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In Ucraina i primi F-16, ma Zelensky ne vuole di più

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L’Ucraina ha ricevuto i primi F-16 alleati, gli agognati caccia di fabbricazione americana che potrebbero fare la differenza al fronte per respingere l’avanzata delle forze russe. Nel corso di una cerimonia tenutasi in una località segreta, Volodymyr Zelensky non ha nascosto la soddisfazione confermando – dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi – l’arrivo di un primo gruppo di jet e facendosi riprendere con un certo orgoglio davanti a due apparecchi. Poi ha ricordato le “centinaia di incontri e negoziati” tenuti con gli alleati per ottenere questi aerei e rafforzare la difesa aerea: “Ci avevano detto che sarebbe stato impossibile” avere questi aerei ma “adesso ciò che era impossibile è diventato realtà”, ha detto il leader ucraino, sottolineando però che il numero di caccia è ancora “insufficiente” considerata la squadra di piloti già addestrati e la difficile situazione sul campo di battaglia, dopo le rivendicazioni di Mosca di avanzamenti territoriali dei giorni scorsi.

Quindi ha evocato l’ipotesi di un incontro nel formato Consiglio Ucraina-Nato per discutere la creazione di una coalizione di Paesi per intercettare i missili sull’Ucraina. I giornalisti sul posto hanno visto almeno due F-16 sorvolare il sito durante la cerimonia, sebbene il leader ucraino non abbia specificato quanti ne siano arrivati: secondo l’Economist, i primi dieci (su un totale di 79 promessi) sono nel Paese da fine luglio. Entro la fine dell’anno, Kiev dovrebbe averne a disposizione 20 in totale. Il resto, promesso da una coalizione di cui Danimarca e Paesi Bassi sono capofila, arriverà a lotti nel corso nel 2025. Lo scorso maggio, durante un’intervista, Zelensky aveva dichiarato che l’Ucraina ne avrebbe bisogno di 120 o 130 per raggiungere una sorta di parità aerea con l’aviazione russa. L’aeronautica ucraina finora ha fatto affidamento su una flotta obsoleta di aerei Mig-29 di epoca sovietica e jet Sukhoi. Mosca da parte sua minimizza.

La notizia dell’arrivo dei caccia a Kiev non è passata inosservata anche sulle principali agenzie di stampa russe, che hanno ricordato come nei giorni scorsi il presidente russo Vladimir Putin abbia affermato che la consegna di nuove armi ed equipaggiamenti all’Ucraina, compresi gli F-16, non capovolgerà la situazione in prima linea ma semmai comporterà il prolungamento del conflitto. Una guerra di logoramento che in queste ore sta mettendo a dura prova in particolare le regioni di Kherson, Dnipro, Kirovohrad e Zaporizhzhia, mentre in diverse località dell’oblast del Donetsk le autorità hanno ordinato l’evacuazione di oltre 700 bambini con le loro famiglie di fronte alla minaccia di una pioggia di droni russi. “Ho dato istruzioni affinché solo i veicoli blindati partecipino all’evacuazione dei bambini”, ha detto il governatore della regione Vadym Filashkin, invitando i civili a lasciare la regione per l’aumento dei bombardamenti e menzionando la città di Novogrodovka, che si trova a circa 20 chilometri dal villaggio di Novoselivka Persha, di cui oggi la Russia ha rivendicato il controllo.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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