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Von der Leyen verso la ricandidatura alle Europee

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Lunedì 19 febbraio. Nel calendario della Commissione c’è questa data cerchiata in rosso. Secondo rumors che con il passare delle ore aumentano la loro dose di concretezza, è questo il giorno in cui Ursula von der Leyen annuncerà la candidatura ad un secondo mandato a capo dell’esecutivo europeo. Nulla di ufficiale e ben poco di ufficioso filtrerà fino ad allora. E un cambio in corsa, all’ultima curva, non è certamente da escludere. Ma con l’inizio del 2024 le nubi attorno alla discesa in campo di von der Leyen si sono progressivamente diradate e la presidente uscente sembra poter contare su un cospicuo appoggio tra i Paesi membri. In conferenza stampa, venerdì a Stoccolma, von der Leyen per la prima volta si è un tantino sbilanciata. Indicando la data entro cui si chiuderanno le candidature del Ppe, il 21 febbraio, e chiedendo quindi “un po’ di pazienza” ai cronisti. Subito dopo, quasi come fosse un copione già scritto, il premier svedese Ulf Kristersson e il suo omologo Petteri Orpo hanno formulato un deciso endorsement nei confronti di von der Leyen, auspicando che “la sua leadership” continui.

Nelle stanze dei vertici comunitari, del resto, il pallottoliere è già partito. Per essere eletti al Consiglio europeo i presidente della Commissione hanno bisogno della maggioranza qualificata dei Paesi membri, ovvero almeno 20 sui 27 totali, con la condizione che devono racchiudere almeno il 65% della popolazione europea. Il Ppe, il partito di von der Leyen, esprime 12 primi ministri, che a marzo diventeranno 13 con la nomina di Mariya Gabriel in Bulgaria. E con un’appendice: le elezioni in Portogallo in primavera, che vedono il centrodestra favorito dopo le dimissioni di Antonio Costa. Il cancelliere Olaf Scholz, sebbene sia dell’S&d, è pronto anche lui a sostenere la sua connazionale. La premier Giorgia Meloni ha già di fatto aperto al suo appoggio. L’estone Kaja Kallas, pur militando tra i liberali, è tra le leader più vicine a von der Leyen.

A ciò va aggiunto che la nomina del presidente della Commissione deve comunque rispettare l’esito delle Europee, dove i Popolari sono in netto vantaggio. La strada in Consiglio europeo, insomma, potrebbe essere tracciata e nemmeno Viktor Orban, questa volta, ha armi per fermare von der Leyen. Nomi alternativi, inoltre, non sembrano emergere per ora. I liberali, probabilmente, non esprimeranno un loro Spitzenkandidaten. I socialisti hanno nominato l’attuale commissario al Lavoro Nicolas Schmit, lussemburghese dalla grande esperienza ma che difficilmente scalderà i cuori dei 27 leader europei. E’ a Strasburgo, invece, che von der Leyen deve guardare con un pizzico di preoccupazione.

La composizione della futura maggioranza Ursula, Ppe-Socialisti-Renew, viaggia sul filo del rasoio. L’ingresso in maggioranza di alcuni partiti della destra, come FdI e pochi suoi alleati all’interno di Ecr, resta un’opzione. Ma, tra gli eurodeputati, la legislatura von der Leyen ha destato più di un malumore. E nell’ultima plenaria, sulla gestione dei fondi congelati all’Ungheria per il meccanismo di condizionalità dello Stato di diritto, l’attacco dell’Eurocamera alla Commissione è stato messo nero su bianco in una risoluzione. L’annuncio di von der Leyen, secondo Politico, è atteso per il 19 febbraio in Germania, in occasione del congresso della Cdu. Se ciò accadrà, sarà quello il giorno in cui la partita per le Europee entrerà nel vivo. E von der Leyen ha già due jolly da giocarsi: la strategia per la nuova industria della difesa europea e il report sulla competitività a cui sta lavorando Mario Draghi.

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Burlando, ho incontrato Spinelli per dargli un’opinione

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“Questo è uno scandalo che riguarda tutta l’Italia”. Lo ha detto l’ex presidente della Liguria ed ex sindaco di Genova Claudio Burlando, intervistato dal Corriere della sera. Secondo Burlando, il suo successore Giovanni Toti “dava l’impressione di trattare per sé, non per il bene pubblico”.

Anche l’ex governatore ha incontrato di recente l’imprenditore Aldo Spinelli: “Quarant’anni che mi occupo di queste cose. Molto complesse. Non mi sono mai negato quando qualcuno mi ha chiesto un confronto. Ribadisco: oggi io non ho alcun potere decisionale. In quel momento, Spinelli stava litigando con l’uomo genovese di Psa. Ogni volta che si libera un’area, in porto c’è una zuffa. Mi ha chiesto la mia opinione.

Credo che lui abbia reso pubblico l’incontro per fare ingelosire Toti. Tutto qui”, sostiene Burlando. E sulle parole del dirigente Pd Andrea Orlando, che ha definito ‘crepuscolare’ la fine del suo mandato, replica: “L’ho trovato un giudizio ingeneroso e poco informato. Andrea afferma anche di avere indicato Ferruccio Sansa, vicino ai Cinque Stelle, alle Regionali del 2020. Dove il centrosinistra ha avuto il peggior risultato della sua storia. Non so se faccia bene a rivendicare quella scelta. E non sono sicuro che sia questa la strada per vincere”.

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Sarà duello tv fra Meloni e Schlein, il 23 da Vespa a ‘Porta a Porta’

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Scelta la data e soprattutto scelto il posto. La comunicazione ufficiale è arrivata con una nota congiunta inviata nello stesso secondo dagli staff della presidente del consiglio Giorgia Meloni e della segretaria Pd Elly Schlein: il confronto tv “si svolgerà giovedì 23 maggio. Sede del dibattito sarà la trasmissione Porta a Porta di Bruno Vespa”. Le altre opposizioni sono partite all’attacco. Per il M5s c’è il rischio “di violare pesantemente la par condicio. La Rai non può far finta che lo scontro sia solo a due né Meloni può scegliersi l’avversario”. Stesse accuse dai leader di Verdi-Sinistra, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Alla fine, comunque, lunghi incontri e faticosi accordi fra gli staff di Meloni e Schlein hanno portato alla quadra. Il dettaglio più combattuto è stato quello della sede: Porta a Porta sulla Rai.

“Andiamo sul terreno più difficile – è la posizione Pd – potremmo dire che giochiamo fuori casa. Ma la premier Meloni voleva farlo in Rai, sul servizio pubblico, non ha voluto prendere in considerazione altre proposte” come Sky o la 7. “Schlein aveva lasciato porte aperte: ‘dove vuole’. Perché il tema non è la rete televisiva: sarà un momento di chiarezza e trasparenza, un confronto su programmi e proposte, fra due visioni della politica alternative”. Meloni punta a rendere il duello “istituzionale”, hanno fatto sapete fonti dello staff della premier, sottolineando poi come sia la prima volta che un presidente del Consiglio affronta un confronto in tv con il principale leader dell’opposizione “non a fine mandato, ma dopo diciotto mesi di mandato, con gran parte della legislatura ancora davanti”. Meloni si prepara a puntare su “temi concreti, sui programmi e sui problemi della gente”.

I dettagli del format saranno messi a punto nelle prossime ore. “Lo condurrò da solo – ha anticipato Vespa – Sarà un confronto molto istituzionale, molto tecnico”. Durerà “un’ora esatta, in prima serata”. Poi, la replica a chi parla di par condicio violata: “Anche il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte – ha fatto sapere la trasmissione – sono già stati invitati da Bruno Vespa per un analogo faccia a faccia a Porta a Porta, con le stesse modalità di messa in onda”. Fra frenate e accelerate, l’attesa del confronto si trascina da mesi. La memoria torna alla festa di FdI, Atreju, nel dicembre scorso, quando Schlein declinò l’invito ma rilanciò: “Sono pronta al confronto con Meloni quando vuole, ma non a casa sua o a casa nostra”.

Da quel momento il progetto di un duello in tv ha cominciato a prendere piede. La decisione delle due leader di candidarsi alle europee ha fatto il resto: si vota l’8 e 9 giugno, una ventina di giorni dopo il confronto. Vespa sarà l’arbitro di una partita su cui sia Meloni sia Schlein puntano molto: le due leader stanno cucendo una contrapposizione che può mette in ombra le altre forze. “Alla fine non c’è nessuna par condicio – ha detto il leader di Azione, Carlo Calenda – È un sistema malato”.

E il capogruppo alla Camera di Italia viva, Davide Faraone: “Andrà in onda una farsa, Schlein e Meloni sono candidate civetta. Non metteranno mai piede nel Parlamento Europeo”. Anche per il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, “il confronto è una fake tra due candidate fake”. Finora, la più plateale rappresentazione della contrapposizione fra le due leader resta comunque uno scontro a distanza fra slogan, che ci fu quando nessuna delle due era dove si trova adesso. La prima fu Meloni allora all’opposizione: “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una mamma, sono italiana, sono cristiana”. Qualche mese dopo la candidata al Parlamento Schlein parafrasò a modo suo: “Sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre. Ma non per questo sono meno donna”.

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Caso Toti, Salvini: se lascia è una resa, toghe paghino per loro errori

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“Serve la responsabilità civile per i magistrati, personale e pecuniaria, quando sbagliano”. Lo dice il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini in un’intervista a ‘La Stampa’. Toti non esclude le dimissioni da presidente della Regione? “Non mi risulta in nessun modo. Spero anzi che vada avanti la Regione Liguria, così com’è andata avanti in questi anni, dalla ricostruzione del Ponte Morandi alla Diga, al Terzo Valico, all’Alta velocità. È una regione che è tornata a guardare a futuro grazie a tutto il sistema Liguria e Genova e il suo porto sono proiettati verso il Nord Europa. Ecco, spero quindi che nessuno pensi di bloccare lo sviluppo della Liguria”, aggiunge. “Quando c’è una persona privata della libertà, io mi fermo sempre sull’uscio di casa: sono scelte umane. Dal mio punto di vista dimettersi adesso sarebbe una resa”.

“Una resa – sottolinea Salvini – nei confronti dei liguri e nei confronti di un rapporto tra magistratura e resto del mondo che è palesemente sbilanciato. Lo ribadisco: se qualche giudice, se qualche pubblico ministero venisse intercettato e dossierato a casa sua e nel suo ufficio per due o tre anni, non so quanti andrebbero a spasso magari sul lungomare della Spezia….”, insiste il leader della Lega. Ma scusi, ma cosa vuol dire? Che commettono reati di nascosto? “No – risponde – Voglio dire che non c’è equilibrio dei poteri. Stiamo alle statistiche: ogni anno mille italiani vengono arrestati e poi liberati perché i magistrati avevano sbagliato qualcosa. Significa tre persone al giorno. Vuol dire che oggi tre persone normali, non politici, vengono arrestati, gli si rovina la vita, e poi alla fine del percorso arriva una pacca sulla spalla: ‘Mi scusi abbiamo sbagliato’. E nessuno ne risponde. Ecco, la responsabilità civile dei magistrati, personale e pecuniaria per quelli che sbagliano con dolo, secondo me eviterebbe alcuni problemi”.

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