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Milanese scomparso da 7 anni, trovato in Texas

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C’è voluta la tenacia di una madre, che per oltre sette anni non ha mai smesso di lottare, e capillari ricerche in tutto il Nord America da parte della Polizia per ritrovare, sano e salvo, Roberto Coppola, 35 anni, scomparso da Calgary, in Canada nel 2016. Ora sua mamma, Anna Maiorano, ricevuta la notizia che Roberto si trova in Texas e sta bene esclama: “Sono tornata a vivere”. La donna aveva presentato denuncia dopo poco tempo che non sentiva il figlio ma, per oltre sette, lunghi anni, era sceso un silenzio angoscioso sulla sua sorte. Fino all’agosto scorso quando su input dell’Ufficio del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse Anna Maiorano era stata sentita a lungo dagli investigatori della Squadra mobile, raccontando tutto ciò che potesse essere utile per ritrovarlo ed era emersa la “pista texana”. Era stata interessata l’Interpol e, nei giorni scorsi, grazie all’Esperto per la Sicurezza dell’Ambasciata a Washington, Roberto è stato trovato.

“Mi ha fatto sapere che per ora non vuole vedermi – racconta la donna – ma io ho la certezza che ci incontreremo ancora e ora ho anche la consolazione che, per tutti questi anni, ha lavorato e non gli sono successe cose drammatiche”. “Quando vorrà mi dirà che cosa gli è successo”, racconta la madre che attribuisce la ‘crisi’ del figlio alla morte del padre, accaduta poco tempo prima della sparizione.

La Squadra Mobile aveva trasmesso una notizia di reato per accertare se questa sparizione fosse stata volontaria o riconducibile a un omicidio, alla Procura di Milano “particolarmente sensibile a questo tipo di episodi”, spiega la Polizia. Così è stata avviata “un’attività in campo internazionale attraverso rogatorie giudiziarie verso il Canada e gli Stati Uniti, Paesi ove vi erano le ultime tracce dello scomparso”. Alla fine è stato trovato , in Texas, dove si era trasferito con un camper. “Io rispetto, come ho sempre fatto, la sua libertà e, ora, mi basta sapere che sta bene; per più di sette anni ho vissuto nell’angoscia, ipotizzando le cose peggiori: che fosse finito in carcere o ucciso “, dice ora sua mamma: “Ho passato notti insonni, cercando di immaginare dove si trovasse, se qualcuno gli avesse fatto del male, ma non mi sono mai arresa”. Si era rivolta anche alla trasmissione “Chi l’ha visto”, alternando “disperazione e speranza”. La speranza, però, non l’aveva mai abbandonata del tutto. “E avevo ragione a continuare a lottare perché sentivo che l’avrei trovato”, conclude Anna Maiorano.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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