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Una giornata pazzesca: la piccola Mavi intervista Mattarella in un corto per Telethon

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Una giornata pazzesca: Mavi intervista Mattarella in un corto per Telethon

Una storia straordinaria, una protagonista d’eccezione e il debutto cinematografico del Presidente della Repubblica. Il cortometraggio “Una giornata pazzesca”, diretto da Francesca Archibugi per sostenere la raccolta fondi di Telethon, va in onda oggi su Raiuno, regalando al pubblico un momento emozionante di sensibilizzazione e speranza.

L’idea: Mavi giornalista per un giorno

La protagonista è Maria Vittoria, detta Mavi, una bambina di 10 anni affetta da atrofia muscolare spinale (SMA), con un sogno nel cassetto: diventare giornalista. L’idea di farla incontrare con il Presidente della Repubblica è nata proprio dalla regista Francesca Archibugi. «Sembrava una boutade — racconta Archibugi — ma il Presidente ha accettato subito, mostrando grande sensibilità verso i bambini e la ricerca scientifica».

Il cortometraggio e il debutto del Presidente

Girato in ottobre con grande riservatezza, il corto dura appena quattro minuti, ma è ricco di significato. «Per noi vale come un kolossal», spiega la regista, sottolineando l’importanza del sostegno presidenziale. Mattarella si è dimostrato spiritoso e disponibile, rendendo il set un’esperienza indimenticabile per Mavi. «Alla fine delle riprese le chiedeva: come saremo andati?», ricorda Archibugi.

L’esperienza di Mavi

Mavi, che frequenta la quinta elementare a Brescia, ha vissuto l’esperienza con entusiasmo e stupore. «Il Presidente è stato molto gentile. Non credevo che girare un film richiedesse tanto tempo», racconta, fiera di aver ricevuto il cartello ufficiale con il ciak, che ora custodisce con orgoglio nella sua camera.

Già aspirante giornalista e scrittrice, Mavi ha iniziato le sue prime interviste a scuola e in famiglia. Una delle più importanti è stata con il suo medico, a cui ha chiesto aggiornamenti sulla sua malattia. «Mi ha detto che siamo messi bene e che la ricerca sta facendo progressi. Ora ho due farmaci che mi aiutano». Ma, come ricorda Mavi, la ricerca ha bisogno di sostegno continuo.

L’importanza di Telethon e della ricerca

Il progetto nasce per supportare la Fondazione Telethon, che si occupa di malattie rare attraverso il lavoro di oltre 400 ricercatori. «Più donazioni arrivano, meglio è», ribadisce Archibugi, spiegando quanto sia cruciale l’impegno collettivo per patologie spesso ignorate dalle grandi case farmaceutiche.

Un messaggio di speranza

“Una giornata pazzesca” non è solo un cortometraggio, ma un simbolo di resilienza, speranza e consapevolezza. Attraverso il sogno di Mavi e il sostegno del Presidente Mattarella, si accendono i riflettori su un tema cruciale: la necessità di sostenere la ricerca per offrire un futuro migliore a chi affronta quotidianamente sfide enormi.

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Nicoletta Romanoff: «Ho perso mio fratello, ma la fede mi ha salvata. Oggi sono felice anche nel dolore»

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Dall’apparente vita da principessa alla quotidianità vissuta con concretezza, passando per un dolore profondo che ha segnato la sua esistenza: Nicoletta Romanoff, attrice e oggi anche scrittrice, si racconta in un’intervista intensa al Corriere della Sera in occasione dell’uscita del suo primo libro, Come il tralcio alla vite (Rizzoli).

Una principessa con i piedi per terra

«Sarà che per dieci anni ho fatto ginnastica artistica, avevo un bel portamento… ma mamma mi tagliava i capelli corti e pratici», racconta Romanoff, smontando con autoironia l’immagine di nobile algida. Figlia di Giuseppe Consolo e discendente degli zar di Russia, dice: «Il sangue blu è più culturale che reale. Mio nonno Nicola parlava sempre di storia. Diceva: se non hai letto un libro almeno otto volte, lo hai solo sfogliato».

Il dolore indicibile per la perdita del fratello

Per la prima volta, Nicoletta racconta la morte del fratello Enzo Manfredi, che a 21 anni si tolse la vita nel 1997. «Con lui se n’è andata una parte di me. Avevo 18 anni e 12 giorni. Da allora mi sono sentita divisa». La ferita è ancora aperta: «Non ci sono risposte, ma da quel momento la fede è diventata parte fondamentale della mia vita. Dio è la mia ancora».

Una maternità precoce che l’ha salvata

A soli 19 anni è diventata madre. A 21 ha avuto il secondo figlio. «Mi ha salvata. Mi ha ridato speranza». La maternità ha significato anche rinunce: «Ho detto tanti no. I registi non ti aspettano. Ma non mi sono mai pentita». Anche quando ha rinunciato a un ruolo importante in un film francese con Daniel Auteuil: «C’era troppo eros. Ho pensato ai miei figli».

Il cinema arrivato per caso

Romanoff non cercava il cinema. «Ero a Parigi, volevano modelle alte e magre. Ma mi dicevano: con quella parlantina andrai lontano». E così è stato. Scelta tra 600 candidate per Ricordati di me di Muccino: «Ero talmente preparata da sapere le battute al contrario». Con Gabriele Muccino ha imparato a lasciarsi andare, con Carlo Verdone ha scoperto la leggerezza sul set: «Un maestro gentile».

L’amore, la famiglia, il presente

Conobbe Giorgio Pasotti durante una fiction nel 2004: «Con lui ho avuto mia figlia Maria. È stata una storia importante e voglio proteggerla». Oggi è sposata con Federico, un amore ritrovato dopo trent’anni. «Ci conoscevamo da sempre, i nostri nonni abitavano nella stessa palazzina».

La fede come bussola di vita

«La fede è come mangiare bene e allenarmi. Ci parli con Dio, ti confidi». Un equilibrio interiore costruito anche grazie al dolore, come dopo la perdita recente del padre, morto in mare nel luglio 2024. «Credevo di essere vaccinata alla sofferenza. Ma lo strazio è l’amore che non puoi più dare».

Una felicità costruita anche nel dolore

Oggi Nicoletta Romanoff si dice serena, felice, nonostante tutto: «La felicità la trovi anche nel dolore. Basta saperla vedere nelle piccole cose. E anche la sofferenza, alla fine, si trasforma in amore».

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Starbase, la nuova città fondata da Elon Musk in Texas

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Nel profondo Sud del Texas, affacciata sul Golfo del Messico, una piccola località chiamata Boca Chica ha cambiato nome, volto e destino. Dove un tempo si estendeva una spiaggia sacra alla tribù dei Carrizo/Comecrudo, oggi sorge Starbase, la prima città fondata da Elon Musk. Con una votazione che ha visto il 97,7% dei residenti favorevoli (solo sei i contrari), Starbase è diventata ufficialmente una municipalità americana.

Il sogno di Musk: da Boca Chica a Marte

Starbase non è una città come le altre. È l’ultima delle circa 2.000 “company town” nella storia degli Stati Uniti: centri abitati costruiti e gestiti direttamente da aziende. Ma qui la compagnia in questione è SpaceX, e l’obiettivo finale non è solo il profitto: è la colonizzazione di Marte.

Il fondatore di Tesla e SpaceX ha fatto erigere un busto dorato alto quattro metri a sua immagine nel cuore della città, dove convivono prefabbricati, caravan di lusso e un solo ristorante: l’Astropub, la cui insegna al neon recita “Occupy Mars”.

Il sindaco è un dirigente SpaceX

Il nuovo sindaco di Starbase è Bobby Peden, 36 anni, vicecapo delle operazioni di lancio di SpaceX. I due vice sindaci lavorano anche loro per l’azienda. Dei circa 500 abitanti della città, la maggior parte è direttamente impiegata nel progetto spaziale. Starbase si estende su appena 3,9 chilometri quadrati, ma il suo impatto politico potrebbe essere notevole: una legge in discussione in Texas potrebbe attribuire al Comune il potere di chiudere autostrade e spiagge durante i lanci. Finora queste decisioni spettavano alla contea di Cameron.

Proteste ambientali e diritti dei nativi

Non mancano però le polemiche. Gli ambientalisti e le comunità native americane denunciano la perdita di uno spazio naturale e sacro. Preoccupazioni arrivano anche dalle famiglie locali, che vedono ridursi l’accesso alla spiaggia di Boca Chica, sempre più chiusa in coincidenza dei test missilistici.

SpaceX ha chiesto di aumentare i lanci da 5 a 25 all’anno, e la tensione con le comunità locali cresce. Il sogno di Musk rischia di trasformare uno dei tratti più selvaggi del Texas in un’enclave industriale proiettata verso lo spazio.

Dalla filanda a Marte: la nuova frontiera delle company town

A metà Ottocento, le prime “company town” come Lowell nel Massachusetts svegliavano le operaie con una sirena alle 4.30 del mattino per mandarle in filanda. A Starbase, al confine con il Messico, la vita è più dolce. Ma l’impronta è la stessa: un’intera città costruita attorno a un’unica azienda, con un unico scopo. Non più il tessile, ma il sogno interplanetario di Elon Musk. Un sogno che ha già cambiato nome e identità a Boca Chica. E che forse, per qualcuno, poteva restare semplicemente un pezzo incontaminato di Texas.

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Liliana Segre: «Israele e Palestina, intrappolati nell’odio. Ma la pace resta l’unica via possibile»

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Parole profonde, lucide, amare. Quelle della senatrice a vita Liliana Segre, che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera si è espressa con fermezza sul conflitto in Medio Oriente, sull’antisemitismo, sulla crisi della democrazia in Europa e nel mondo. «Provo uno sconforto che rasenta la disperazione», ha detto commentando il riaccendersi della guerra tra Israele e Hamas. E ha lanciato un appello accorato: «Due popoli, due Stati resta l’unica via. Nonostante tutto».

«Due popoli in trappola»

Segre descrive il popolo israeliano e quello palestinese come due nazioni «intrappolate, incapaci di liberarsi da una condanna a odiarsi». Una spirale di violenza aggravata, secondo la senatrice, da una classe dirigente dominata dalle «componenti peggiori». Parole durissime su Hamas, definito un «movimento teocratico e sanguinario», e sul governo Netanyahu, che guida Israele con «una destra estremista, iper-nazionalista, con componenti fascistoidi e razziste».

«Il trauma del 7 ottobre – aggiunge – ha certamente imposto una reazione, ma la guerra a Gaza ha assunto connotati inaccettabili. Israele ha oltrepassato i limiti del diritto di difesa, provocando stragi e distruzioni immani».

Nessuna giustificazione per Hamas

Segre è chiara anche su un altro punto: Hamas non è il popolo palestinese. «Non si batte per la libertà del popolo palestinese, ma per distruggere Israele. E lo stesso vale per il regime iraniano, che li usa solo per combattere l’“entità sionista”». Anche Israele ha commesso gravi errori, ma la senatrice ricorda che il ritiro da Gaza nel 2005 apriva una strada verso la pace che è stata vanificata dalla presa del potere violenta di Hamas nel 2006.

«Il genocidio? No, ma crimini di guerra sì»

Nel corso dell’intervista, Segre torna su quanto già affermato in passato: a Gaza si sono visti crimini di guerra e contro l’umanità, da entrambe le parti. Tuttavia, non si può parlare di genocidio: «È un concetto preciso, giuridicamente e storicamente. Le atrocità commesse non bastano a definirlo tale».

La pace come unica via

Nonostante tutto, Segre continua a credere nella soluzione dei due Stati: «Ogni fiammata di violenza rende tutto più difficile, ma non ci sono alternative. Solo la volontà politica può aprire spiragli». E invita a guardare la storia, dove svolte improvvise e impensabili hanno spesso cambiato il corso degli eventi.

«Antisemitismo mai morto, ora è sdoganato»

Un passaggio forte è dedicato al ritorno dell’antisemitismo: «Non era morto, ma nascosto. Ora non ci si vergogna più. Si prende a pretesto la condotta del governo israeliano per giustificare l’odio contro tutto il popolo ebraico, anche contro la diaspora».

L’allarme globale: autoritarismi e il pericolo Trump

Liliana Segre allarga lo sguardo al mondo: «La rielezione di Trump destabilizzerebbe l’ordine globale». Poi punta il dito contro l’ascesa dell’estrema destra in Europa, le interferenze russe, l’influenza di magnati americani nei processi democratici. E una condanna durissima va alla scena dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky: «Un’umiliazione pubblica che mi ha disgustata. Gli Stati Uniti erano i liberatori dell’Europa dal nazifascismo. Vederli rinnegare quel ruolo è un dolore profondo».

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