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In una serie tv Hamas aveva raccontato il 7 ottobre

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Il 7 ottobre prima del 7 ottobre: la fulminea quanto inaspettata offensiva di Hamas contro Israele era già andata in scena, più di un anno e mezzo fa, sugli schermi televisivi del mondo arabo, raccontata da una serie tv prodotta dallo stesso movimento islamico palestinese. “Il pugno dei liberi” (Qabdat al-Ahrar), trasmessa da diverse piattaforme streaming arabe nella primavera del 2022, durante il mese islamico di Ramadan, secondo gli ideatori avrebbe dovuto rappresentare un’alternativa alla celebre fiction israeliana Fauda (Caos), da anni disponibile su Netflix. La fiction, realizzata nella seconda parte del 2021, racconta la pianificazione e il successo di un’operazione militare di Hamas contro le forze israeliane dentro e attorno alla Striscia di Gaza. Il tutto, secondo la trama della serie, a partire da una fallimentare incursione nella stessa Striscia da parte di un gruppo di spie israeliane, infiltratesi sotto copertura tra le file delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, il cosiddetto braccio armato del movimento palestinese, in prima fila nel condurre l’operazione, tutta reale, del 7 ottobre scorso.

La serie tv, composta da 30 episodi della durata di 40 minuti ciascuno, era stata girata tutta nella Striscia con gli scarsi mezzi tecnici a disposizione della produzione, con la maggior parte di attori non professionisti e con un budget molto basso rispetto a serie tv internazionali. “L’attore protagonista ha ricevuto un compenso di 3mila dollari per un lavoro svolto nell’arco di sei mesi”, raccontava Mahmud Thuraya, responsabile del dipartimento produzioni artistiche di Hamas. Diverse scene sono state filmate in condizioni di sicurezza più che proibitive, raccontava Ahmad Maqadme della produzione tv. Maqadme riportava un aneddoto in cui le guardie di frontiera israeliane avevano sparato, durante le riprese, in direzione della troupe che si trovava a girare una scena di un finto assalto a un tank israeliano molto vicino al muro di separazione tra la Striscia e Israele.

Quelle scene di fiction, con il carro armato di Israele dato alle fiamme e circondato da combattenti palestinesi, inevitabilmente riportano alla mente le immagini del recente attacco di Hamas oltre le linee nemiche. L’obiettivo politico del “Il pugno dei liberi”, sosteneva Thuraya in alcune interviste apparse l’anno scorso sui media arabi, era bilanciare una narrativa filo-israeliana che, secondo diversi commentatori, è molto diffusa nella cultura popolare occidentale come traspare – affermava Thuraya – nella fiction Fauda. “Stiamo prendendo parte a un vero e proprio scontro di mentalità”, diceva Thuraya. La serie tv non è però mai stata diffusa in lingue occidentali. “Da una parte c’è Fauda e altri prodotti che enfatizzano il ruolo dei membri dei servizi di sicurezza israeliani, più intelligenti e capaci dei palestinesi. Dall’altra ci siamo noi che vogliamo mostrare il vero volto criminale e oppressivo degli israeliani e le continue sofferenze dei palestinesi”.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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