che comprendono anche un movente, economico, hanno portato alle manette ai polsi di Alex Oliva, 38enne modenese indagato per omicidio volontario e occultamento di cadavere. L’uomo è in carcere dopo che i carabinieri di Modena hanno dato esecuzione all’ordinanza cautelare firmata dal gip. Dopo esattamente un anno e mezzo dunque, un giallo sembra chiudersi e i parenti della vittima, il figlio Nicholas e le sorelle Nunzia e Floriana, ringraziando gli inquirenti auspicando che presto i resti del loro congiunto vengano trovati.

Oliva, che doveva dei soldi a Legari per lavori su una villa di sua proprietà, avrebbe tentato in più modi di depistare le indagini che avrebbero potuto, e d’altronde lo hanno fatto, condurre a lui. La procura di Modena ne è certa: dal furgone della vittima ritrovato a Sassuolo alla maglietta del 54enne indossata per ingannare le telecamere, così come l’hard disk dell’occhio elettronico puntato sulla sua proprietà sostituito evidentemente per eliminare immagini che lo avrebbero incastrato. Un piano pensato nei dettagli che motiva il pesante capo di imputazione e probabilmente anche la durata delle complesse indagini. Salvatore Legari sparisce nel nulla il 13 luglio del 2023 dopo essere stato, al mattino, in un cantiere edile di cui si stava occupando a Lesignana, alle porte di Modena. Quel cantiere era nella proprietà di Alex Oliva, il committente. Proprio il 13 luglio Oliva, ritengono gli inquirenti, avrebbe dovuto saldare un ingente debito che aveva nei confronti di Legari. Ma da Lesignana Legari non fa più ritorno e di lui non si sa più nulla fino al 22 luglio successivo.

Mentre nel frattempo la compagna dell’imprenditore sporge denuncia per la scomparsa ai carabinieri, a Sassuolo viene infatti rinvenuto il furgone del 54enne con all’interno le chiavi, vestiti ed effetti personali, come le carte di credito. Secondo la ricostruzione fatta dalla procura di Modena e dai carabinieri, Oliva avrebbe indossato una maglia della vittima a Lesignana e si sarebbe messo in viaggio sul furgone verso Sassuolo, presumibilmente dopo aver consumato l’omicidio. Il mezzo lo avrebbe abbandonato lì, a Sassuolo, per allontanarlo il più possibile dalla sua proprietà, dalla casa-cantiere di Lesignana. Proprio su quell’edificio puntavano le telecamere il cui hard disk sempre Oliva avrebbe tolto per sostituirlo con un altro ‘pulito’. Ma gli inquirenti quel viaggio fatto in furgone lo hanno ricostruito successivamente, attraverso l’attenta visione degli impianti di videosorveglianza pubblica e privata e analizzando il tabulato di traffico dell’utenza che era in uso alla vittima fino al suo spegnimento. Non solo: una consulenza foto-antropometrica ha stabilito che, nonostante quella maglietta gli appartenesse, alla guida del furgone non c’era Salvatore Legari.

Piuttosto le fattezze della persona al volante corrispondono proprio a quelle di Alex Oliva. Per questi motivi il 38enne ora è nel carcere di Modena, ma manca ancora un tassello di questa tragica vicenda: dov’è il corpo dell’imprenditore edile? In questo anno e mezzo gli inquirenti hanno eseguito scavi intorno alla villa di Lesignana, dettaglio questo che aveva lasciato intendere come la vicenda dovesse essere in qualche modo collegata al cantiere ed a un debito mai estinto. All’ipotesi di un allontanamento volontario, non a caso, gli stessi parenti di Legari non avevano mai creduto, come ribadiscono oggi in un testo diffuso dagli avvocati Antonio Cozza e Corina Torraco: “Abbiamo sempre sostenuto che – le parole del figlio di Legari, Nicholas, e delle sorelle Nunzia e Floriana – quello di Salvatore Legari non fosse un allontanamento volontario, ma che qualcosa di grave, forse di irreparabile, fosse successo e che l’abbandono del suo furgone nel territorio di Sassuolo fosse solo un depistaggio.

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Cronache

Caso dei turisti israeliani cacciati da un ristorante: indaga la Procura, bufera su Napoli

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Finisce in Procura il caso dei due turisti israeliani che sarebbero stati allontanati per motivi razziali dal ristorante “Taverna Santa Chiara”, nel cuore del centro storico. Un video, registrato con uno smartphone e diventato virale sui social, mostra l’alterco tra la titolare del locale, Nives Monda, e la coppia di clienti, Geula e Raul Moses, cacciati perché “sionisti”, come dichiarato dalla stessa ristoratrice. Ora sul caso indaga la Digos della Questura e il comando provinciale dei Carabinieri, con due informative in arrivo sulla scrivania del procuratore Nicola Gratteri.

Il video e la denuncia

Il filmato, che dura meno di due minuti, documenta la parte finale di uno scontro acceso. Una verità parziale? In questo pezzo di video la sognora Monda invita i due clienti ad uscire dal ristorante, dichiarando di non voler servire cittadini israeliani e definendo Israele uno “Stato genocida e di apartheid”. Che cosa si siano detti prima non è dato sapere. La coppia di israeliani ha denunciato l’episodio ai Carabinieri della caserma Pastrengo, ipotizzando il reato di incitamento all’odio razziale. Si tratta di una ipotesi loro che dev’essere però suffragata da prove. «Ci ha cacciati – dicono – solo perché venivamo da Israele – ha raccontato Geula – e ha urlato che avevamo ucciso 55mila bambini. Abbiamo registrato solo la parte finale per paura che degenerasse».

La replica della titolare

Nives Monda respinge le accuse e sostiene di essere stata vittima di un “episodio intimidatorio”, aggiungendo di aver ricevuto una valanga di minacce e insulti sui social. «È in corso contro di me una campagna d’odio», ha dichiarato.

L’intervento delle istituzioni

Il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, ha espresso «solidarietà ai due turisti a nome dell’intera amministrazione comunale», ribadendo che episodi del genere sono inaccettabili in una città da sempre accogliente e aperta. Sulla stessa linea il prefetto Michele di Bari e l’assessore al Turismo, Teresa Armato, che ha incontrato personalmente la coppia: «La guerra non deve generare odio tra i popoli. Napoli deve restare città di pace, dialogo e ospitalità». Ovviamente si tratta di attestazioni di solidarietà che prescindono dal fatto che c’è una inchiesta e che potrebbe n0n essere del tutto vero quel che i turisti sostengono.

Le reazioni politiche

Durissima la posizione di Severino Nappi, capogruppo della Lega in Consiglio regionale: «Chiediamo al sindaco Manfredi di intervenire e chiudere quel locale. È un esercizio di razzismo che getta discredito sulla città e offende i valori della democrazia. Non si può confondere la politica di un governo con la vita privata di due turisti».

Un caso che divide

L’episodio ha generato un’ondata di reazioni, dividendo l’opinione pubblica e infiammando il dibattito tra chi denuncia l’antisemitismo e chi parla di libertà di espressione. Intanto, la giustizia farà il suo corso, mentre Napoli è chiamata a ribadire i valori che ne fanno una capitale dell’accoglienza.

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Torre Annunziata, il sindaco Cuccurullo replica alle inchieste: «Chiariremo tutto, ma nessuna pressione o complicità»

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Corrado Cuccurullo, sindaco di Torre Annunziata e docente universitario alla Federico II, ha scelto i social per rispondere alle notizie emerse sull’inchiesta che coinvolge la sua amministrazione, evitando al momento il confronto diretto con i giornalisti. Le indagini delle forze dell’ordine – Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia Municipale – coordinate dalla Procura di Torre Annunziata, hanno sollevato il dubbio sull’opportunità di inviare una nuova commissione d’accesso per valutare possibili legami tra amministrazione e ambienti criminali.

Nel suo lungo post, Cuccurullo respinge ogni accusa e parla di «chiacchiericcio» rilanciato dalla stampa. «È mio impegno affrontare ogni problematica con trasparenza e determinazione», scrive il primo cittadino, ricordando le difficoltà storiche della città e l’impegno a voltare pagina.

Il caso della processione e la scelta sul percorso

Uno dei punti più discussi riguarda il corteo della Madonna della Neve, in particolare la decisione sull’itinerario del 22 ottobre 2024. Secondo gli inquirenti, la processione avrebbe potuto attraversare aree “sconsigliate” per la presenza di soggetti legati alla criminalità organizzata. Cuccurullo chiarisce: «L’idea era quella di un segnale di unità cittadina e rinnovamento. Dopo un confronto con le forze dell’ordine si è scelto di mantenere il percorso tradizionale. Nessun attrito con altri organi dello Stato».

Gli sgomberi e le pressioni denunciate

L’inchiesta parla di presunte pressioni per rallentare gli sgomberi di immobili occupati da persone vicine ai clan. Il sindaco nega: «Nessuna pressione è mai stata esercitata. Anzi, gli sgomberi sono stati effettuati, dopo decenni di stallo, e ne sono stati sollecitati altri».

Il nodo dello staff e il presunto danno erariale

Altro tema cruciale: l’impiego non regolarizzato di alcuni staffisti tra luglio e fine 2024. Cuccurullo assicura che sarà effettuata una verifica con le autorità competenti, sottolineando che il ritardo nella formalizzazione dei ruoli è stato determinato da inefficienze burocratiche. «Chi ricopre un incarico amministrativo ha diritto di scegliere il proprio staff. Ma nessuna violazione intenzionale delle norme», aggiunge.

La parentela scomoda di uno staffista

Nel dossier si segnala la parentela di un componente dello staff con la figlia di un esponente del clan Gallo-Cavalieri. Anche su questo, il sindaco è netto: «La storia personale dello staffista è del tutto estranea alle ipotesi circolate. Nessun legame o influenza riconducibile a contesti criminali».

Cuccurullo conclude con un appello alla cautela e al rispetto: «Ogni aspetto sarà chiarito nel rispetto della città e delle persone coinvolte. Chi amministra deve essere messo nelle condizioni di farlo con rigore e serenità».

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Cronache

Un farmacista di Napoli sfida i ladri: “Non mi arrendo, vi aspetto”

A Napoli il dottor Giovanni Russo, dopo tre furti nella sua farmacia, risponde ai ladri con un cartello: “Non mi arrendo, ho installato l’impianto di nebbia”.

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Furti ripetuti nella sua farmacia di via Simone Martini. Il dottor Giovanni Russo reagisce con un cartello indirizzato direttamente ai rapinatori.

Non si arrende, non scappa, non si piega. Il dottor Giovanni Russo, titolare di una farmacia in via Simone Martini, nel cuore del Vomero, ha deciso di rispondere ai ladri con la fermezza di chi ama il proprio lavoro e la propria città. Dopo aver subito almeno tre furti documentati – il 14 agosto, il 4 gennaio e il 4 maggio – ha affisso un cartello all’interno dell’attività per mandare un messaggio chiaro, diretto e ironico: “Vi avevo avvisato, le casse sono vuote e stavolta siete dovuti scappare come conigli”.

Il cartello, scritto tutto in stampatello blu acceso su sfondo chiaro, è diventato virale. Non solo perché si rivolge esplicitamente ai ladri, ma perché racconta molto di più: una resistenza civile fatta di amore per il proprio mestiere, rispetto per i cittadini onesti e rifiuto della rassegnazione.

Il farmacista racconta di aver installato un impianto di “nebbia artificiale”, un sistema che confonde e disorienta i malintenzionati durante le effrazioni. Una scelta costosa ma necessaria, dice Russo, che aggiunge con amarezza e orgoglio: “Mantengo sempre le promesse”, e poi ancora: “Non sarete voi con questi atti vili e meschini a farmi cambiare idea o peggio ancora ad indurmi a lasciare la professione che amo”.

Il cartello è anche un atto d’amore verso Napoli, che chiude con uno slogan che è quasi una firma di resistenza e passione: “Forza Napoli, sempre!”

Un messaggio che in molti hanno condiviso sui social, facendo del dottor Giovanni Russo un simbolo di chi a Napoli decide di non cedere al degrado ma di rimanere, combattere e difendere il proprio lavoro e la propria dignità.

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